Tra il 2022 e il 2023 la Suprema Corte di Cassazione è tornata ad esprimersi su un argomento di estrema attualità: lo sfruttamento economico dell’immagine di una persona famosa. Protagonista del caso è la bandiera del Milan, Gianni Rivera, classe 1943.
Il caso del 2022: l’esimente prevista dall’art. 97 LDA è allargata anche alle attività collegate a quella che ha reso famoso il personaggio pubblico.
La prima pronuncia del 2022 vedeva contrapposto l’ex giocatore a RCS Mediogroup, che aveva utilizzato l’immagine di Rivera per alcune produzioni all’interno di DVD posti in commercio. Le doglianze dell’ex “Golden Boy” poggiavano sul presunto sfruttamento illecito della sua immagine legata a eventi non sportivi. La Corte d’Appello (che confermava la decisione del Tribunale di Milano) condannava la media company a pagare a 50.000 euro di risarcimento del danno, ma la decisione veniva successivamente ribaltata dalla Cassazione con l’ordinanza n. 19515/2022.
Al centro della diatriba giuridica troviamo l’esimente prevista dall’art. 97 della Legge sul Diritto D’Autore:
“Non occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico.
Il ritratto non può tuttavia essere esposto o messo in commercio, quando l’esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all’onore, alla reputazione od anche al decoro della persona ritrattata”.
Questo articolo rappresenta l’eccezione rispetto alla regola generale indicata nel precedente art. 96:
“Il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa, salve le disposizioni dell’articolo seguente”.
Nei primi due gradi i giudici avevano ritenuta illecita la diffusione (a) di immagini fotografiche che ritraevano l’attore “non in azioni di gioco, escluse quelle in cui egli era in posa con la propria squadra“, e (b) di alcune medaglie richiamanti l’immagine dell’attore. La Corte d’Appello, in particolare, ha ritenuto che I’esimente Iegata aIIa notorietà del personaggio sportivo fosse strettamente correIata aII’ambito di effettiva espIicazione e che quindi non potessero essere utilizzate, in difetto di consenso, immagini di Rivera in scene di vita quotidiana e al di fuori del contesto calcistico in cui la notorietà trovava concretizzazione. Il ragionamento, però, è stato censurato dalla Suprema Corte di Cassazione.
La ratio della deroga prevista dall’art. 97, infatti, è ispirata dall’interesse pubblico all’informazione e di conseguenza, avendo carattere derogatorio del diritto alla immagine, quale diritto inviolabile della persona tutelato dalla Costituzione, è di stretta interpretazione (Sez. 3, n. 11353 del 11.5.2010).
La divulgazione della fotografia, a prescindere dal consenso della persona ritratta, è giustificata dalla notorietà del soggetto ripreso, dall’ufficio pubblico dallo stesso ricoperto, dalla necessità di perseguire finalità di giustizia o di polizia, oppure scopi scientifici, didattici o culturali, o dal collegamento della riproduzione a fatti, avvenimenti, cerimonie d’interesse pubblico o svoltisi in pubblico. Il punto è quindi se la notorietà di un personaggio possa essere rigorosamente delimitata allo stretto ambito delle attività in cui si è inizialmente delineata e da cui è emersa.
Secondo il Procuratore Generale, le cui conclusioni sono condivise dalla Suprema Corte, la notorietà ex art.97 L.D.A. – fatta saIva I’ipotesi di Iesione del decoro, deIIa reputazione e della riservatezza – non può essere strettamente delimitata al contesto sociale (culturale, sportivo, artistico, letterario, politico) che ha reso celebre la persona riprodotta. Ciò perché I’interesse pubbIico, strettamente commisto al concetto stesso di notorietà, si comunica alla vita personale del personaggio famoso, sicché le esigenze di pubblica informazione si estendono a tutti gli aspetti della vita del personaggio celebre che il pubblico trova interessanti e vuol conoscere.
Nella decisione in esame si è osservato che, nel caso del personaggio del mondo del calcio, come pure dei protagonisti del mondo dello spettacoIo e deII’intrattenimento di massa, I’interesse del pubblico si rivolge anche agli aspetti e alle abitudini di vita che compongono inscindibilmente l’immagine pubblica del personaggio. Ciò varrebbe, quindi, per le immagini che ritraggono il personaggio in viaggio, in un momento di relax, al bar o al ristorante, a passeggio o in un’attività domestica, beninteso con Ia già ricordata barriera deI rispetto deI decoro, deIIa reputazione, deII’intimità e deIIa riservatezza.
Ciò posto, specifica la Cassazione, pare tuttavia eccessivo spingersi sino a sostenere che i ritratti fotografici dei personaggi dello sport, come pure quelli dei protagonisti della musica di consumo o del cinema, per limitarsi ai casi esemplificati nella requisitoria del Procuratore generale, possano essere divulgati, senza il loro consenso, anche in contesti del tutto avulsi da quelli che hanno reso noti tali personaggi. Occorre pur sempre verificare non solo il rispetto del decoro, della convenienza e della reputazione, ma anche quello della sfera di riservatezza che la persona ritratta ha inteso legittimamente proteggere dalle ingerenze altrui.
Nel caso di specie, le immagini utilizzate da RCS Mediagroup rispettavano l’esimente ex art. 97 L.D.A., rendendo legittima la divulgazione di ritratti fotografici di personaggi famosi “non solo allorché essi siano raffigurati nell’espletamento dell’attività specifica (vale a dire: per lo sportivo l’attività agonistica, per il cantante l’esibizione sul palco, per l’attore la recitazione in scena), come troppo restrittivamente perimetrato dalla Corte milanese, ma anche quando la fotografia li ritrae nello svolgimento di attività accessorie e connesse, che rientrano nel cono di proiezione della loro immagine pubblica“.
Vi rientrano pertanto certamente le fotografie che ritraggono un noto calciatore in partenza o al rientro per una competizione sportiva, o mentre esibisce un trofeo vinto, o nell’atto di rilasciare a un giornalista una intervista legata alla sua attività, o ancora insieme ad altri calciatori, per di più se in un ritiro organizzato dalla sua squadra o dalla Nazionale. Secondo la Cassazione “è evidente che nei casi esempIificati I’interesse deI pubbIico è rivolto proprio al personaggio sportivo, per vedere come gioisca dei propri trionfi, come si relazioni con la stampa specializzata, come si prepari alle partite e come si rilassi dopo di esse, come interagisca con altri atleti famosi: per personaggi di quel calibro non si può circoscrivere la notorietà all’ambito originario da cui è germinata (nel caso il calcio) per escludere situazioni in cui l’atleta viaggia, parla con altri calciatori, o appare in pubblico in abiti borghesi ma in connessione con la propria attività“.
Peraltro, a chiusura del ragionamento giuridico, la Suprema Corte afferma che non si possono desumere meccanicamente dalla natura imprenditoriale dell’attività di RCS i “fini pubblicitari e promozionali” di utilizzo dell’immagine. “Non bisogna infatti confondere la natura professionale dell’attività di cronaca informativa e documentazione didattico-culturale, che comporta la pubblicazione di informazioni e di immagini, con le finalità di utilizzo dell’immagine in senso stretto. Altrimenti – come osserva efficacemente la ricorrente – si finirebbe per interdire l’esercizio stesso della cronaca giornalistica“.
Il caso del 2023: l’esposizione dei cimeli nel Museo di San Siro ha scopi didattici e culturali, quindi è del tutto lecita.
Nella seconda decisione di fine 2023, Gianni Rivera conveniva in giudizio la società M-I Stadio srl, società che gestisce lo stadio San Siro di Milano e, all’interno del quale, la società ha allestito una mostra-museo celebrativa dei grandi campioni delle squadre di calcio Milan ed Inter, che espone cimeli, ritratti e abbigliamento dei campioni del passato: tra questi anche immagini, un busto, la maglietta ed altri oggetti che richiamano la persona di Gianni Rivera.
L’ex “Golden Boy” ha ritenuto però abusiva l’utilizzazione della propria immagine, perché fatta senza il suo consenso, ed a scopo di lucro: infatti, secondo il ricorrente, l’ingresso alla esposizione comportava il pagamento di un biglietto di 7 euro, salvo che per minori di anni 14, maggiori di 65, tesserati delle squadre, abbonati al Touring Club. Il Tribunale di Milano accoglieva le doglianze di Rivera, condannando la società a risarcire il danno nella misura di 200.000 euro, decisione però riformata dalla Corte d’Appello di Milano e poi confermata dalla Suprema Corte di Cassazione.
Secondo Gianni Rivera non si trattava di un museo ma di una esposizione privata e finalizzata a scopo di lucro come testimoniavano gli incassi che, nella stagione 2016/17, avevano raggiunto 2,3 milioni di euro.
Nella recente decisione n. 36106/2023, la Suprema Corte di Cassazione ha affermato che la ratio della decisione impugnata non sta nell’attribuzione della natura di museo alla esposizione in questione ma nella finalità celebrativa della medesima: se è vero che i giudici usano la parola ‘museo’ o ‘iniziativa museale’, è altresì vero che l’accento è posto sulla finalità della esposizione che è quella di “rispondere ad un diffuso interesse degli appassionati di calcio e per soddisfare la curiosità e la sete di conoscenza degli amanti del calcio“.
Del resto, prosegue la Cassazione, “l’articolo 97 della legge 633 del 1941 prevede che non serve il consenso della persona ritratta non già quando l’immagine sia esposta in un museo, ma quando la sua esposizione è giustificata da scopi scientifici, didattici o culturali, anche dunque al di fuori di un vero e proprio museo. E dunque la Corte di merito utilizza qui il termine ‘ museo’ in senso non tecnico, ma nel senso ampio di una esposizione destinata a raccogliere ricordi del passato”.
Parimenti, non è stata accolta dalla Cassazione la censura che riguardava l’assenza dello scopo di lucro a beneficio di quello culturale, perché trattasi di un accertamento in fatto (se vi fosse o meno scopo di lucro) effettuato mediante un ragionamento presuntivo non censurabile dinanzi alla Suprema Corte, se non per violazione dei criteri legali che presiedono ad una presunzione.
Tuttavia, anche questa doglianza è stata considerata fuori fuoco, in quanto la Corte di merito ha indotto che non vi era scopo di lucro da indici non contestati: che l’esposizione non era strumentale a pubblicizzare altre attività della società, né serviva ad incentivare altra attività commerciale; che il prezzo del biglietto è di entità modesta (sette euro); che alcune categorie di utenti ne erano esentati (minori di 14 anni, maggiori di 65, tifosi tesserati, abbonati al Touring club); che infine quel prezzo ben si giustifica con la necessità di coprire i costi che pure ci sono. In sostanza, affermano gli Ermellini “l’induzione del fatto ignoto (a cosa è finalizzato il pagamento dei sette euro) è basata su fatti noti certi, in quanto non contestati, precisi, in quanto niente affatto generici, e concordanti: in questa sede niente altro può essere censurato che il mancato rispetto dei criteri legali del ragionamento presuntivo, non l’esistenza degli elementi indiziari nella loro fattualità. Né può dirsi immotivata la induzione in questione, posto che, come si è detto, sono espresse le ragioni che hanno portato i giudici di merito a concludere per l’assenza dello scopo di lucro”.
La Cassazione, nel prosieguo della decisione, conferma inoltre che anche nel caso in esame sussiste l’esimente di cui all’art. 97 LDA. La norma, infatti, consente l’uso della immagine di personaggio noto quando è fatta a scopi, tra gli altri, culturali: con accertamento in fatto, afferma la Suprema Corte, si è stabilito che l’esposizione non ha uno scopo di lucro, ma uno scopo di far rivivere ai tifosi la gloria dei campioni del passato. Se questo è lo scopo, allora esso rientra tra quelli ‘culturali’ che la norma considera esimenti, ossia in vista dei quali consente l’uso della immagine altrui pur senza il consenso dell’interessato.
In secondo luogo, afferma la Cassazione “lo scopo di far rivivere ai tifosi i momenti del passato ha anche finalità didattiche, posto che i più giovani non conoscono la maggior parte di quei campioni per diretta esperienza e dunque la mostra serve a farglieli conoscere indirettamente: didattico è lo scopo che mira a fornire conoscenza di eventi o personaggi del passato”.
Infine, gli Ermellini affermano che, semmai, Gianni Rivera avrebbe avuto un pregiudizio se non fosse stato inserito nella storia del Milan. Per tale motivo la sua presenza appare legittima e, come spiegato, non vi era necessità di alcun consenso perché la sua immagine è stata utilizzata soltanto per scopi culturali e didattici.
Conclusioni
Le due summenzionate decisioni confermano l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità, così come sancito dalla Legge sul diritto d’autore: ossia consentire l’utilizzo dell’immagine di personaggi famosi nei casi in cui lo sfruttamento sia legato a scopi informativi, culturali, didattici o scientifici. L’unico limite invalicabile è legato alla sfera personale, quindi situazioni del tutto scollegate rispetto all’attività che ha reso celebre quel personaggio, nonché all’onore, alla reputazione od anche al decoro della persona ritrattata. Se questi limiti vengono rispettati, il personaggio famoso non può opporre la mancanza del suo consenso così come previsto dall’art. 96 LDA, in quanto la disciplina generale viene derogata dal successivo articolo 97 LDA.
In altri termini, il prezzo da pagare per la notorietà risiede nel dover accettare che la propria immagine, in determinati casi, possa essere utilizzata anche senza il proprio consenso.
Avv. Felice Raimondo
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