La lotta al pezzotto e allo streaming illegale ha raggiunto il suo culmine: nel recente Decreto Omnnibus sono stati approvati due emendamenti che introducono nuove sanzioni anche nei confronti dei fornitori di rete e telco che servono i fruitori dei servizi illegali.
Nel dettaglio, l’emendamento 6.0.36 ha introdotto l’art. 174-sexies alla legge sul diritto d’autore:
“1. I prestatori di servizi di accesso alla rete, i soggetti gestori di motori di ricerca e i fornitori di servizi della società dell’informazione, ivi inclusi i fornitori e gli intermediari di vpn (virtual private network) o comunque di soluzioni tecniche che ostacolano l’identificazione dell’indirizzo IP di origine, gli operatori di content delivery network, i fornitori di servizi di sicurezza internet e di DNS distribuiti, che si pongono tra i visitatori di un sito, e gli hosting provider che agiscono come reverse proxy server per siti web, quando sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate condotte penalmente rilevanti ai sensi della presente legge, dell’articolo 615-ter o dell’articolo 640-ter del codice penale, devono segnalare, senza ritardo, all’autorità giudiziaria o alla Guardia di finanza tali circostanze, fornendo tutte le informazioni disponibili.
2. I soggetti di cui al comma 1 non aventi sede legale o amministrativa in Italia e che offrono servizi a utenti stabiliti sul territorio nazionale devono comunicare, senza ritardo, all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il proprio rappresentante legale in Italia.
3. Fuori dai casi di concorso nel reato, l’omissione o il ritardo della segnalazione di cui al comma 1 e della comunicazione di cui al comma 2 sono puniti con la reclusione fino ad un anno. Si applica l’articolo 24-bis del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231.”
Sostanzialmente, questo emendamendo introduce una norma che funge da deterrente nei confronti dei provider e operatori di rete (inclusi sistemi di VPN) che non segnalino o ritardino la segnalazione dei fruitori illegali dei servizi streaming quando sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate condotte penalmente rilevanti ai sensi della legge sul diritto d’autore (e tutto ciò avverrà ogni qualvolta riceveranno una segnalazione grazie al nuovo sistema di Piracy Shield elaborato dopo il protocollo AGCOM – GDF).
Nei confronti di provider e operatori di rete – già sul piede di guerra – ci sarà il rischio della reclusione fino a un anno. La norma, infatti, obbliga la segnalazione anche quando si ha solo il sospetto o un ragionevole motivo di sospettare che qualcuno stia violando il diritto d’autore. E la segnalazione da parte del nuovo “scudo antipezzotto” sarà più che sufficiente. Inoltre, se non si vorrà incappare nel reato già citato, i destinatari del provvedimento che non hanno sede legale nel territorio nazionale ma offrono servizi sul territorio nazionale, dovranno anche nominare un loro rappresentate legale in Italia.
Il secondo emendamento 6.0.35 ha introdotto le seguenti modificazioni alla legge 93/2023 (c.d. legge anti-pezzotto – “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della diffusione illecita di contenuti tutelati dal diritto d’autore mediante le reti di comunicazione elettronica”)
“a) all’articolo 2:
1) al comma 1 la parola “univocamente” è sostituita con la seguente “prevalentemente”;
2) al comma 3 dopo “destinatario del provvedimento” è aggiunto “garantendo altresì ad ogni soggetto che dimostri di possedere un interesse qualificato la possibilità di chiedere la revoca dei provvedimenti di inibizione all’accesso, per documentata carenza dei requisiti di legge, anche sopravvenuta”;
3) al comma 3, primo periodo, dopo le parole “compresi i prestatori di servizi di accesso alla rete” inserire le seguenti “e i fornitori di servizi di VPN e quelli di DNS alternativi, ovunque residenti ed ovunque localizzati,”;
4) al comma 5, primo periodo dopo le parole “ai prestatori di servizi di accesso alla rete,”, inserire le seguenti parole: “compresi i fornitori di servizi di VPN e a quelli di DNS alternativi, ovunque residenti ed ovunque localizzati,”;
5) al comma 5, terzo periodo, dopo le parole “provvedono comunque,” inserire le seguenti “, entro il medesimo termine massimo di 30 minuti dalla notificazione del provvedimento di disabilitazione,”;
6) è aggiunto il seguente comma “8. L’Autorità, limitatamente al primo anno di funzionamento della piattaforma, può fissare limiti quantitativi massimi di IP ed FQDN che possono essere oggetto di blocco contemporaneamente. Decorso il primo anno di operatività della piattaforma nessun limite quantitativo è consentito”;
b) all’articolo 6, comma 2, dopo le parole “destinatari dei provvedimenti di disabilitazione”, inserire le seguenti “di cui all’art. 2, comma 5 della presente legge”.
In sostanza, questo emendamento consentirà il blocco dell’instradamento del traffico di rete verso gli indirizzi IP prevalentemente (prima era “univocamente”) destinati ad attività illecite, introducendo il potere di rimozione anche nei confronti dei fornitori di servizi VPN e quelli di DNS alternativi (es. Google).
La nuova normativa, peraltro, prima facie sembra apparire in contrasto col consolidato principio comunitario del paese d’origine, in base al quale il prestatore è sottoposto unicamente alla legislazione del paese in cui è stabilito e gli Stati membri non devono imporre restrizioni ai servizi forniti da un prestatore stabilito in un altro Stato membro. Tale principio permette al prestatore di fornire un servizio in uno o più Stati membri diversi da quello d’origine senza essere sottoposto alle normative di questi ultimi. Esso permette inoltre di responsabilizzare lo Stato membro d’origine obbligandolo a garantire un controllo efficace dei prestatori di servizi stabiliti sul suo territorio anche qualora questi ultimi forniscano servizi in altri Stati membri. Il ricorso al principio del paese d’origine permette di realizzare l’obiettivo di garantire la libera circolazione dei servizi pur consentendo la coesistenza pluralista dei regimi giuridici degli Stati membri con le loro specificità e particolarità, le quali non potranno tuttavia essere utilizzate per imporre restrizioni ai servizi di un prestatore stabilito in un altro Stato membro.
Quindi è sempre illegale utilizzare la VPN?
Sgombriamo subito il campo da un dubbio: l’acquisto e l’utilizzo di una VPN è assolutamente legale perché la Virtual Private Network rappresenta un servizio nato e pensato per proteggere la connessione internet e la privacy. Infatti, per semplificare al massimo il concetto, una VPN rappresenta una “strada pubblica, condivisa” utilizzata da chi non vuole scegliere una “strada privata, riconducibile solo a sè”.
Così facendo, l’automobilista immaginario che sceglie di percorrere l’autostrada della VPN si “confonde” tra tutti quelli che la utilizzano. Il concetto è chiaro: chi usa una Virtual Private Network lo fa perché non vuole essere monitorato per una questione di privacy. Pensiamo al tracciamento dei cookie (quante volte usando Facebook vi balza sotto il naso qualcosa che stavate cercando poco prima su Google?).
Tuttavia, benché lo scopo della VPN sia da considerare nobile e perfettamente legale… il suo utilizzo può essere distorto e, quindi, travasare nella illegalità. Ecco, dunque, il caso dello streaming illegale.
Infatti, chi decide di comprare una VPN per nascondere la propria identità e guardare servizi streaming offerti in Italia senza pagare il fornitore di quel servizio (es. DAZN, SKY) commette un reato ed è passibile anche di una pesante sanzione pecuniaria.
Geoblocking e VPN: commetto un reato se uso una VPN per guardare servizi stranieri?
Chiarito il concetto di VPN e del suo utilizzo illegale, bisogna però fare una distinzione e specificare un ulteriore concetto. Film, serie TV ed eventi sportivi dal vivo sono proprietà intellettuali tutelate dal diritto d’autore. Nel panorama mondiale la distribuzione di queste proprietà intellettuali è legata al territorio. Questo vuol dire che chi acquista un film, una serie tv o un evento sportivo, potrà distribuirlo e offrirlo solo in un determinato luogo del mondo. Ergo, soltanto le persone che vivono in quel luogo potranno vedere quegli spettacoli televisivi o sportivi. Questo almeno fino a quando esistevano le antenne televisive. Già, perché con l’avvento di internet e di sistemi come le VPN, è possibile “ingannare” il provider e fargli credere che la nostra “antenna” di casa si trovi negli USA. Cioè esattamente il luogo dove viene distribuito il film che, purtroppo, non viene distribuito nella nazione dove viviamo. Così facendo, magicamente il sito internet si aprirà ed avremo accesso alla proprietà intellettuale bloccata nel nostro paese d’origine (c.d. Geoblocking). Ma tutto ciò è legale?
Anche qui bisogna fare una ulteriore distinzione: se attraverso una VPN guardo una produzione intellettuale straniera senza pagare il vero fornitore ma sfruttando un “pezzotto” straniero, o addirittura scaricando illegalmente liste di canali (ad esempio usando software come Kodi), sto chiaramente commettendo una violazione generica del diritto d’autore. E quindi un reato. In questo caso, però, competente a denunciarci dovrà essere il fornitore straniero della proprietà intellettuale (film, serie tv o evento sportivo) che abbiamo rubato, qualora ovviamente riesca a individuare il fruitore così come avviene con il sistema Piracy Shield attivato in Italia per la difesa del calcio in TV.
Ma se, invece, attraverso una VPN guardo una produzione intellettuale straniera pagando regolarmente il fornitore del relativo contenuto? In questo caso, chiaramente, il fruitore non sta rubando nulla ma utilizza la VPN per accedere ad un contenuto altrimenti non accessibile nel suo territorio. La legge 93/2023, infatti, punisce la diffusione abusiva dei contenuti protetti dal diritto d’autore e gli utilizzatori di tale diffusione.
Appare chiaro che un servizio streaming che ha acquistato regolarmente dei diritti telvisivi (cinematrografici o sportivi) e li distribuisce regolarmente nei territori in cui ha acquistato tali diritti (bloccando la visione tramite il c.d. Geoblocking) non commette alcuna diffusione abusiva. Chi invece acquista quei diritti usando la VPN, commette chiaramente una elusione e, quindi, adotta un comportamento abusivo. Ma l’utilizzatore commette un reato? Ossia pagare regolarmente un fornitore di servizi per guardare le sue produzioni intellettuali bloccate nel nostro territorio… può essere considerato un reato?
A parere di chi scrive la risposta è negativa: questa possibilità, infatti, viola semplicemente le condizioni d’uso del fornitore del servizio streaming in quanto i diritti tv – come già detto – vengono venduti con precise restrizioni territoriali. Cosa comporta questo? Beh, la violazione delle condizioni d’uso (Terms of Service) autorizzerebbe il fornitore (es. Netflix) a bannare l’account. Ma nella pratica accade? Raramente. Questo perché è molto difficile individuare una VPN e perché, soprattutto, bannare un utente che usa una VPN vuol dire privarsi di un cliente che paga e che sarebbe disposto a pagare anche in futuro. D’altra parte molto spesso sono gli stessi utenti che si trovano all’estero (anche negli USA) a guardare i servizi presenti nel loro territorio attraverso un servizio VPN. E sempre per il motivo spiegato all’inizio: privacy. Quindi per i fornitori di quei servizi diventa difficile e antieconomico iniziare una lotta senza quartiere nei confronti di chi usa una VPN e paga regolarmente i loro servizi. Insomma, il gioco non varrebbe la candela e rinunciare a quei soldi potrebbe essere una mossa commercialmente poco intelligente. Per questo motivo molti chiudono un occhio oppure adottano sistemi di difesa blandi, bloccando alcuni server VPN ma lasciandone intatti altri o evitando proprio i blocchi.
D’altronde, anche l’Unione Europea sta adottando un approccio molto più soft nei confronti del Geoblocking (leggi qui) con l’obiettivo di rivedere le regole sul punto e renderle meno stringenti.
Insomma, i blocchi geografici non vengono considerati un male assoluto e un ulteriore esempio lo riscontriamo proprio nei termini di utilizzo di Netflix, dove viene affermato questo:
“Netflix è disponibile in oltre 190 paesi del mondo. Ogni paese ha un proprio catalogo di serie TV e film originali e ottenuti in licenza.
Il paese dell’account non può essere modificato, a meno che tu non ti trasferisca in un altro paese. Se ti sei trasferito di recente, consulta l’articolo Uso di Netflix in caso di trasferimento per informazioni.
L’uso di una connessione VPN per accedere a Netflix maschera la tua area geografica e ti consente di vedere solo le serie TV e i film disponibili in tutte le aree geografiche a livello globale. Per maggiori informazioni su questo argomento, consulta l’articolo Streaming di serie TV e film tramite una VPN“.
“Streaming di serie TV e film tramite una VPN
Con le VPN (reti private virtuali) può sembrare che il dispositivo o la rete si stia connettendo a Netflix da un luogo diverso da quello in cui ti trovi. Quando guardi Netflix tramite una VPN, il servizio sarà limitato a serie TV e film di cui Netflix ha i diritti in tutto il mondo, ad esempio Squid Game o Stranger Things.
Se non vedi tutte le serie TV e i film disponibili nel tuo paese, potrebbe essere necessario disattivare la VPN.
Nota: l’uso di una VPN per guardare Netflix non è consentito con un piano con pubblicità. Gli eventi in diretta su Netflix non sono disponibili tramite VPN”.
Com’è possibile leggere, Netflix consente il cambio di paese (quindi ci catalogo) solo se ci si trasferisce. Tuttavia, si afferma pure che l’utilizzo delle VPN consente di vedere le serie TV e Film disponibili in tutte le aree geografiche a livello globale. Inoltre, l’uso della VPN viene esplicitamente vietato solo per i piani con pubblicità (i meno costosi).
In conclusione, bisogna essere consapevoli che l’utilizzo di una VPN non è illegale ma può essere illegale il suo scopo e non è neanche detto che tutti quegli scopi siano allo stesso modo illegali.