Parliamoci chiaro: chi investe nel mondo del calcio si assume moltissimi rischi.
Gli obiettivi che inducono a investire possono essere diversi: politici, pubblicitari oppure semplicemente vi è la volontà di ottenere un ritorno economico. Chi insegue i primi due obiettivi è disposto anche a rimetterci dei soldi perché raggiunge comunque i suoi scopi: sono i classici investimenti a fondo perduto, sempre più rari nel mondo del calcio. Concentriamoci, quindi, sui player che decidono di investire per ottenere un margine di guadagno nella successiva rivendita del club.
L’esempio più calzante è quello del Milan perché recentemente ha avuto due proprietà diverse accomunate dallo stesso scopo: aumentare il valore del pacchetto di azioni per uscirne con un guadagno. Dopo quattro anni Elliott ha ottenuto un profitto di circa 500 milioni (investiti 700 milioni tra prestiti e aumenti di capitale con successiva vendita a 1,2 miliardi).
Come ho già affermato nell’articolo-manifesto in cui ho salutato i precedenti proprietari (Link), sotto la gestione Elliott il costo del personale (che include anche gli stipendi dei giocatori) non è diminuito ma, anzi, è aumentato; parallelamente, invece, gli investimenti nei cartellini (c.d. ammortamenti) sono diminuiti, con il valore della rosa caricato a bilancio che, in termini di investimenti, si è abbassato. Questo consente di sfatare diversi miti e leggende che si sono succedute nel corso degli anni: la gestione del Milan non è migliorata grazie alla razionalizzazione delle spese e nemmeno grazie agli investimenti nei cartellini e manco grazie al Player Trading, che è rimasto stagnante.
La gestione del Milan è migliorata grazie al supporto del proprietario (iniezioni di capitale) che hanno consentito di mantenere dei costi elevati e hanno permesso al management di poter operare senza vendere nessun big. Inoltre, lo stesso management si è dimostrato bravissimo nel mercato in entrata, sbagliando poco grazie ad una rete di scouting di altissima qualità che, anche grazie allo staff tecnico (Pioli), ha generato risultati sportivi eccellenti ben al di sopra delle aspettative (lavoro che oggi sembra perduto, ma questo è un altro discorso).
Anche a livello commerciale il Milan è riuscito a migliorare i suoi profitti, con i ricavi che al 30 giugno 2022 sono arrivati a quota 300 milioni, risultato raggiunto anche grazie alla plusvalenza derivante dalla cessione di Casa Milan. Negli ultimi mesi i rinnovi al raddoppio (da 15 a 30 milioni ciascuno) di Puma ed Emirates lasciano ben sperare, ma siamo ancora lontani dai livelli dei top club europei. Non solo Premier, ma anche spagnole, PSG e Bayern Monaco.
Il motivo è molto semplice: fino ad oggi la crescita economica del Milan è dipesa in larga parte dai risultati sportivi, a loro volta collegati alle scelte azzeccate da parte della dirigenza sportiva e alla volontà del socio di maggioranza di iniettare capitale per sopportare certi livelli di costi. Tuttavia vincolare in modo indissolubile la crescita economica del club ai risultati sportivi e all’abilità dei manager, vuol dire assumersi grossi rischi che sono al di fuori del controllo del proprietario.
Ma in che modo ridurre l’alea di rischio?
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