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Sentenza Lexitor: consumatori in attesa della Corte Costituzionale. E’ in arrivo uno tsunami?

18 Maggio 2022 In Diritto bancario, News
Palazzo_della_Consulta_Roma_2006

Nei prossimi mesi uno tsunami potrebbe coinvolgere milioni di italiani e, di riflesso, intermediari finanziari. Il nodo focale del dibattito giurisprudenziale riguarda l’art. 125 sexies del Testo Unico Bancario, introdotto con il D.lgs. n. 141/2010 che ha recepito nell’ordinamento italiano la direttiva n. 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori e, in particolare, l’estinzione anticipata dei finanziamenti (es. cessione del quinto).

  • Direttiva n. 2008/48/CE: “il consumatore ha il diritto di adempiere in qualsiasi momento, in tutto o in parte, agli obblighi che gli derivano dal contratto di credito. In tal caso, egli ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito, che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto“
  • Art. 125 sexies T.U.B.: “il consumatore può rimborsare anticipatamente in qualsiasi momento, in tutto o in parte, l’importo dovuto al finanziatore. In tale caso il consumatore ha diritto a una riduzione del costo totale del credito, pari all’importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto“.

In Italia, fin dal recepimento di questa normativa, in tema di estinzione anticipata dei finanziamenti si è sempre distinto tra:

  • costi up-front: indipendenti dalla durata del contratto e dovuti per attività preliminari, come ad esempio spese istruttorie, provvigioni di agenzia, ecc.
  • costi recurring: dipendenti dalla durata del contratto (ma diversi dal tasso di interesse), come ad esempio spese di incasso rata, costi di assicurazione, ecc.

Con la conseguenza che gli intermediari finanziari, laddove il consumatore decideva di estinguere prima il finanziamento, restituivano pro-rata soltanto i costi recurring, trattenendo invece i costi up-front.

Nel 2019 la svolta improvvisa: la sentenza (c.d. “Lexitor”) della Corte di Giustizia dell’Unione europea (decisione dell’11 settembre 2019, c-383/18) ribalta tutto e fornisce una chiara interpretazione dell’art. 16 Direttiva 2008/48 (di cui l’art. 125-sexies costituisce trasposizione interna). Il principio espresso dalla Lexitor è più favorevole nei confronti del consumatore perché considera ai fini del calcolo della misura della riduzione, da operarsi in proporzione (pro rata temporis) alla durata residua del contratto, il costo totale del credito, compresi i costi anteriori alla sottoscrizione del contratto e indipendenti dalla durata dello stesso (c.d. oneri up-front, ad es. istruttoria, provvigioni di agenzia ecc.), anziché la sola frazione dei costi dipendenti dalla durata del contratto (c.d. oneri recurring) non maturata al momento del rimborso anticipato del capitale.

E’ bene precisare che il diritto comunitario, di cui le direttive fanno parte integrante, è fonte sovraordinata al diritto interno. Ciò vuol dire che i Giudici italiani, in caso di contrasto tra diritto interno e diritto comunitario, devono disapplicare il diritto nazionale e applicare quello comunitario. Allo stesso modo, tutte le decisioni e le interpretazioni della Corte di Giustizia dell’Unione europea (c.d. CGUE) vincolano i Giudici nazionali che devono interpretare il diritto interno alla luce di quello comunitario.

Com’era facilmente intuibile, subito dopo la decisione della CGUE i Tribunali italiani sono stati invasi da ricorsi dei risparmiatori che, alla luce della sentenza Lexitor, chiedevano la restituzione dei costi up-front che – prima del 2019 – gli intermediari finanziari avevano ingiustamente trattenuto. Parte significativa della giurisprudenza – a partire dall’autorevole precedente del Collegio di coordinamento dell’ABF dell’11 dicembre 2019 – alla luce del dovere di «leale cooperazione» e dell’obbligo delle autorità degli stati membri di interpretare le norme di diritto interno in modo conforme alla Direttiva, ha applicato il principio di diritto espresso dalla Corte di giustizia, ritenendolo non manifestamente incompatibile con il vecchio testo dell’art. 125-sexies, comma 1 del TUB che, a sua volta, riproduceva senza apprezzabili scostamenti la corrispondente previsione della Direttiva, su cui era caduta l’interpretazione della Corte di giustizia.

In tal senso il Collegio di Coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario che in data 11 dicembre 2019, decisione n. 26525, affermava quanto segue: «non può dubitarsi che detta interpretazione sia ineludibile anche nel caso di specie, sottoposto com’è sia all’art. 121, comma 1, lettera e) del TUB, che indica la nozione di costo totale del credito in piena aderenza all’art. 3 della Direttiva, sia all’art. 125-sexies TUB che, dal punto di vista letterale, appare a sua volta fedelmente riproduttivo dell’art. 16 par. 1 della stessa Direttiva. Infatti l’art. 125-sexies, secondo cui in caso di estinzione anticipata del finanziamento il consumatore ha diritto a una riduzione del costo totale del credito, “pari” all’importo degli interessi e “dei costi dovuti per la vita residua del contratto”, non sembra affatto diverso rispetto alla disposizione ora citata della Direttiva, secondo cui il consumatore ha diritto a una riduzione del costo totale del credito, che “comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto”, giacche’ non può ragionevolmente attribuirsi alcun significativo rilievo distintivo alla differenza lessicale tra la riduzione del costo del credito che è “pari” a tutte le voci che compongono il costo totale del credito e la riduzione del costo totale del credito che “comprende” esattamente le medesime voci».

Ciò premesso, la reazione del Governo italiano non si è fatta attendere e, per adeguarsi al “nuovo” principio espresso dalla CGUE, ha varato un emendamento all’art. 125 sexies TUB, contenuto nella legge di conversione (legge 23 luglio 2021, n. 106) del decreto-legge Sostegni-bis (decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73, «Misure urgenti connesse all’emergenza da COVID-19, per le imprese, il lavoro, i giovani, la salute e i servizi territoriali»)

L’art. 11 octies del decreto sostegni bis ha recepito il principio espresso dalla sentenza Lexitor, ossia la ripetibilità pro rata temporis del costo totale del credito, ivi inclusi i costi up-front, limitandone però l’efficacia nel tempo ai soli contratti successivi all’entrata in vigore della legge (25 luglio 2021) e mantenendo al contempo fermo lo status quo ante – e quindi la ripetibilità dei soli costi recurring non maturati – per i contratti anteriori al 25 luglio 2021.

Infatti il comma 2 dell’art. 11 octies afferma quanto segue: “Alle estinzioni anticipate dei contratti sottoscritti prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto continuano ad applicarsi le disposizioni dell’articolo 125-sexies del testo unico di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993 e le norme secondarie contenute nelle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia vigenti alla data di sottoscrizione dei contratti”.

Fatta la legge, trovato l’inganno. Una beffa clamorosa per i consumatori che, tuttavia, presenta delle fortissime criticità. Il Governo italiano (ma non è stato l’unico, anche Germania e Austria hanno agito in questo modo) è stato evidentemente “spiazzato” dalla decisione della CGUE che nel 2019 ha interpretato retroattivamente una direttiva di dieci anni prima, incidendo su migliaia di contratti di finanziamento che erano stati conclusi sulla base di una diversa interpretazione che la giurisprudenza e la dottrina nazionale avevano dato alla ripetibilità dei costi up-front (non ammessi) e recurring (ammessi).

Ma non solo: lo stesso Arbitrato Bancario e Finanziario, che nel 2019 (come sopra descritto) aveva preso posizione a favore dei risparmiatori, dopo l’entrata in vigore del Decreto-Sostegni bis cambiava orientamento con la decisione del Collegio Coordinamento, 15 ottobre 2021, n. 21676. Secondo l’ABF, “la scelta del legislatore di riportare all’indietro le lancette dell’orologio per la disciplina intertemporale corrisponde a una politica gradualistica che, mentre da un lato recepisce il principio della ripetibilità del costo totale del credito per i contratti futuri, dall’altro si sforza di non frustrare, per «intuibili esigenze equitative, … l’affidamento riposto dalle parti negli assetti contrattuali concordati secondo le indicazioni consolidate della giurisprudenza nazionale anteriore alla sentenza Lexitor»”. Questa giustificazione, però, non appare convincente.

Come afferma autorevole dottrina in commento (Rivista Diritto Bancario, ottobre-dicembre 2021) non pare potersi ricondurre alla «giurisprudenza nazionale» l’«affidamento» ingenerato nelle imprese del settore in merito alla legittimità della prassi tradizionale di trattenere alcuni costi previa loro qualificazione come up front. In altre e più semplici parole, non si può ritenere la giurisprudenza responsabile del disordine interpretativo in cui si è venuto a trovare il mercato all’esito della pronuncia Lexitor e dei conseguenti problemi pratici in cui è incorso. Le indicazioni dei tribunali italiani non erano forse univoche nel senso di vietare alle imprese di trattenere gli oneri up front, ma non pare questo il punto. Invero, nel settore del credito al consumo, e più in generale nel contesto del mercato bancario quale «mercato regolato» la responsabilità relativa all’attività di specificazione delle modalità con cui devono essere applicate dalle imprese le norme di legge conformative dei prodotti (come l’art. 125-sexies t.u.b.) ricade primariamente (non tanto sui giudici di merito ma) sull’Autorità di Vigilanza, secondo il preciso disegno voluto dal sistema (cfr. artt. 5, 53 e 117, comma 8 t.u.b.).

Da questa visuale, anche l’eventuale «affidamento» sulla stabilità della distinzione operata nei vecchi contratti tra oneri up front e recurring – ingenerato in capo alle imprese dalle disposizioni della Banca d’Italia – sfuma nella sua rilevanza (perde insomma il connotato della ragionevolezza, o se si vuole diventa in una certa misura colpevole), rappresentando i provvedimenti dell’Autorità di settore norme secondarie, comunque sotto-ordinate alla direttiva europea, e che non possono porsi in contrasto con essa. Del resto, su di un piano generale, l’attività dell’Autorità di Vigilanza si sovrappone e non sostituisce mai la principale fonte di eteronomia regolatoria del diritto privato costituita dalla legge primaria.

Per queste evidenti criticità, il Tribunale di Torino il 2 novembre 2021 (pochi mesi dopo l’entrata in vigore della legge che ha beffato i consumatori) ha rimesso dinanzi alla Consulta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 11 octies. Ossia della disposizione transitoria che limita i devastanti effetti della Lexitor fino al 25 luglio 2021, applicando i principi comunitari soltanto per i finanziamenti estinti successivamente a quella data. Come afferma il Giudice piemontese, non rientra nella discrezionalità del singolo stato membro la limitazione dell’efficacia nel tempo di una Direttiva o, in termini equivalenti, della sentenza della Corte di giustizia che determina i limiti in cui le norme della Direttiva hanno efficacia e devono essere applicate, nemmeno se la scelta dello Stato viene giustificata sotto il profilo del rispetto della certezza del diritto e della tutela dell’affidamento legittimo, poiché una tale scelta unilaterale contraddice «l’esigenza fondamentale dell’applicazione uniforme e generale del diritto comunitario», la quale implica che sia, invece, riservato alla Corte di «decidere sulle limitazioni nel tempo da apportare all’interpretazione che essa fornisce» (Corte di giustizia UE, 2 febbraio 1988, in causa 309/85, Barra, punti 12-13), secondo una valutazione caso per caso, diretta ad accertare quando esistano «situazioni eccezionali» in cui la retroattività della pronuncia può provocare il rischio di «gravi inconvenienti» e frustrare la «buona fede degli ambienti interessati» (Corte di giustizia UE 23 maggio 2000, causa C-104/98, Buchner e al., punto 39; Corte di giustizia UE 28 settembre 1994, causa C57/93, Vroege, punto 21).

Secondo una massima più volte ripetuta, il discostamento della Corte dalla naturale retroattività delle proprie sentenze potrebbe ammettersi «solo nella stessa sentenza che statuisce sull’interpretazione richiesta» (Barra, cit., punti 12-13; nel medesimo senso Vroege, cit., punto 31; Corte di giustizia UE, 16 luglio 1992, causa C-163/90, Legros e al., punto 30). Ma la Corte di giustizia UE con la sentenza Lexitor non ha limitato l’efficacia nel tempo della ripetibilità del costo totale del credito e non risulta che sia allo stato ritornata sull’interpretazione dell’art. 16, par. 1 Direttiva neppure in seguito.

La sentenza della Corte di giustizia, quindi, non consente a uno stato membro di limitare a propria discrezione l’efficacia nel tempo dell’interpretazione fornita all’art. 16, par. 1 della Direttiva. Pertanto, sia la limitazione del recepimento di Lexitor ai soli contratti successivi al 25 luglio 2021 (secondo comma, primo periodo), sia la riformulazione del previgente art. 125-sexies (secondo comma, secondo periodo) che ha l’effetto di rendere ragionevolmente impossibile all’autorità giudiziaria di continuare a interpretare l’art. 125-sexies TUB secondo il principio di Lexitor [paragrafo 3.6.], con riguardo ai contratti anteriori al 25 luglio 2021, appaiono in violazione della Direttiva, come interpretata dalla Corte, e mediatamente anche degli articoli 11 e 117 primo comma della Costituzione.

Inoltre, anche a seguire il diverso indirizzo giurisprudenziale che non ammetteva la possibilità di un’interpretazione dell’art. 125-sexies (previgente) secondo il principio espresso dalla Corte di giustizia, resta il fatto che l’attuale testo dell’art. 125-sexies TUB recepisce chiaramente la sentenza e che il comma 2 dell’art. 11-octies, introducendo una differenza di trattamento non giustificata dalle fonti europee, tra contratti anteriori e successivi al 25 luglio 2021, risulta discriminatorio e sospetto di illegittimità costituzionale anche ai sensi dell’art. 3 della Costituzione.

Per tutti questi motivi, i consumatori restano in attesa della decisione della Consulta che, se dichiarerà la incostituzionalità dell’art. 11-octies del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73, cancellerà la distinzione temporale operata dal Governo e aprirà le porte ad un contenzioso di proporzioni gigantesche.

Avv. Felice Raimondo


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