Il caos plusvalenze sta agitando il mondo del calcio. Dopo aver analizzato la problematica in termini storici/generali (Link) ed averne approfondito le conseguenze in ambito sportivo (Link), la domanda da porsi è questa: esiste un modo per poter arginare gli abusi che derivano dall’utilizzo massiccio delle plusvalenze?
L’ordinamento sportivo al momento è sprovvisto di norme in grado di porre un freno alle plusvalenze “malsane”, ossia quelle prive di flussi di cassa che si registrano con operazioni a specchio dove entrambe le società iscrivono a bilancio corpose plusvalenze senza muovere denaro. Artifizi contabili che, se da un lato generano effetti positivi limitati alla singola stagione di riferimento, dall’altra aumentano i costi pluriennali attraverso una maggiore spesa per gli ammortamenti, oppure attraverso svalutazioni necessarie quando si rescindono subito i contratti di quei giocatori utili solo per fabbricare le plusvalenze, ma inutili sul piano sportivo.
Come detto nell’ultimo approfondimento, i Tribunali sportivi oggi possono sanzionare – attraverso dei punti di penalizzazione – l’utilizzo improprio e spregiudicato delle plusvalenze “malsane” laddove quest’ultime abbiano rappresentato una situazione finanziaria molto distante da quella reale (art. 31, comma 1, CGS). Ma le sanzioni più pesanti, ossia quelle relative all’esclusione dal campionato di pertinenza o alla revoca del titolo di Campione d’Italia (art. 31, comma 2, CGS), sono agganciate alla dimostrazione – da parte dei Giudici – che quei valori di mercato sono stati gonfiati appositamente per registrare la plusvalenza. E la Giustizia Sportiva, come dimostra il caso Chievo Verona, ha affermato che è impossibile determinare il prezzo di un cartellino in assenza di parametri oggettivi con cui ricavare una valutazione. Questo in ossequio al principio di tassatività.
Ebbene, ciò posto, se il problema fosse soltanto la determinazione presuntiva del valore di un cartellino, basterebbe introdurre nelle norme FIGC quegli stessi criteri già ripetutamente utilizzati dal Tribunale della FIFA (DRC) e dal TAS di Losanna nelle dispute riguardanti l’illegittima interruzione contrattuale (art. 17 FIFA Regulations on the Status and Transfer of Players).
Come già spiegato dallo scrivente (Link) il risarcimento per violazione del contratto (da parte del giocatore o del club), deve essere calcolato nel rispetto della legge nazionale applicabile, della specificità dello sport e di tutti i criteri oggettivi che possono essere pertinenti al caso, come ad esempio:
(1) Compensi e altri benefici previsti dal contratto esistente e / o dal nuovo contratto,
(2) Durata residua del contratto esistente (fino a un massimo di 5 anni),
(3) Importo di qualsiasi commissione o spesa pagata o sostenuta dal precedente club, ammortizzata per la durata del contratto,
(4) Se la violazione si verifica durante i periodi definiti nell’Art. 21.1 (periodo protetto)
In merito alla quantificazione del danno, inoltre, il TAS ha specificato che l’attribuzione di un indennizzo sulla base dei costi di acquisizione non ammortizzati non è esplicitamente previsto dall’articolo 22 del regolamento, ma è anche costantemente confermato dalla giurisprudenza CAS (CAS 2003 / O / 482, Ortega; CAS 2008 / A / 1519 e 1520, Matuzalem; principio ritenuto “ragionevole” anche in CAS 2007 / A / 1298, 1299 e 1299, Webster).
Ergo, sulla base di queste premesse, una prima soluzione sarebbe quella di ancorare l’incolpazione relativa alla sanzione più grave, ossia quella prevista dall’art. 31, comma 2 CGS, con la dimostrazione, da parte dei Giudici, che sulla base dei parametri oggettivi indicati dalla norma, quella transazione – che non ha prodotto flussi di cassa – è censurabile perché ben superiore ai valori ricavati presuntivamente. A quel punto spetterebbe all’incolpato dimostrare il contrario, ossia che l’operazione “a specchio” rientra nel fair value. Una inversione dell’onere della prova che metterebbe spalle al muro tutti gli indagati e che semplificherebbe il lavoro degli inquirenti e dei Giudici che, invece, oggi hanno le mani legate.
Una seconda soluzione, da considerare aggiuntiva e non alternativa alla precedente, potrebbe essere quella di modificare i requisiti previsti dal Manuale delle Licenze Nazionali per l’iscrizione al campionato. Quindi depurare dalle voci di ricavo quelle relative alle plusvalenze che, come sappiamo, rendono più belli rendiconti finanziari che invece sarebbero brutti come la fame.
Sarebbe bello che la FIGC impiegasse la stessa solerzia con cui ha inserito la norma anti-superlega (che ritengo censurabile dall’Antitrust come ho spiegato nel libro dedicato) anche con le plusvalenze. E che quindi salvaguardasse il sistema calcio che da tanti, troppi anni fa affidamento a trucchi contabili per giustificare spese folli e per salvaguardarsi dalle sanzioni della UEFA.
Un gioco perverso che deve finire.
Avv. Felice Raimondo