Le motivazioni tanto attese sono arrivate 1. La Juventus ha lottato con tutte le sue forze ma le tesi difensive sono state interamente rigettate dinnanzi al Collegio di Garanzia del CONI che ha confermato la decisione della Corte Federale d’Appello, censurandola soltanto limitatamente ai dirigenti privi di deleghe operative. Analizziamo i principali motivi di ricorso.
Capitoli:
- Nessun contrasto tra CGS della FIGC e quello del CONI. Sussistono fatti nuovi e decisivi.
- Nessuna violazione del giusto processo. Confermata l’accusa basata sull’art. 4 CGS.
- L’applicazione dei principi contabili internazionali tra permute e operazioni unitarie.
- Le note ottenute grazie ai ricorsi amministrativi erano inutili ai fini del giudizio in esame.
- Il modello organizzativo ex D.Lgs. 231/2001 non esime la Juventus dall’essere sanzionata. La scriminante non sussiste.
- I dirigenti apicali sono colpevoli, ma quelli con deleghe non operative vanno rigiudicati per carenza motivazionale da parte della CFA.
- Conclusioni: cosa deve attendersi la Juventus.
Le motivazioni: nessun contrasto tra CGS della FIGC e quello del CONI. Sussistono fatti nuovi e decisivi.
Nei primi motivi di ricorso la Juventus ha tentato di demolire la decisione della CFA affermando che, in realtà, non andasse applicato l’art. 63 comma 1, lett. d), del Codice di Giustizia Sportiva della FIGC 2 ma andasse applicato l’art. 63, comma 2, del CGS CONI 3, che, in tema di revocazione, riserva tale rimedio alla sola “parte interessata”, senza contemplare una possibile legittimazione in malam partem anche del Procuratore Federale, diversamente da quanto previsto al primo comma dello stesso articolo per il diverso istituto della revisione.
Questo motivo è stato interamente respinto in quanto, sostiene il Collegio di Garanzia del CONI, l’art. 63 del CGS della FIGC, che disciplina l’istituto della revocazione per i casi sottoposti alla giurisdizione dei Tribunali della Federazione Italiana Gioco Calcio, è stata correttamente ritenuta la norma di riferimento della fattispecie in quanto contenuta nel vigente Codice di Giustizia Federale approvato dalla Giunta Nazionale del CONI, ai sensi dell’art. 7, comma 5, lett. l), dello Statuto CONI per la conformità anche ai principi di giustizia sportiva e alle regole dettate dal Codice della Giustizia Sportiva del CONI, con deliberazione n. 258 dell’11 giugno 2019.
Secondo il Collegio, il Procuratore doveva necessariamente applicare le norme previste dal CGS della FIGC perché il superiore CGS del CONI non fa altro che dettare “una cornice regolamentare” dentro la quale, poi, le singole Federazioni Sportive devono dettagliare una disciplina specifica che integra e si affianca a quella generale del CONI, nonché di regolare i procedimenti di giustizia nel rispetto dei principi dettati dal Codice di Giustizia Sportiva del CONI.
Peraltro, l’art. 63 CGS della FIGC, laddove fosse stato ritenuto lesivo dei diritti di società o tesserati, così come sostenuto dallo stesso Collegio di Garanzia 4 doveva essere impugnato nei tempi e nei modi già indicati dal Collegio (cosa che non è stata fatta) 5.
Per tutti questi motivi, quindi, non vi è alcun contrasto tra la normativa FIGC e quella del CONI. Peraltro, aggiunge il Collegio, la disciplina contenuta nel Codice di Giustizia della FIGC è una disciplina che, anche in tema di revocazione, risulta articolata ed organica (più di quella dettata nel CGS del CONI) ed evidentemente è stata formulata per le esigenze della Federazione, nei limiti della sua riconosciuta autonomia.
Bocciata anche la censura riguardante la qualificazione di “fatti nuovi”, che vengono confermati come tali anche dal Collegio che, di conseguenza, ha avallato il motivo per cui la Procura ha proceduto alla revocazione. L’acquisizione dei nuovi documenti ha, dunque, consentito alla Corte d’Appello Federale di effettuare una nuova valutazione e una nuova qualificazione dei fatti anche in relazione all’elemento oggettivo e, comunque, di avere una nuova chiave di lettura complessiva, anche grazie agli elementi emersi dalla nuova documentazione acquisita, tanto che, appunto, se fossero stati conosciuti prima avrebbero determinato conclusioni diverse e, quindi, una pronuncia diversa.
Le motivazioni: nessuna violazione del giusto processo. Confermata l’accusa basata sull’art. 4 CGS.
Lo scoglio più insidioso per la “tenuta” della decisione, a detta di molti giuristi, poteva essere la conferma o meno della sanzione basata sull’art. 4 del CGS della FIGC 6, che disciplina i doveri di lealtà e probità in capo a società e tesserati.
Secondo le tesi difensive, quell’articolo non era mai stato contestato direttamente alla Juventus (ma solo ai dirigenti) e, quindi, la società poteva essere sanzionata soltanto limitatamente all’art. 31, co. 1, CGS 7, articolo contestato al club (unitamente alla responsabilità oggettiva ex art. 6 CGS) che fa riferimento a violazioni gestionali ed economiche a cui sono ricollegate soltanto ammende e non punti di penalizzazione. Secondo la Juventus, condannarla in base all’art. 4 CGS avrebbe causato una violazione dei principi del giusto processo e quindi un vulnus difensivo, impedendo al club di difendersi nel miglior modo possibile.
Lo scrivente, in verità, fin da subito ha espresso forti perplessità sulla solidità di questa tesi difensiva (articolo del 30 gennaio 2023: Le motivazioni della Corte Federale d’Appello: ecco perché la Juventus è stata penalizzata di 15 punti).
Ebbene, il Collegio di Garanzia, aderendo alla tesi dello scrivente, in plurimi passaggi motivazionali ha spiegato per quale motivo è stato legittimo applicare l’art. 4 CGS.
La domanda che ponevo ai lettori era questa: <<si può sostenere che la violazione dei doveri di lealtà e probità a carico della Juve non sia riconducibile al perimetro fattuale indicato nell’originario atto di deferimento? Cioè, aver condannato la Juve non solo per l’art. 31, comma 1, CGS, ma pure per l’art. 4 CGS, vorrebbe dire aver sanzionato il club per comportamenti non riconducibili alle plusvalenze?>>.
La risposta sottintesa era “no”, ed è quello che ha affermato il Collegio di Garanzia:
“2.2.1. Non è, quindi, mutato il thema decidendum, come sostengono i ricorrenti, ma è il quadro probatorio emerso dai documenti trasmessi dalla Procura della Repubblica che si è rafforzato in modo decisivo (e con elementi nuovi e non conosciuti), tanto da poter giustificare la richiesta di revocazione della sentenza di assoluzione già emessa sulla base del materiale probatorio all’epoca a disposizione della Procura Federale e sulla base del quale gli organi della Giustizia Federale avevano pronunciato l’assoluzione dei ricorrenti.
2.2.2. Dai nuovi elementi emersi e, quindi, dai nuovi “fatti” che hanno giustificato la revocazione della precedente sentenza di assoluzione, si è potuto rilevare l’esistenza di comportamenti non corretti “sistematici e ripetuti”, frutto di un disegno preordinato di alterazione delle operazioni di trasferimento e dei relativi valori, che hanno prodotto chiari effetti (che erano voluti dagli stessi attori) sui documenti e sui valori contabili della società e, quindi, considerata la rilevanza degli elementi emersi, anche sulla sua leale partecipazione alle competizioni sportive. Tali nuovi elementi, di cui non disponevano gli organi della Giustizia Federale nella precedente fase del giudizio, non hanno, quindi, mutato il reale oggetto dell’incolpazione, ma hanno solo arricchito in modo decisivo il quadro fattuale e ne hanno definito molto meglio i contenuti, dando contezza della fondatezza del deferimento che si basava (e non poteva essere diversamente) sugli atti e i fatti all’epoca a disposizione degli organi della Giustizia Federale“.
Parimenti infondata, poi, è la censura riguardante la tipologia di sanzione applicabile (ammenda prevista dall’art. 31 CGS e non punti previsti dall’art. 4 CGS).
Il ragionamento dello scrivente era questo che segue: <<Negli ultimi giorni si è letto che la Juve avrebbe eccepito alla Procura il fatto che l’art. 4 CGS (dovere di lealtà e probità) non è stato mai contestato direttamente al club ma solo ai suoi dirigenti. E per tale motivo la Corte d’Appello non avrebbe potuto incolpare la società sulla sola base di quell’articolo. Tuttavia il diritto sportivo si fonda sulla c.d. responsabilità oggettiva (art. 6 CGS) in base al quale “La società risponde direttamente dell’operato di chi la rappresenta ai sensi delle norme federali”. E l’articolo 6, infatti, è stato contestato alla Juventus nell’atto di deferimento, unitamente all’art. 31, co. 1, CGS. Per tale motivo è presumibile ipotizzare che il Procuratore non abbia ritenuto necessario imputare alla Juve anche l’art. 4 CGS perché, sulla base del richiamato art. 6 CGS, il club risponde sempre direttamente e oggettivamente dell’operato di chi la rappresenta; ossia dei dirigenti ai quali, invece, è stato contestato singolarmente l’art. 4 CGS. La CAF, in conclusione, afferma che “Resta quindi intatto il punto centrale della contestazione disciplinare: la condotta della FC Juventus S.p.A. e dei relativi amministratori e dirigenti – per tutto quanto sopra spiegato – viola l’art. 4, comma 1, CGS oltre che l’art. 31, comma 1, CGS”. Quindi la Juve non solo è stata ritenuta colpevole oggettivamente (per il tramite dei suoi dirigenti) della violazione riguardante l’art. 4 CGS, ma è stata condannata anche per la violazione dell’art. 31, comma 1, CGS.
A parere di chi scrive la mancata contestazione “diretta” dell’art. 4 CGS non ha portato a violazioni del diritto di difesa perché la Juventus era ben cosciente di rispondere oggettivamente dell’operato dei suoi dirigenti dato che tale contestazione (art. 6 CGS) gli era stata formulata. Impedire alla CFA di sindacare sulla lealtà e probità del club bianconero – per il semplice motivo che l’art. 4 CGS sia stato contestato solo ai dirigenti e non anche alla società – svuoterebbe di significato l’art. 6 CGS. E’ bene ricordare che secondo la consolidata giurisprudenza sportiva “la responsabilità oggettiva consegue in termini automatici e legali a quella materiale del responsabile fisico, e non può, quindi, in nessun caso, essere elusa, ma solo graduata e misurata nei suoi limiti quantitativi sanzionatori” (Decisione C.F.A. – Sezioni Unite, C.U. n. 78/CFA del 22 Gennaio 2018; Decisione Collegio di Garanzia dello Sport – Sezione Prima, n. 52/2019; Decisione CFA, Comunicato Ufficiale n. 124/CFA del 19 Maggio 2016; C.U. n. 101/CDN (2011/2012) del 18 giugno 2012; C.U. n. 029/CGF, di cui al C.U n. 068/CGF (2012/2013) del 20 agosto 2012).>>
Il Collegio di Garanzia si è espresso in termini analoghi, affermando che non è fondata la questione riguardante la tipologia di sanzione irrogata in concreto dalla Corte Federale d’Appello nella contestata decisione (per la Juventus la penalizzazione di punti in classifica e non la semplice ammenda per la violazione dell’art. 31 del R.G.S.), tenuto conto che è nelle prerogative dell’organo giudicante non solo dare l’esatta qualificazione giuridica dei fatti contestati, ma anche (in concreto) irrogare una sanzione adeguata, fra quelle previste, per l’illecito accertato, dal Codice di Giustizia. In conseguenza, non ha rilievo la circostanza che alla Juventus era stata contestata, in sede di deferimento, solo la violazione dell’art. 31, comma 1, del Regolamento di Giustizia, con la conseguente possibile applicazione di una semplice ammenda, avendo poi la Corte Federale chiaramente indicato nelle sue motivazioni le ragioni per le quali, sulla base dei nuovi fatti, doveva essere applicata la sanzione prevista per la violazione dei principi di lealtà e correttezza di cui all’art. 4, comma 1, del CGS della FIGC.
Peraltro, la Juventus, sostiene sempre il Collegio di Garanzia, ribadendo la tesi dello scrivente, in quanto società, risponde comunque, ai sensi dell’art. 6 del Regolamento di Giustizia della FIGC, per le azioni commesse dai suoi rappresentanti e dirigenti nei confronti dei quali era stata contestata anche la violazione dell’art. 4 del CGS della FIGC, che impone ai soggetti di cui al precedente art. 2 (società, dirigenti, atleti, tecnici, e ogni altro soggetto che svolge attività di carattere agonistico, tecnico, organizzativo, decisionale o comunque rilevante per l’ordinamento federale) il rispetto delle norme federali e l’osservanza dei principi della lealtà, della correttezza e della probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva. Né, secondo il Collegio, ha alcun rilievo la circostanza che, nella decisione impugnata, non risulterebbe richiamato il suddetto articolo 6 del CGS, posto che tale articolo è comunque quello che detta la disciplina per la responsabilità delle società sportive che, ai sensi del comma 1, rispondono direttamente dell’operato di chi la rappresenta e, al comma 2, rispondono, ai fini disciplinari, dell’operato dei dirigenti, dei tesserati e degli altri soggetti indicati nel precedente articolo 2, comma 2.
Il Collegio integra ulteriormente il ragionamento anche più avanti, laddove afferma l’art. 4 del CGS della FIGC, come si è già detto, è una norma di carattere generale nell’ambito della quale la Corte Federale d’Appello riconduce correttamente il comportamento tenuto dai deferiti, contrario ai principi della leale partecipazione alle competizioni sportive, diretto intenzionalmente a “evitare di dover verificare, volta per volta, l’effettiva applicabilità per FC Juventus S.p.A. di eventuali limiti contabili alla legittimità della plusvalenza (o delle immobilizzazioni ottenute per lo scambio)”.
Del resto, a causa dell’imponente materiale probatorio, le alterazioni dei valori dei calciatori (e, quindi, le plusvalenze fittizie), essendo state provate dal punto di vista soggettivo (con le numerose intercettazioni e prove a corredo) non erano frutto di operazioni isolate, ma vi era una preordinata sistematicità delle condotte e, quindi, l’esistenza di comportamenti non corretti “sistematici e ripetuti”, frutto di un disegno preordinato, che hanno prodotto chiari effetti (voluti dagli stessi attori) sui documenti contabili della società e, quindi, in definitiva, anche sulla sua leale partecipazione alle competizioni sportive, con la conseguente coerente applicazione, ai fini della fattispecie sanzionabile, dell’art. 4, comma 1, del CGS della FIGC.
Il Collegio ribadisce: non sussiste nessuna ibridazione, quindi, di illecito disciplinare sportivo che mescoli la fattispecie prevista dall’art. 31 CGS, comma 1 (violazione in materia gestionale ed economica) con quella prevista dall’art. 30 CGS 8 (illecito sportivo e obbligo di denuncia). La CFA, sostiene il Collegio, esercitando i suoi poteri di esatta qualificazione giuridica dei fatti contestati e di applicazione delle relative sanzioni, ha ritenuto, infatti, sulla base dei nuovi fatti emersi che hanno giustificato la revocazione della sua precedente decisione, che risultava violato anche e soprattutto l’art. 4, comma 1, del CGS, per le ragioni che sono state ampiamente esposte, con coerenza logica, nelle pagine 32 e 33 della sentenza impugnata.
Nei successivi punti della decisione, il Collegio affronta anche il discorso riguardante il principio di contestazione, sancito dall’art. 125, comma 4, CGS FIGC, che afferma come “nell’atto di deferimento sono descritti i fatti che si assumono accaduti, vengono enunciate le norme che si assumono violate, indicate le fonti di prova acquisite nonché formulata la richiesta di fissazione del procedimento disciplinare”.
Anche lo scrivente ne aveva parlato nell’approfondimento del 30 gennaio 2023. All’epoca esprimevo dubbi sul fatto che i giudici federali fossero ancorati rigidamente al contenuto dell’atto di deferimento.
Dall’articolo del 30 gennaio 2023: La descrizione dei fatti contestati, in particolare, è funzionale alla corretta instaurazione del contraddittorio affinché la difesa dell’incolpato possa essere consapevolmente ed efficacemente svolta.
In base alla consolidata giurisprudenza in ambito sportivo sulla scorta dell’orientamento della Cassazione penale “per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione (Cass. pen. SS.UU., sentenza n. 35551 del 15.7.2010)” (ex multis CFA- Sezione I, decisione n. 58/CFA/2020-2021).
A sostegno, anche la giurisprudenza penale più recente che così interpreta l’art. 521 c.p.p.: “Questa Corte ha già chiarito che “in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione” (In tal senso, Cass. pen. Sez. V, Sent., 02-03-2022, n. 7540; cfr. anche SS.UU. n. 36551 del 15/07/2010).
Sulla base della stessa giurisprudenza richiamata, infatti, “sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza se il fatto contestato sia mutato nei suoi elementi essenziali, così da provocare una situazione di incertezza e di cambiamento sostanziale della fisionomia dell’ipotesi accusatoria capace di impedire o menomare il diritto di difesa dell’imputato“ (Cass. Sez. 6, n. 6346 del 09/11/2012; idem, Cass. pen. Sez. V, Sent., 02-03-2022, n. 7534).
La violazione di questi principi fa scattare quella dell’art. 44 CGS, che disciplina il giusto processo.
Anche su questo aspetto il Collegio di Garanzia ha pienamente confermato quanto sosteneva lo scrivente.
Secondo i giudici dell’ultimo grado “il principio della correlazione tra accusa (fatto contestato) e difesa (possibilità di esercitare il diritto di difesa) va inteso non in senso “meccanicistico formale”, come ha sottolineato la giurisprudenza anche penale, ma in funzione della finalità cui è ispirato, quella, cioè, della tutela del diritto di difesa, sicché l’indagine sulla sua osservanza dev’essere condotta attraverso l’accertamento della possibilità per il deferito di difendersi in relazione a tutte le circostanze del fatto.
Nel caso in esame, il fatto è stato contestato nei suoi elementi strutturali e sostanziali, anche dopo il ricorso per revocazione, in modo da consentire un completo contraddittorio ed il pieno esercizio del diritto di difesa con riferimento a tutti quegli atti che, inseriti nel fascicolo processuale, hanno posto la società deferita in condizione di conoscere in modo ampio le violazioni contestate.
La giurisprudenza, peraltro, pacificamente riconosce il potere del giudice di riqualificare il fatto giuridico in sede giudiziale sportiva e, quindi, di sussumere il fatto all’interno di una fattispecie normativa differente da quella descritta dalla Procura nell’atto di deferimento (ex multis Decisione C.F.A. – Sezioni Unite, pubblicata sul CU n. 0057/CFA del 19 dicembre 2022; Collegio di Garanzia, Sezioni Unite, n. 26/2018); la riqualificazione giuridica del fatto costituisce, infatti, un potere intrinsecamente devoluto alla giurisdizione.
Ne consegue che la verifica dell’osservanza di detto principio non può esaurirsi alla luce di un mero esame formale della lettera dell’imputazione, essendo necessario che l’indagine venga condotta attraverso l’accertamento della possibilità per l’imputato di difendersi in relazione a tutte le circostanze del fatto.
La suddetta conclusione è supportata, oltre che dal principio di informalità del procedimento sportivo (posto dalla disposizione di cui all’art. 2, comma 6, del Codice di giustizia sportiva del CONI), anche dai principi del giusto processo costituzionalmente codificati e dal principio di effettività della tutela giurisdizionale, affermato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che ha rimarcato le esigenze connesse alla domanda di giustizia, evidenziando come, dunque, occorra, per quanto possibile, interpretare la norma processuale nella prospettiva di garantire una effettiva risposta da parte degli organi di amministrazione della giustizia.
L’obbligo di contestazione degli addebiti deve ritenersi assolto con la specifica e precisa enunciazione del fatto di cui si ritiene che un soggetto si sia reso responsabile, non essendo indispensabile la qualificazione del fatto sotto il profilo giuridico. E’, quindi, necessario e sufficiente individuare e indicare i fatti addebitati nel loro nucleo materiale con chiarezza, manifestando formalmente la precisa volontà di far derivare da essi un’eventuale responsabilità disciplinare. In tal senso, pertanto, deve intendersi, il c.d. principio di immutabilità (o immodificabilità) della contestazione. D’altro canto, dall’art. 125 del Codice della giustizia sportiva – che al comma 4 prevede che “Nell’atto di deferimento sono descritti i fatti che si assumono accaduti, vengono enunciate le norme che si assumono violate, indicate le fonti di prova acquisite nonché formulata la richiesta di fissazione del procedimento disciplinare” – non può desumersi in alcun modo il principio di immutabilità delle norme che si assumono violate, ma solo la previsione dell’indicazione delle stesse“.
Le motivazioni: l’applicazione dei principi contabili internazionali tra permute e operazioni unitarie.
Secondo la Juventus vi è stata una errata interpretazione da parte dell’accusa dei principi contabili internazionali nel caso relativo alle plusvalenze. Il club bianconero ha sostenuto che andava applicato lo IAS 38, paragrafi 25-113, quindi le plusvalenze incrociate erano da considerare operazioni separate e non unitarie. Invece CONSOB e Procura hanno affermato che andava applicato lo IAS 38, paragrafo 45, relativo alle permute; cioè operazioni unitarie.
La differenza non è irrilevante perché se si considerano gli scambi incrociati così come fa la Juve, allora si genera plusvalenza. Se invece si considerano gli scambi incrociati come fa l’accusa, allora le plusvalenze svaniscono.
La Juventus sostiene che il principio contabile applicato da essa (e da tutta la football industry), ossia lo IAS 38, §§ 25 e ss. e 113 (applicabile alle “dismissioni” di asset immateriali), è stato applicato dalla CONSOB alle operazioni incrociate per la prima volta nel procedimento riguardante la Società nell’ambito del procedimento finalizzato all’adozione della misura prevista dall’art. 154-ter comma 7, D.lgs. n. 58 del 1998, notificata alla Juventus in data 28 luglio 2022.
Si tratterebbe, sostiene la Juve, di un’interpretazione estensiva che in Italia nessun club calcistico – quotato o non quotato – ha mai adottato in relazione alle plusvalenze derivanti da operazioni c.d. incrociate e la cui applicabilità nel settore non è mai stata nemmeno ipotizzata da nessuno dei molteplici soggetti ed Autorità (ivi inclusi la stessa Procura Federale, la Co.Vi.So.C., la Uefa o altri organismi nazionali o internazionali) che hanno nel tempo esaminato, anche dal punto di vista contabile, le operazioni c.d. incrociate realizzate dalle società calcistiche (tale circostanza emergerebbe chiara dalla “Relazione per la Commissione” del 22 luglio 2022 della stessa CONSOB). Pertanto, non sarebbe possibile ipotizzare la violazione dell’art. 4 CGS FIGC, né quella dell’art. 31, comma 1, per la violazione di un principio contabile mai affermato prima nel settore.
Inoltre, sempre secondo la Juve, anche i club non quotati dovrebbero interpretare le plusvalenze come sostengono CONSOB e Procura perché il principio contabile OIC 16 §82 e 83 regola la contabilizzazione della permuta di immobilizzazioni materiali in termini analoghi a quanto previsto dal principio IAS 38 §45.
Il Collegio di Garanzia, pur non tornando nel merito, ha interamente rigettato queste considerazioni e questo è un colpo durissimo che potrà riverberarsi anche nel giudizio penale.
Nel dettaglio, il Collegio afferma che “il riferimento al principio contabile IAS (International Accounting Standards) 38, §§ 45, sul quale, in particolare, si sono soffermati gli avvocati difensori nell’udienza dibattimentale del 19 aprile 2023, costituisce solo una parte della motivazione di una decisione che richiama tale principio in alcuni brevi periodi, nelle pagine 23 e 24, e che risulterebbe comunque coerente e non manifestamente illogica anche a prescindere da tale riferimento. Il principio contabile appare, peraltro, correttamente e compiutamente analizzato dalla Corte Federale d’Appello.
Va ricordato che si tratta di un principio contabile internazionale approvato dal Board dello IASC nel luglio del 1998 e che è entrato in vigore a partire dai bilanci degli esercizi con inizio dal 1° luglio 1999. Come chiarito anche dall’IFRS – International Financial Reporting Standards, la finalità di questo principio è quella di definire il corretto trattamento contabile delle attività immateriali non specificamente trattate in altri Principi Contabili Internazionali. Esso precisa come determinare il valore contabile delle attività immateriali.
Non si tratta, quindi, di un principio “nuovo” che non poteva essere applicato che successivamente
alla più volta citata delibera della CONSOB del luglio 2022. Peraltro, in ragione delle connotazioni societarie della Juventus F.C. S.p.A. – società quotata nei mercati regolamentati -, alla stessa sono applicabili i principi contabili internazionali IAS/IRFS, ai sensi del D.lgs. 28 febbraio 2005, n. 38, tra i quali rileva, come peraltro riportato nella impugnata decisione, lo IAS38, paragrafo 45, il quale fa riferimento alle attività immateriali il cui costo è valutato al fair value (valore equo)“.
La decisione della Corte Federale d’Appello, sostiene il Collegio, basa le sue motivazioni su un giudizio globale di valutazione dell’attendibilità dei bilanci ai fini della sussistenza della violazione dell’art. 4, comma 1, CGS e le contestazioni riguardanti l’errata applicazione dei principi contabili internazionali risulta adeguatamente motivata e immune da vizi logici.
Le motivazioni: le note ottenute grazie ai ricorsi amministrativi erano inutili ai fini del giudizio in esame.
Lo scrivente aveva già discusso dei giudizi riguardanti l’ottenimento delle note (La giustizia amministrativa bacchetta la FIGC: la Juve ha diritto ad avere la nota 10940. I motivi dietro la decisione), affermando che molto probabilmente quelle note – sulla base di quanto rivelato dai media – non contenevano alcun elemento decisivo, tale da far annullare la sanzione inflitta alla Juve. Alla luce di quanto dichiarato dal Collegio di Garanzia, anche questa considerazione si è rivelata esatta.
Com’è possibile leggere nelle motivazioni, si è trattato semplicemente di uno scambio di informazioni di sei pagine nel corso delle quali la Juventus F.C. S.p.A. non viene mai nominata.
Il tema delle plusvalenze è trattato, ma il Procuratore Federale, scrivendo al Presidente della Co.Vi.So.C, P.B., cita i casi relativi agli scambi tra Chievo e Cesena e tra Perugia e Atalanta. In ogni caso, le richiamate considerazioni contenute nella citata nota del 14 aprile 2021 non sono neanche “potenzialmente” rivelatrici di una “notizia dell’illecito”, tanto da violare i richiamati articoli 44, 63 e 119 del CGS della FIGC, sia perché – si ribadisce – non fanno mai riferimento né implicito né esplicito alla Juventus F.C. S.p.A., sia perché esprimono in termini generali considerazioni di metodo, peraltro, in continuità con le precedenti modalità di svolgimento delle indagini e con un richiamo espresso in termini meramente ricognitivi alla giurisprudenza in materia.
Le motivazioni: il modello organizzativo ex D.Lgs. 231/2001 non esime la Juventus dall’essere sanzionata. La scriminante non sussiste.
Questo aspetto poteva essere una “ultima spiaggia” da giocarsi anche in sede di secondo giudizio davanti alla CFA, ma il Collegio di Garanzia ha impietosamente bocciato anche tale difesa.
Infatti, come già spiegato dallo scrivente in un approfondimento sul sito Studio Cataldi (Calcio: cosa cambia con il decreto 231/2001) in base all’art. 7 CGS 9 i modelli di organizzazione possono scriminare le società se quest’ultime dimostrano di averli applicati con efficacia. L’ultima parola, tuttavia, spetta al giudicante che dovrà, appunto, valutare l’adozione, l’idoneità, l’efficacia e l’effettivo funzionamento del modello di organizzazione, gestione e controllo di cui all’art. 7, comma 5 dello Statuto.
Ebbene, il Collego di Garanzia afferma che la Juventus nella sua censura fa riferimento all’adozione di un Modello ex D.lgs. n. 231/2001 che si assume rispettare i requisiti elencati dall’art. 7, comma 5, dello Statuto Federale e riportati letteralmente nel ricorso, senza altre precisazioni e senza, peraltro, specificare, anche ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso stesso, se e in che termini era stata proposta la medesima questione innanzi alla Corte Federale d’Appello, limitandosi ad addebitare a quest’ultima la mancata valutazione del predetto modello.
Manca, pertanto, nel motivo di ricorso, la dimostrazione che l’adozione del modello per le sue caratteristiche strutturali e non solo per la sua mera conformità alle direttive federali fosse in grado di fungere da scriminante o attenuante della responsabilità della società.
Manca, in altre parole, la dimostrazione che l’adozione di quel modello organizzativo e di gestione delineato in astratto sia idoneo anche in concreto a prevenire i comportamenti quali quelli verificatesi e contestati e che, pertanto, valga a escludere (o ad attenuare) la responsabilità delle figure apicali o delle persone sottoposte alla loro direzione o vigilanza ex artt. 6 e 7 del D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231. Peraltro, la questione diventa irrilevante tenuto conto che sono stati soggetti esterni alla società (la Procura della Repubblica, la Consob, la CO.VI.SO.C.), e non gli organi di vigilanza interna, a far emergere la vicenda nella sua rilevanza.
Le motivazioni: i dirigenti apicali sono colpevoli, ma quelli con deleghe non operative vanno rigiudicati per carenza motivazionale da parte della CFA.
Il Collegio di Garanzia ha confermato la condanna dei dirigenti apicali – Agnelli, Arrivabene, Paratici e Cherubini – ritenuti pienamente consapevoli delle operazioni con cui venivano alterati i bilanci.
Tuttavia sono state individuate carenze motivazionali nei riguardi dei dirigenti privi di deleghe operative, ossia Pavel Nedved, Paolo Garimberti, Assia Grazioli – Venier, Caitlin Mary Hughes, Daniela Marilungo, Francesco Roncaglio. Sul punto, la CFA non ha fornito adeguato supporto motivazionale in ordine al profilo della acclarata responsabilità dei consiglieri di amministrazione, affermando – invero apoditticamente – che “il consiglio di amministrazione nel suo complesso ha condiviso, o quanto meno sopportato, la violazione dei principi sportivi” oggetto dell’iniziale deferimento della Procura Federale (pag. 33 della sentenza).
La CFA si è limitata ad affermare – in via del tutto generica – di essersi riferita alle intercettazioni poste alla base della sentenza impugnata, pur connotate da gravi ed evidenti criticità, ma senza indicare le ragioni dell’affermato coinvolgimento effettivo e concreto dei soggetti incaricati della gestione societaria della Juventus F.C. S.p.A. nelle operazioni sportive di compravendita di calciatori che hanno generato le più volte citate plusvalenze.
Il presupposto da cui è necessario avviare lo scrutinio della pronuncia resa in ambito federale è quello che concerne la distinzione e le differenze tra gestione societaria e gestione sportiva di una società calcistica – anche nelle ipotesi in cui questa venga quotata nei mercati regolamentati, come la Juventus S.p.A. – che si riverbera coerentemente nella distinzione tra le posizioni dei dirigenti, che hanno posto in essere le operazioni di natura sportiva, e degli amministratori, che in quelle operazioni non appaiono risultare coinvolti o pienamente consapevoli o informati, e che, comunque, non risulta vi abbiano partecipato.
Secondo il Collegio: “la effettiva partecipazione e/o la effettiva consapevolezza dei componenti del CdA – con compiti di gestione societaria e non sportiva – in relazione alle operazioni di natura tipicamente sportiva contestate alla Juventus F.C. S.p.A. e, quindi, la responsabilità personale di costoro in ambito sportivo per le descritte operazioni, avrebbe dovuto essere specificamente valutata dalla Corte Federale di Appello in relazione al modello organizzativo adottato dalla stessa società con attento scrutinio da parte della Corte di merito ai fini della valutazione della coerente ed effettiva responsabilità dei componenti del CdA della Juventus F.C. S.p.A. in relazione alle operazioni di natura gestionale/sportiva poste in essere a monte dell’attività oggettivamente e prettamente riferibile ai consiglieri non esecutivi. Con riferimento, in particolare, alla figura ed alla funzione del Dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili ex art. 154-bis TUF, la cui posizione non è stata vagliata dalla Corte Federale di Appello ed il cui operato risulterebbe, quindi, in linea con l’inconsapevolezza di tutti i ricorrenti membri del CdA, non esecutivi, della Juventus S.p.A. in relazione alle contestate operazioni […]
[…] Si tratta, in conclusione, di una figura dotata di oggettivo rilievo all’interno di una società quotata nei mercati regolamentati – essendo, peraltro, prevista unicamente per tale tipologia di soggetti economici – il cui ruolo ed il cui operato avrebbe dovuto essere oggetto di specifico scrutinio da parte della Corte di merito ai fini della valutazione della coerente ed effettiva responsabilità dei componenti del CdA della Juventus F. C. S.p.A. in relazione alle operazioni di natura gestionale/sportiva poste in essere a monte dell’attività oggettivamente e prettamente riferibile ai consiglieri non esecutivi”.
Il Collegio censura la motivazione anche in ordine a quella che viene definita “diffusa consapevolezza” degli illeciti commessi. Sul punto viene affermato che:
“…i superiori principi (penalistici) sono stati, altresì, adottati e condivisi anche in ambito sportivo dalla giurisprudenza dell’odierno Collegio, avendo sancito che “seppure non esista un dovere degli amministratori di non commettere errori e nemmeno di essere <> nei più diversi settori dell’organizzazione e della gestione dell’impresa sociale, tuttavia, è espressione del principio che le loro scelte <>” (Collegio di Garanzia dello Sport, SS.UU., n. 42/2017).
Delineato in tal senso il quadro normativo, osserva il Collegio che la sentenza impugnata, resa a carico degli amministratori privi di deleghe operative, è, quindi, carente nella propria parte motiva laddove la Corte Federale – con motivazione da ritenere apparente – ha fatto riferimento ad una generica, ma indimostrata, “consapevolezza diffusa”, ovvero ad una asserita condivisione, da parte di detti amministratori, dei concreti dettagli e delle finalità delle operazioni sportive scrutinate, omettendo di fornire adeguato supporto motivazionale di tali affermate ed indimostrate circostanze.
In argomento – seppure con riferimento ai profili della responsabilità disciplinare – l’odierno Collegio ha censurato una pronuncia di merito, accogliendo il motivo di gravame, atteso che la Corte Federale aveva ricostruito la responsabilità degli amministratori sulla base di una mera elencazione di elementi di fatto, “senza indicare specificamente i criteri in base ai quali tali elementi di fatto sono collegati in modo specifico ai profili della riscontrata responsabilità[…]nel caso di specie, ancora più necessario, trattandosi di amministratori privi di poteri esecutivi perché privi di deleghe e la decisione della Corte di Appello Federale, quindi, ne avrebbe dovuto tenere conto attraverso una motivazione più diffusa e articolata” (Collegio di Garanzia, SS.UU., n. 42/2017 cit.).
Con riferimento alla fattispecie portata all’esame del Collegio, non risulta, infatti, in alcun modo provato che vi siano state, in concreto, una o plurime oggettive violazioni da parte degli amministratori privi di deleghe della Juventus S.p.A. del citato obbligo di agire informati di cui all’art. 2381 c.c.
In ragione di quanto sopra rilevato, il Collegio di Garanzia dello Sport – in accoglimento del motivo n. VI del ricorso n. 17/2023, proposto dal Dott. E.V., e del ricorso n. 18/2023, proposto congiuntamente dai Signori P.N., P.G., A. G.-V., C.M.H., D.M. e F.R. dispone l’annullamento della decisione impugnata in parte qua, rinviando alla Corte Federale di Appello, in diversa composizione, affinché rinnovi la valutazione con particolare riferimento alla determinazione dell’eventuale apporto causale dei singoli amministratori e con riferimento alle singole posizioni, valutandone le conoscenze ad ognuna di esse attribuibili in base all’art. 2392 c.c., fornendone adeguata motivazione ed attribuendo un coerente rilievo sanzionatorio che risulti in linea con l’assenza di violazioni riferibili all’attività gestionale/sportiva in capo ai ricorrenti.
La valutazione, come sopra elaborata, di accoglimento parziale dei ricorsi n. 17/2023 e n.18/2023, proposti dagli amministratori non esecutivi in relazione all’assetto sanzionatorio applicato dal Giudice Federale d’Appello, riverbera effetti anche sulla posizione della società Juventus F.C. S.p.A. nella specifica fattispecie contestata, rilevante conseguentemente ai sensi e per gli effetti dell’art. 6 CGS FIGC, il quale sancisce il principio della responsabilità della società non solo per l’operato di chi la rappresenta, ma anche per l’operato dei dirigenti, dei tesserati e degli ulteriori soggetti individuati all’art. 2, comma, 2, del medesimo Codice. Considerato, infatti, che la misura della sanzione della penalizzazione inflitta alla Juventus F.C. S.p.A. risulta determinata in relazione alle accertate violazioni dei suoi rappresentanti e dei suoi dirigenti, nonché dei suoi amministratori senza delega, il venir meno, per l’accertato vizio motivazionale, della sanzione per questi ultimi si riflette, allo stato, anche sulla sanzione complessiva irrogata alla società e rende, quindi, necessaria una nuova valutazione della Corte Federale d’Appello sulle eventuali responsabilità dei singoli amministratori senza delega e poi anche della stessa società Juventus F.C. S.p.A“.
Conclusioni: cosa deve attendersi la Juventus.
Il Collegio di Garanzia ha confermato le accuse più gravi: quelle riguardanti i doveri di lealtà e probità (art. 4 CGS) e le responsabilità dei dirigenti apicali. Per questo motivo, sebbene i ricorsi dei dirigenti privi di deleghe siano stati accolti, non è lecito attendersi la mano leggera da parte della CFA che potrà esprimersi entro 30 giorni, dunque anche a campionato concluso.
Non è detto che i 15 punti verranno sicuramente ridotti ma, laddove la CFA non riuscirà a motivare adeguatamente sulla responsabilità dei dirigenti non apicali nei limiti descritti dal Collegio, i giudici dell’appello dovranno inevitabilmente rivedere al ribasso la sanzione che potrebbe subire una limatura.
E’ impossibile prevedere la portata di questa riduzione ma bisogna considerare che l’afflittività della pena comporta che la stessa non sia irrilevante e che, soprattutto, sia predeterminata. Dunque afflittività non vuol dire “segare le gambe alla Juventus” ma sanzionarla in modo congruo. Ricordo a tutti che il Milan nel processo Calciopoli venne penalizzato di 30 punti nel campionato 2005-2006 (passò da 88 punti a 58, terzo classificato), e 8 punti di penalizzazione nel campionato 2006-2007 (da 69 a 61, quarto classificato a +3 sul Palermo).
In totale 38 punti di penalizzazione che sono stati considerati afflittivi, sebbene non avessero causato l’esclusione dalla Champions, che poi venne pure vinta dal club rossonero. La UEFA, all’epoca, non escluse il Milan ma lo additò con una lettera di reprimenda affermando di “tenerlo d’occhio”.
Il caso della Juve è complesso perché al momento si trova soltanto a +3 dal quarto posto e difficilmente la nuova penalizzazione potrà essere considerata afflittiva se, ad esempio, venisse irrogata una sanzione di soli 3 punti che imporrebbe al club di passare dal secondo al terzo o quarto posto. Più verosimile che la penalità sia tra i 9 (richiesta iniziale del Procuratore) e i 15 punti. Se poi questo comporterà l’esclusione dalla Champions lo capiremo soltanto al termine del campionato perché è verosimile ipotizzare che la CFA attenda anche il termine della stagione. L’alternativa, a discrezione della CFA, è quella di applicare la sanzione nel prossimo campionato laddove venisse ritenuta non afflittiva la sua applicazione nella stagione corrente.
Le ipotesi sono molte, dato che la Juventus potrebbe anche vincere la Europa League. A quel punto maturerebbe il diritto di partecipare alla Champions grazie al regolamento UEFA ma appare difficile immaginare che la Confederazione consentirà la partecipazione al club bianconero, limitandosi ad una lettera di reprimenda così come fece col Milan nel 2007. Se quindi la Juventus venisse sanzionata nella stagione 2022/23 con un punteggio tale da non escluderla dalle prime 4 (ipotesi di scuola che difficilmente accadrà) a quel punto potrebbe essere la UEFA ad escluderla con un procedimento già avviato e che potrebbe concludersi entro giugno, per fare in modo che poi il ricorso al TAS – con la procedura accelerata – si concluda entro fine luglio, in tempo per la formazione dei tabelloni. E’ bene sottolineare che al momento le accuse più gravi nei confronti dei dirigenti apicali, e di riflesso nei confronti della Juve, sono state confermate in via definitiva e quindi la UEFA non è tenuta ad attendere l’esito del nuovo giudizio sportivo perché possiede sufficienti elementi per potersi esprimere. Se la UEFA deciderà di pronunciarsi prima del nuovo giudizio davanti alla CFA (e poi davanti al Collegio di Garanzia) sarà perché la Juventus avrà vinto la Europa League, oppure perché non l’avrà vinta ma si sarà qualificata in Europa malgrado la sanzione sportiva italiana. Se entrambe queste ipotesi non si verificheranno, quindi se la Juve non vincerà la Europa League e se verrà esclusa dalle coppe a causa della nuova penalizzazione, allora la UEFA potrebbe prendersela più comoda e vagliare un ban che partirà dalla stagione 2024/25.
Se invece la sanzione italiana venisse applicata nella stagione 2023/24 (la prossima), e nel frattempo la UEFA avesse bannato il club dalle coppe nella medesima stagione, le cose potrebbero rivelarsi addirittura peggiori perché nel prossimo campionato (quello che determinerà la qualificazione alle coppe 2024/25) si spiegheranno gli effetti del processo relativo alla manovra stipendi. Quindi alla sanzione del caso plusvalenze si sommerebbe la sanzione della manovra stipendi (ancora non è chiaro se la Juve patteggerà e non è detto che la Procura accetti dato che non è obbligata a farlo).
Per tutti questi motivi il rischio concreto è che la Juve perda la possibilità di giocare in Champions per almeno una se non due stagioni consecutive (una per mano della giustizia sportiva italiana e un’altra per mano della giustizia UEFA).
Avv. Felice Raimondo
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Note
- Link: Decisione_n._40-2023_-_Ricc._13_14_15_16_17_18_19-2023.pdf (coni.it)
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Art. 63
Revocazione e revisione- Tutte le decisioni adottate dagli organi di giustizia sportiva, inappellabili o divenute irrevocabili, possono essere impugnate per revocazione innanzi alla Corte federale di appello, entro trenta giorni dalla scoperta del fatto o dal rinvenimento dei documenti:
a) se sono l’effetto del dolo di una delle parti in danno all’altra;
b) se si è giudicato in base a prove riconosciute false dopo la decisione;
c) se, a causa di forza maggiore o per fatto altrui, la parte non ha potuto presentare nel
precedente procedimento documenti influenti ai fini del decidere;
d) se è stato omesso l’esame di un fatto decisivo che non si è potuto conoscere nel precedente procedimento, oppure sono sopravvenuti, dopo che la decisione è divenuta inappellabile, fatti nuovi la cui conoscenza avrebbe comportato una diversa pronuncia;
e) se nel precedente procedimento è stato commesso dall’organo giudicante un errore di fatto risultante dagli atti e documenti della causa.
- Tutte le decisioni adottate dagli organi di giustizia sportiva, inappellabili o divenute irrevocabili, possono essere impugnate per revocazione innanzi alla Corte federale di appello, entro trenta giorni dalla scoperta del fatto o dal rinvenimento dei documenti:
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Art. 63 – Revisione e revocazione
- Contro le decisioni della Corte di appello federale per le quali sia scaduto il termine per il ricorso dell’incolpato al Collegio di Garanzia dello Sport ovvero contro le decisioni di quest’ultimo qualora il ricorso non sia stato accolto è ammesso il giudizio di revisione, anche su istanza del Procuratore federale, quando la sanzione è stata applicata sulla base di prove successivamente giudicate false o in difetto di prove decisive successivamente formate o comunque divenute acquisibili.
- Le altre decisioni della Corte federale di appello per le quali sia scaduto il termine per il ricorso al Collegio di Garanzia dello Sport ovvero la decisione di quest’ultimo qualora il ricorso non sia stato accolto possono essere revocate, su ricorso della parte interessata, quando la decisione dipende esclusivamente da un errore di fatto risultante incontrovertibilmente da documenti acquisiti successivamente per causa non imputabile all’istante […]
- Sezioni Unite, n. 32 del 2018 e n. 17 del 2020
- Sezioni Unite, n. 32 del 2018 e n. 17 del 2020: […] 3) l’impugnazione (davanti agli Organi di Giustizia federale) di una disposizione regolamentare può essere fatta a decorrere dalla data di approvazione, da parte della Giunta Nazionale del CONI, del Regolamento, se la disposizione regolamentare è immediatamente lesiva, altrimenti dalla data dell’atto applicativo ritenuto lesivo
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Art. 4
Obbligatorietà delle disposizioni generali- I soggetti di cui all’art. 2 sono tenuti all’osservanza dello Statuto, del Codice, delle Norme Organizzative Interne FIGC (NOIF) nonché delle altre norme federali e osservano i principi della lealtà, della correttezza e della probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva.
- In caso di violazione degli obblighi previsti dal comma 1, si applicano le sanzioni di cui all’art. 8, comma 1, lettere a), b), c), g) e di cui all’art. 9, comma 1, lettere a), b), c), d), f), g), h).
- L’ignoranza dello Statuto, del Codice e delle altre norme federali non può essere invocata a nessun effetto. I comunicati ufficiali si considerano conosciuti a far data dalla loro pubblicazione
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Art. 31
Violazioni in materia gestionale ed economica- Costituisce illecito amministrativo la mancata produzione, l’alterazione o la falsificazione materiale o ideologica, anche parziale, dei documenti richiesti dagli organi di giustizia sportiva, dalla Commissione di Vigilanza sulle Società di Calcio Professionistiche (COVISOC) e dagli altri organi di controllo della Federazione nonché dagli organismi competenti in relazione al rilascio delle licenze UEFA e FIGC, ovvero il fornire informazioni mendaci, reticenti o parziali.
Costituiscono altresì illecito amministrativo i comportamenti comunque diretti a eludere la normativa federale in materia gestionale ed economica nonché la mancata esecuzione delle decisioni degli organi federali competenti in materia. Salva l’applicazione delle più gravi sanzioni previste dalle norme in materia di licenze UEFA o da altre norme speciali, nonché delle più gravi sanzioni che possono essere irrogate per gli altri fatti previsti dal presente articolo, la società che commette i fatti di cui al presente comma è punibile con la sanzione dell’ammenda con diffida
- Costituisce illecito amministrativo la mancata produzione, l’alterazione o la falsificazione materiale o ideologica, anche parziale, dei documenti richiesti dagli organi di giustizia sportiva, dalla Commissione di Vigilanza sulle Società di Calcio Professionistiche (COVISOC) e dagli altri organi di controllo della Federazione nonché dagli organismi competenti in relazione al rilascio delle licenze UEFA e FIGC, ovvero il fornire informazioni mendaci, reticenti o parziali.
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Art. 30
Illecito sportivo e obbligo di denuncia- Costituisce illecito sportivo il compimento, con qualsiasi mezzo, di atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara o di una competizione ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica.
- Le società e i soggetti di cui all’art. 2, commi 1 e 2, che commettono direttamente o che consentono che altri compiano, a loro nome o nel loro interesse, i fatti di cui al comma 1, ne sono responsabili.
- Se viene accertata la responsabilità diretta della società ai sensi dell’art. 6, comma 1 il fatto è punito, a seconda della sua gravità, con le sanzioni di cui all’art. 8, comma 1, lettere h), i), l), salva l’applicazione di una maggiore sanzione in caso di insufficiente afflittività.
- Se viene accertata la responsabilità della società ai sensi dell’art. 6, commi 2 e 5, il fatto è punito, a seconda della sua gravità, con le sanzioni di cui all’art. 8, comma 1, lettere g), h), i), l), m).
- I soggetti di cui all’art. 2 riconosciuti responsabili di illecito sportivo, sono puniti con la sanzione non inferiore alla inibizione o alla squalifica per un periodo minimo di quattro anni e con l’ammenda in misura non inferiore ad euro 50.000,00.
- Le sanzioni sono aggravate in caso di pluralità di illeciti ovvero se lo svolgimento o il risultato della gara è stato alterato oppure se il vantaggio in classifica è stato conseguito.
- I soggetti di cui all’art. 2 che siano venuti a conoscenza in qualunque modo che società o persone abbiano posto in essere o stiano per porre in essere taluno degli atti indicati dal presente articolo, hanno l’obbligo di informare, senza indugio, la Procura federale. Il mancato adempimento di tale obbligo comporta per i soggetti di cui all’art. 2 la sanzione della inibizione o della squalifica non inferiore a un anno e dell’ammenda in misura non inferiore ad euro 30.000,00
-
Art. 7
Scriminante o attenuante della responsabilità della società- Al fine di escludere o attenuare la responsabilità della società di cui all’art. 6, così come anche prevista e richiamata nel Codice, il giudice valuta la adozione, l’idoneità, l’efficacia e l’effettivo funzionamento del modello di organizzazione, gestione e controllo di cui all’art. 7, comma 5 dello Statuto.