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Nazionali-clubs: tutte le norme che disciplinano il rapporto e gli indennizzi a favore delle società.

10 Novembre 2022 In Aspetti economici e giuridici, Attualità, L'avvocato del Diavolo
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Le nazionali rappresentano il sogno di tutti i giocatori: alzare la coppa del mondo, poi, è il massimo a cui può aspirare un calciatore. Tutto molto bello, ma… a che prezzo?

Bisogna partire da una premessa: i clubs che tesserano i giocatori sono società giuridiche che sopportano un rischio d’impresa e che, quindi, operano a scopo di lucro. La FIFA e la UEFA, invece, sono organizzazioni sportive sovranazionali che sulla carta operano senza scopo di lucro e che non sopportano alcun rischio d’impresa. Ciò nonostante, dato che a livello internazionale l’organizzazione del calcio è deputata alla FIFA, quest’ultima detta le carte. E nel regolamento sui trasferimenti dei giocatori (RSTP: FIFA Regulations on the status and transfer of players) nell’allegato 1 vengono messe le cose in chiaro: “I club sono obbligati a rilasciare i loro giocatori tesserati alle rappresentative del paese per il quale il giocatore può giocare in base alla sua nazionalità se convocati dalla federazione interessata. È vietato qualsiasi accordo contrario tra un giocatore e una società”. Questa norma sgombra subito il campo dal primo quesito che molti, ciclicamente, si pongono: ma un club è obbligato a rilasciare i propri giocatori alle nazionali? Si, tutti i clubs sono obbligati. E invece i giocatori? Anche loro sarebbero obbligati ma come “regola generale” (art. 3 RSTP) quindi un atleta è libero di rinunciare alla propria carriera in nazionale: dovrà semplicemente comunicarlo alla propria Federazione di appartenenza.

La violazione di queste norme può comportare sanzioni disciplinari sia nei confronti dei clubs che nei confronti dei giocatori che, senza valido motivo, rinuncino alla chiamata in nazionale.

Il regolamento internazionale viene recepito da ciascuna Federazione Nazionale. Nel nostro caso la FIGC disciplina il rilascio dei giocatori negli artt. 75 e 76 delle NOIF, ribadendone l’obbligo per ogni società.

Ma in che modo i clubs vengono remunerati per il “prestito” dei propri calciatori? FIFA e UEFA adottano dei programmi simili che stabiliscono un importo forfettario di poche migliaia di euro al giorno. Nello specifico, per i prossimi mondiali in Qatar la FIFA pagherà ai clubs la somma di 10.000 € al giorno per ciascun giocatore convocato in nazionale, con il periodo temporale che viene calcolato a partire da due settimane prima della partita inaugurale e si conclude con l’ultima partita disputata dalla nazionale. La UEFA adotta un sistema che divide i clubs per categorie e paga 10.000 € i clubs di prima categoria, 6.670 € i clubs di seconda categoria e 3.330 € i clubs di terza categoria, limitando i pagamenti a 3.659 € per match durante le qualificazioni.

Capite bene che parliamo di somme insignificanti in rapporto ai soldi che circolano nel sistema calcio: i giocatori, infatti, vengono stipendiati dai clubs che sopportano completamente il rischio d’impresa e quindi prestare il proprio giocatore ad un’altra squadra, senza possibilità di rifiutarsi, vuol dire aumentare esponenzialmente quel rischio perché l’atleta durante le nazionali viene seguito da uno staff diverso e quindi viene gestito da persone differenti. I giocatori hanno un valore economico preciso dettato dal loro stipendio e un prezzo di mercato (c.d. “cartellino”).

Sulla base dell’impianto normativo odierno, le nazionali utilizzano giocatori altrui senza pagare né lo stipendio e né il cartellino. Un prestito che di fatto è gratuito e che viene giustificato in base a principi solidaristici che regolano il mondo dello sport. Una giustificazione che, francamente, sembra alquanto bizzarra visto che il calcio ormai è diventato un’industria che genera miliardi di euro. Eppure i clubs vengono costretti a rilasciare i propri atleti e vengono pagati briciole per il disturbo.

L’unica eventualità che consente a clubs e giocatori di evitare la chiamata in nazionale è quella in cui l’atleta è soggetto ad un infortunio. Tuttavia, per evitare infortuni fantasma, la FIFA ha pensato bene di disciplinare anche questa fattispecie. L’art. 4 del RSTP, infatti, afferma che “Un calciatore che per infortunio o malattia non sia in grado di ottemperare alla convocazione della federazione che può rappresentare in ragione della sua nazionalità dovrà, se la federazione lo richiede, acconsentire a sottoporsi a visita medica da parte di un medico di scelta di tale associazione. Se il giocatore lo desidera, tale visita medica deve aver luogo nel territorio della federazione presso la quale è iscritto”.

In altri termini anche per i giocatori esiste la visita fiscale da parte di un medico terzo che, se richiesto dalla Federazione, dovrà appurare se effettivamente l’atleta ha subito un infortunio. Per quanto riguarda, invece, gli infortuni accorsi agli atleti durante le partite in nazionale, ci viene in soccorso l’art. 2 del RSTP il quale afferma che la società presso la quale il calciatore in questione è tesserato sarà responsabile della sua copertura assicurativa contro malattia e infortunio per tutto il periodo del suo rilascio. Questa copertura deve estendersi anche a eventuali infortuni subiti dal giocatore durante le partite internazionali per le quali è stato rilasciato.

Inoltre, lo stesso articolo 2 del RSTP garantisce un indennizzo a tutti quei clubs che subiscono un infortunio di un loro giocatore durante la chiamata in nazionale. La gestione del sinistro viene disciplinata nel Bollettino Tecnico – Programma Tutela Club (link). La protezione del club è garantita nell’arco del tempo operativo. Quest’ultimo comincia dal momento in cui il calciatore inizia il viaggio dalla propria abitazione o dall’indirizzo della società calcistica per presentarsi in servizio presso la propria federazione e termina in una qualunque delle due seguenti opzioni (quella che si verifica per prima): a mezzanotte ora locale del giorno in cui rientra a casa o presso la squadra di calcio dal servizio internazionale, o 48 ore dopo la partenza dalla squadra rappresentativa “A”, compresi i viaggi diretti ininterrotti. A scanso di equivoci, ogni partita e/o torneo protetto da questo programma ha un solo “tempo operativo”. Il “tempo operativo” non cessa durante le interruzioni di breve periodo, soprattutto non durante i tornei protetti (es. brevi trasferte dei calciatori al proprio domicilio).

Per poter essere indennizzato, l’infortunio dovrà comportare una totale e temporanea inattività del calciatore per un periodo superiore ai 28 giorni consecutivi e l’indennizzo verrà parametrato sulla base dello stipendio giornaliero del giocatore a partire dal 29° giorno di infortunio (quindi gli infortuni fino a 28 giorni non vengono indennizzati). L’indennizzo può arrivare fino ad un massimo di 7,5 milioni per infortunio (20.548 € al giorno per 365 giorni) e sino ad esaurimento degli 80 milioni stanziati dalla FIFA.

Volendo tirare le somme, l’attuale impianto normativo appare molto sfavorevole per i clubs. Le remunerazioni per i prestiti alle nazionali sono del tutto insoddisfacenti, mentre il programma per gli infortuni, che può sembrare valido, deve necessariamente essere rivisto ampliando le tutele nei confronti dei clubs. Innanzitutto, vista la frequenza delle partite disputate dai giocatori, è necessario almeno dimezzare il periodo scoperto (oggi pari a 28 giorni). Inoltre, sempre in ragione dell’utilizzo massiccio e del numero degli infortuni che in generale aumenta ogni anno, è doveroso alzare il budget stanziato dalla FIFA, così da soddisfare quanti più club possibili.

Le origini dell’attuale rapporto tra club e FIFA/UEFA

Ciò posto, è bene sottolineare come la materia dell’obbligo del rilascio dei giocatori per la costituzione delle squadre nazionali non è mai stato affrontato dalla Corte di Giustizia Europea. E la situazione attuale è figlia di un compromesso storico avvenuto nel 2008. Ecco un breve riassunto per chi non ha memoria di quello che accadde appena 15 anni fa.

Nel 1998 nacque un’organizzazione di squadre calcistiche europee, il G-14, composto dai club più forti d’Europa e ufficialmente mai riconosciuto dalla UEFA in quanto ritenuto elitista. Vi ricorda qualcosa? Già, Superleague vibes. Il G-14 nacque con lo scopo di difendere in modo univoco gli interessi dei club appartenenti alla UEFA che, invece, nel 2002 creò l’European Club Forum, una organizzazione analoga ma chiaramente in seno alla Confederazione.

La tensione era altissima e raggiunse l’apice nel 2004, quando il giocatore marocchino Oulmers, tesserato per un piccolo club belga (stessa nazione da dov’è partita anche la problematica sulle liste UEFA: Link), ossia lo Sporting du Pays de Charleroi, subì un grave infortunio durante un’amichevole della sua nazionale. Il club belga, quindi, chiese alla nazionale marocchina di essere risarcito del pregiudizio subito.

Tuttavia la Federazione Nazionale declinò ogni responsabilità, richiamandosi al regolamento FIFA secondo il quale il rilascio dei giocatori avveniva senza alcuna indennità economica e che era compito del club provvedere alla copertura assicurativa dell’atleta durante le gare delle nazionali. Anche in tal caso, quindi, la normativa sulla concorrenza venne a scontrarsi con i regolamenti sportivi.

Per tale motivo, nel luglio 2005 il piccolo club belga si rivolse al Tribunale commerciale di Charleroi al fine di sentire dichiarare l’illegittimità del regolamento FIFA in relazione agli artt. 81 e 82 del Trattato CE. In particolare il club contestava “la legittimità del regolamento in forza del quale la FIFA e i suoi membri proteggono e sviluppano i loro interessi commerciali a detrimento di quelli dei clubs, senza che, per contro, le restrizioni della concorrenza così operate, l’abuso della posizione dominante … siano giustificati da alcuna necessità oggettiva e senza che i clubs vi abbiano consentito”. L’obiettivo era quello di promuovere un rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia Europea.

La causa suscitò un dibattito pubblico di livello internazionale: a sostegno della FIFA si schierarono tutte le Federazioni ad essa appartenenti, nonché tutte le Confederazioni Sportive. In difesa del piccolo club belga, invece, si schierarono i potenti club del G-14. Vi ricorda qualcosa? Già, Superleague vibes.

Nel maggio del 2006 il Tribunale di Charleroi rinviò il caso dinanzi alla CGUE che, però, non si pronunciò mai perché sul filo di lana fu trovato un accordo tra tutte le parti coinvolte che firmarono un memorandum d’intesa. Il 15 gennaio 2008 il grande annuncio da parte della FIFA/UEFA: “Accordo storico a Zurigo” (Link, Link, Link).

“Nello storico incontro che si è tenuto nella sede FIFA di Zurigo i rappresentanti delle organizzazioni presenti hanno condiviso l’intenzione di regolare le proprie relazioni future con diverse iniziative. Queste includono il piano per far evolvere il Forum dei Club Europei nell’Associazione dei Club Europei (ECA), la firma ufficiale di un memorandum d’intesa con la UEFA e conseguentemente lo scioglimento del G-14 con il ritiro delle sue richieste.

Come parte del progetto, la UEFA e la FIFA prenderanno una serie di impegni, quali i contributi finanziari per i giocatori che partecipano agli Europei UEFA e ai Mondiali FIFA, soggetti all’approvazione delle rispettive federazioni.“

La soluzione fu quella di creare un organismo indipendente che tutelasse le posizioni dei club, quindi nacque l’attuale ECA. Dall’altro lato, FIFA e UEFA si impegnarono a sostenere dei contributi finanziari per i giocatori che partecipavano alle nazionali e da quell’impegno è successivamente nato l’attuale regolamento. Per questi motivi la causa dinanzi alla CGUE venne abbandonata.

Con il passare degli anni, però, le richieste delle nazionali sono aumentate e, di conseguenza, i rischi d’impresa che devono sopportare i club che spessissimo rilasciano obbligatoriamente i propri giocatori per vedersi riconoscere dei risarcimenti inconsistenti rispetto al danno subito.

Per tale motivo, a parere dello scrivente nel 2008 fu firmato semplicemente un armistizio che soddisfò tutti ma che, con il passare del tempo e con l’aumentare delle partite internazionali, rischia di diventare anacronistico e inadeguato. Dunque non è detto che presto o tardi qualche club possa riproporre la questione dinanzi alla Corte di Giustizia Europea che per l’ennesima volta sarebbe chiamata a giudicare le posizioni dominanti delle Federazioni Internazionali e, quindi, le possibili incompatibilità col diritto europeo.

Avv. Felice Raimondo

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Fifa indennizzi mondiali

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