Autore: Antonio (Twitter: @MidHedge), Portfolio Manager Junior
Il presente articolo è stato redatto da Antonio, collaboratore del blog e professionista esperto di mercati borsistici. Per la prima volta i tifosi potranno leggere le prospettive che si aprirebbero al Milan con una quotazione in borsa. L’analisi, infatti, si prefigge di essere un “manifesto dell’approdo a Wall Street”. Il primo capitolo si sofferma sul Milan, mentre il secondo sull’esempio del Manchester United. Buona lettura.
1) Quali potrebbero essere i vantaggi di un Milan quotato in borsa, oltre-oceano, tenendo conto degli obiettivi strategici affermati da Elliott Management?
Lo scetticismo nei confronti del fondo non manca, sin dall’inizio, sicuramente visto il suo statuto di Vulture Fund, che alimenta le peggiori fantasie dei media (specializzati o meno), riguardo le reali intenzioni di Paul e Gordon Singer, da quando si sono insediati in una società gloriosa come il Milan. Tralasciando le varie risposte a questa domanda, su cui si potrebbe scrivere per ore e per giorni, l’obiettivo principale del fondo è ben conosciuto dall’inizio: detenere il 99,93% delle quote del Milan nel medio-lungo termine, per poi rivenderle, realizzando una plus-valenza economica.
Nulla di anormale, la logica speculativa che si trova in questo ragionamento non esclude che il fondo s’impegni a valorizzare, sportivamente parlando, l’AC Milan. Torna difficile immaginare un’eventuale e importante plus-valenza futura senza un Milan che non si valorizzi tramite risultati sportivi.
Tenendo conto di questi elementi, si puo dunque intuire perché i vertici di Elliott dovrebbero impegnarsi nel far entrare il Milan nell’atrio di Wall Street. In effetti, l’entrata del Milan in un listino statunitense quadra perfettamente con i piani annunciati dalla famiglia Singer, ovvero quello di rivendere i titoli nel medio-lungo termine, visto che l’introduzione in borsa di una società permetterebbe agli azionisti di liberarsi di una parte delle loro quote, monetizzando dunque il loro investimento iniziale.
Nello specifico, durante una introduzione in Borsa (chiamata IPO), la società apre parte del proprio patrimonio al pubblico, proponendo azioni sul mercato; questi titoli provengono dagli azionisti stessi (esempio appena citato), o tramite un aumento di capitale, senza che le azioni dei proprietati vengano « messe in vendita ». Nel caso di Elliott, dunque, una IPO dell’AC Milan nella borsa new-yorkese permetterebbe un primo step, ovvero quello di disimpegnarsi progressivamente dal club, favorendo l’ingresso di azionisti di minoranza, e rientrando in parte dal loro investimento iniziale. Sempre in linea con la volontà della famiglia Singer di uscire dal Milan nel medio-lungo termine, quotare i rossoneri in borsa faciliterebbe, e non poco, le negoziazioni con un eventuale acquirente, in quanto non ci sarebbe il grande rompicapo di dover valorizzare la società: i mercati proporranno un prezzo per una singola azione, e questo verrà utilizzato per dare un valore preciso e tangibile al Milan, al momento della vendita. Questo aspetto è, a mio parere, essenziale per i motivi appena citati e permette di evitare di ricorrere a misure standard di valorizzazione dei club di calcio, come « 3 volte il fatturato », che risultano approssimative in alcuni casi.
In maniera ovvia, realizzare una IPO, soprattutto sul New York Stock Exchange, implica, normalmente, il dover rispettare alcune condizioni d’accesso molto rigide in ambito di fatturato, struttura del patrimonio, ecc. che in realtà favoriscono le grandi multinazionali che vorrebbero introdursi in borsa, in teoria e in maniera assoluta sarebbe dunque impossibile per una società come il Milan arrivare sul mercato statunitense. Ma dal 2012, è stata introdotta oltreoceano una legge, per merito dell’amministrazione Obama, il JOBS act, con l’obiettivo di facilitare i finanziamenti delle « piccole » imprese, alleggerendone i requisiti da rispettare per essere quotate sul NYSE. Queste condizioni, in breve, portano, ad esempio, sul fatturato lordo; secondo il JOBS Act, una società che durante l’ultimo anno fiscale, precedente l’IPO, mostra nei suoi conti un fatturato lordo inferiore a 1,07 miliardi di dollari, può avvalersi dello statuto di « Emerging growth company » ed entrare a far parte di un listino NYSE. Non si tratta della sola condizione da rispettare, ma questa del fatturato appare come quella essenziale per poter pretendere o meno lo statuto di EGC. Ad esempio, è tramite questo dispositivo che una società storica come il Manchester United è potuta entrar a far parte del listino NYSE, più precisamente del NYSE Index, a partire dal 2012.
Al di là di queste considerazioni giuridiche, una IPO comporta poi dei costi, relativemente importanti, a seconda della grandezza e dell’importanza dell’operazione, ovvero a seconda del flottante che verrà messo a disposizione dei mercati. Come riportato in maniera dettagliata dal sito IPOHUB, i costi di una IPO in territorio americano, si suddividono in 4 categorie principali:

Tralasciandone i dettagli, perché ci si allontenerebbe dall’obiettivo principale di questa sintesi, i costi maggiori portati da un’introduzione in borsa, riguardano quelli generati dall’utilizzo di un consorzio d’assunzione a fermo (Underwriter nella foto allegata), cioè un gruppo di stabilimenti bancari che si occupa delle collocazioni dei titoli mobiliari presso il pubblico, dopo averli acquistati ad un prezzo stabilito prima con l’assenso della società emettitrice. Questi costi rappresentano in media dal 4 al 7% del flottante messo a disposizione degli investitori, variando anche a seconda di elementi esogeni come le condizioni di mercato in cui viene praticata l’IPO. Esistono dunque istituzioni bancarie specializzate in questo tipo di attività, e sono di caratura mondiale, basti pensare a Goldman Sachs, Crédit Suisse, Morgan Stanley, JP Morgan Chase tra le maggiori. E’ difficile dunque affermare quanto potrebbe costare un’IPO per il Milan, viste la variabili in gioco (dovremmo essere a conoscenza della somma di patrimonio che verrà aperta al pubblico e la condizioni dei mercati al momento dell’IPO), però risulta facile pensare come Elliott potrebbe avere agevolazioni nei costi da versare agli intermediari citati, in quanto il fondo ha già collaborato con alcuni di questi in altre operazioni finanziare ed è uno dei principali attori che animano Wall Street quotidianamente. In maniera più generale, visto lo statuto di « Emerging growth company » con cui il Milan potrebbe essere introdotto sul NYSE, i costi sarebbero relativamente ridotti, in quanto i rossoneri avrebbero agevolazioni anche riguardo le quantità d’informazioni da fornire ai mercati, nel periodo post-IPO.
In termini concreti, qualsiasi società quotata su un mercato regolamentato ha l’obbligo di fornire i propri conti su base trimestriale, ma questo in virtù dello statuto di ECG potrebbe essere evitato, favorendo dunque un risparmio importante nei costi riguardanti gli audit finanziari e attività contabili esterne. Dando un’idea dell’ordine di grandezza dei possibili costi, l’IPO totale del Manchester United ha avuto un costo globale di 12,3 milioni di $, mentre per una multinazionale come Alibaba, il costo esclusivo degli Underwriter citati precedente è stato di 300 milioni di $, ci troviamo dunque in realtà opposte e il costo di un’IPO per un club come il Milan potrebbe avvicinarsi a quello dei Red Devils.
Infine, riguardo le tempistiche, non ci sono, anche in questo caso, dati pre-stabiliti. Il processo d’introduzione può, in teoria, durare mesi o anni, questo dipende dagli stessi fattori citati prima, la grandezza dell’operazione, la complessità di questa, la struttura della società e i mercati stessi. Per il Manchester United, un anno prima della data d’introduzione, la volontà di procedere a un’IPO era già presente, dunque potremmo trovarci nello stesso caso se Elliott volesse avviare la quotazione del Milan.
Alla luce di questi elementi, un’operazione come l’IPO implica quindi un’analisi costi-benefici molto attenta e approfondita. Quali sarebbero allora i vantaggi per il Milan nell’essere quotato?
Come scritto inizialmente, c’è la possibilità degli azionisti di rientrare in parte dal loro investimento iniziale, e questo sembra essenziale per il fondo Elliott. A questo si unisce il vantaggio di determinare, grazie ai mercati, un valore indiscutibile della società rossonera. Dalla prospettiva del club milanese poi, i vantaggi sembrano essere innumerevoli. Un’IPO permetterebbe di recuperare capitale fresco per lo sviluppo del club e gli investimenti da effettuare in ottica futura. Potremmo pensare che la costruzione di un nuovo stadio che sembra nei piani della proprietà e del nuovo AD Ivan Gazidis potrebbe essere finanziata in parte, a seconda delle tempistiche, tramite un’IPO a New-York. C’è poi un vantaggio più qualitativo, ovvero beneficiare del prestigio dell’essere quotati su un listino del NYSE che può avere più risvolti come una maggior facilità nel trovare sponsor che portino contratti importanti, in quanto i rossoneri avrebbero più visibilità a livello mondiale, ci sarebbero dunque grandi imprese che vorrebbero associare il loro marchio a quello del Milan (Basti pensare al contratto di sponsoring stabilito tra Chevrolet e il Manchester United). A mio avviso questo è un elemento davvero importante, in particolare in ottica del Fair-Play Finanziario, giacché ci è ormai noto come sia vitale ottenere ricavi importanti, in parte dagli sponsor, per cercare di liberarsi dai fardelli imposti da Nyon.
Un altro aspetto positivo è anche la possibilità di ottenere finanziamenti a tassi ridotti, per esempio emettendo Bond sui mercati (come già avvenuto nell’era Li). Il costo del capitale verrebbe ridotto perché il Milan, in quanto società quotata sul NYSE, verrebbe giudicata come poco rischiosa dagli investitori e dagli analisti, che potrebbero dunque domandare tassi d’interessi più bassi in cambio dei loro « prestiti » alla società milanese. Anche questo aspetto risulta importante in ottica FFP, perché ridurrebbe sensibilmente l’impatto dei costi finanziari sull’utile netto e permetterebbe di rientrare dunque tra i paletti imposti dalla UEFA. Non è da sottovalutare, tra l’altro, l’impatto sull’aumentare la « fidelizzazione » dei tifosi; in quanto società quotata, qualsiasi tifoso o appassionato potrebbe comprare titoli quotati e, si sa, sarebbe più propenso ad acquistare articoli del brand Milan come step successivo. Infine, la scelta di Wall Street, come piazza di quotazione principale, garantirebbe al titolo i volumi di scambi e una liquidità infragiornaliera importanti, essenziali per ogni investitore. Da aggiungere che almeno nelle fasi iniziali post-IPO, la doppia quotazione a Wall Street e Piazza Affari non sarebbe possibile, perché riservata a società con capitalizzazione borsistica e fatturato elevati.
In maniera ovvia, essere presenti sui mercati porta anche risultati meno appetibili. Il primo di questo, oltre ai costi dell’operazione, è sicuramente una più ampia trasparenza da parte del management societario, riguardo le informazioni diffuse presso il pubblico, che siano informazioni di tipo finanziario, economico, legale e sportivo, ci potrà dunque essere meno riservatezza (che sembra cosi tanto cara alla famiglia Singer, poco propensi ad esporsi pubblicamente per il momento). Nel caso del Milan, come citato precedentemente, ci potrebbero essere pero agevolazioni in questo senso, visto lo statuto di « Emerging Growth Company » con il quale entrerebbe. La pressione dei mercati è un altro elemento da non sottovalutare, ovvero la capacità degli investitori nel penalizzare le società quotate se non dovessero arrivare agli obiettivi che i vari analisti finanziari hanno prefissato. Questa penalizzazione si manifesta in borsa con vendite massive sui titoli in questione, facendo diminuire cosi il valore della società stessa. Da notare poi che il titolo potrebbe essere penalizzato nonostante le finanze molto sane, influenzato dalle logiche borsistiche e dalle tendenze globali sui mercati mondiali che si propagano ad ogni titolo, indistintamente. C’è infine la possibilità di perdere parte del controllo esercitato dalla proprietà, in quanto la diluzione del capitale permette l’entrata di nuovi azionisti, che possono influenzare le decisioni prese dai vertici societari, tramite il loro diritto di voto. Quest’ostacolo pero è facilmente oltrepassabile, come lo dimostra la struttura patrimoniale del Manchester United post-IPO:

Nonostante gli azionisti di minoranza detengano il 42% del patrimonio, il 98,7% dei diritti di voto viene accentrato nelle mani della famiglia Glazer che è a capo della Holding RED Football LLC, registrata ancora oggi nel Delaware americano.
In definitiva, a mio avviso l’AC Milan potrebbe soltanto trarre beneficio da un’eventuale IPO a Wall Street, alla luce degli elementi sopra-citati, che compensano e superano senza dubbio gli eventuali svantaggi, sposando perfettamente gli obiettivi strategici della famiglia Singer.
2) L’esempio del Manchester United: quando i risultati sportivi NON influenzano quelli borsistici.
Dopo aver constatato nel precedente capitolo le numerose ragioni per cui il Milan potrebbe trarre beneficio da un’eventuale quotazione a Wall Street, seguendo il modello di un altro club storico come Il Manchester United, risulta interessante affrontare quali siano state le conseguenze economiche e finanziarie maggiori di questa operazione per i Red Devils.
Va ricordato il contesto precedente l’IPO: sui conti del Manchester United, al 30.06.2012, gravava un debito colossale di 421,247 mln £, nel medio-lungo termine, causato principalmente dal « takeover » della famiglia Glazer, ovvero il fatto di aver acquistato il Manchester United tramite prestiti accordati da hedge funds e altri stabilimenti finanziari americani. Omettendo i dettagli di questa complessa operazione, possiamo soffermarci sul risultato finale: la squadra inglese ha aperto parte del patrimonio ai mercati (raccogliendo 233 mln $, di cui una parte destinata alla famiglia Glazer, per monetizzare il loro investimento) con l’intento di ridurre la propria posizione debitoria e i costi finanziari associati, riuscendo in parte in questo:

Al 30.06.2013, i debiti a medio-lungo termine iscritti in bilancio sono sensibilmente ridotti, passando da 421,247 mln £ a 377,474 mln £. La posizione finanziaria netta del club, ne esce naturalmente migliorata, passando da 366,272 mln £ il 01.07.2012 a 294,800 mln £ il 30.06.2013:

L’impatto dell’IPO è stato favorevole anche per gli utili della società mancuniana, in quanto l’introduzione in borsa ha permesso alla società di concludere un contratto di sponsoring faraonico con il marchio Chevrolet. Il contratto, con un valore globale di 559 mln $, porta dalla stagione 2014/2015 sino alla stagione 2020/2021, ma ha permesso un pre-incasso di 18,6 mln $ già a partire dalla stagione 2012/2013, favorendo l’aumento dei ricavi commerciali durante l’anno fiscale, i quali son passati da 117,611 mln £ al 30.06.2012 a 152,441 mln £ al 30.06.2013:

In maniera generale, dunque, l’IPO è stata decisamente benefica per i Red Devils, permettendo dapprima un miglioramento dello stato patrimoniale ma soprattutto, la stretta di un accordo commerciale che ancora oggi è uno dei maggiori in Europa e che contribuisce alla stabilità finanziaria del club. Questi elementi risultano essenziali e dovrebbero essere confortanti nel caso in cui una quotazione futura dell’AC Milan si concretizzasse.
Allargando l’analisi del titolo azionario del Manchester United, ad un periodo post-IPO molto più vasto, giungiamo ad altre osservazioni confortanti. In effetti, una delle maggiori preoccupazioni destate dal precedente capitolo sulla quotazione del Milan, riguarda il possibile rischio rappresentato dai risultati sportivi non eccellenti e l’intensità oscillatoria che questi potrebbero provocare su un titolo quotato, portandolo ad essere sanzionato dai mercati se gli obiettivi stagionali non fossero raggiunti.
Analizzando pero le performance sportive economiche, finanziarie e sportive del Manchester United del periodo post-Ferguson emergono più fattori:

Si evince infatti, dai dati sopra-citati, come il rendimento del titolo per l’arco di tempo 2013-2014 sia superiore a quello di annate come quella del 2014/2015, 2015/2016 e 2017/2018 che pero risultano, sportivamente parlando, più importanti rispetto a quella del 2013/2014, in cui il MU ha raggiunto il settimo posto in campionato, ed è stato eliminato prematuramente dalla Champions League uscendo ai quarti di finale, non qualificandosi per nessuna competizione europea in vista della stagione successiva. La conclusione a cui giungiamo è dunque che, in definitiva, non c’è nessun legame esclusivo e assoluto tra performance sportiva e rendimento del titolo, o meglio, i risultati sportivi possono influenzare l’andamento borsistico di un’azione ma questo sarà influenzato da elementi ulteriori come le sue finanze, le prospettiva di crescita economica, la tendenza generale dei mercati mondiali, etc., che possono in parte far ombra ad un fattore determinante come i risultati sportivi (che questi siano positivi o meno). Questo è ancor più vero su mercati come quello di Wall Street, scrutati da milioni d’investitori internazionali, quotidianamente, i quali prestano grande attenzione al valore intrinseco di un titolo, ai fondamentali, al fine di arrivare ad una valutazione che giudicano come la più realistica.
A conferma di quanto detto precedentemente, basti pensare che il valore del titolo MU è aumentato di circa 22% nell’arco di tempo 2014-2018, mentre il suo listino d’appartanenza, il NYSE Index, è aumentato di circa il 9%; nonostante l’assenza di trofei maggiori dunque (come il titolo di campione in Premier League o la vittoria in finale di Champions League), il titolo si è apprezzato facendo anche meglio dei mercati.
Queste conclusione vengono dunque a corroborare l’idea che l’eventuale quotazione del Milan a Wall Street potrebbe essere un successo, al di là dei risultati sportivi quali saranno quelli del Diavolo nelle prossime stagioni.
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