Con una recentissima pronuncia la Corte Costituzionale ha fatto luce su un tema molto delicato, quale la maternità surrogata. La sentenza n. 272/2017 ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalità sollevata dalla Corte d’appello di Milano il 25 luglio 2016 che chiedeva di valutare non «la liceità della pratica della surrogazione» (che rimane vietata), «ma i diritti del bambino da tale pratica nato».
La questione nasce da una vicenda che ha coinvolto una coppia eterosessuale andata in India per affidare l’embrione (prodotto dal seme del padre biologico e da un ovulo di una donatrice) ad una madre surrogata stante l’impossibilità della futura mamma di avere un bimbo a causa di un tumore.
Nel valutare l’impugnazione del riconoscimento del figlio naturale, concepito con la surrogazione di maternità, il giudice deve sempre mettere sul piatto della bilancia l’interesse alla verità e quello del minore. Afferma la Consulta che: «Vi sono casi nei quali la valutazione comparativa tra gli interessi è fatta direttamente dalla legge, come accade con il divieto di disconoscimento a seguito di fecondazione eterologa (il coniuge o il convivente che ha prestato il consenso al figlio non può disconoscerlo, anche se non gli ha impresso i propri geni)». Ve ne sono altri, invece, “in cui il legislatore impone, all’opposto, l’imprescindibile presa d’atto della verità, con divieti come quello della maternità surrogata. Ma l’interesse del minore non è per questo cancellato”. Nel silenzio della legge, come nel caso in esame, la valutazione è dunque più complessa della sola alternativa vero/falso. Tra le variabili di cui tener conto, “oltre alla durata del rapporto con il minore e, quindi, alla condizione identitaria già acquisita, oggi assumono particolare rilevanza le modalità del concepimento e della gestazione” e la possibilità per il genitore sociale di stabilire, mediante l’adozione in casi particolari, un legame giuridico che garantisca al minore un’adeguata tutela. Nella valutazione comparativa rimessa al giudice rientra anche la considerazione dell’elevato grado di disvalore che il nostro ordinamento riconnette alla surrogazione di maternità, che “offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane”.
Per questo motivo la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d’appello di Milano sull’articolo 263 del Codice civile.
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