“Dove ci sono business milionari c’è anche il rischio che si infiltri la criminalità organizzata”.
Questo concetto, purtroppo, rappresenta ormai una realtà di estrema attualità. Sempre più spesso la malavita preferisce mascherare gli scopi criminali mediante l’utilizzo di business all’apparenza perfettamente leciti. Il profitto economico, infatti, non si regge soltanto su attività criminali (es. estorsione, spaccio, ecc) ma viene ricercato anche all’interno di aziende che subiscono intimidazioni e, quindi, spesso cedono una parte del proprio business alle mafie che, così facendo, riescono a riciclare denaro e aumentare i profitti necessari ai loro scopi malavitosi.
Una sorta di virus che si insinua in un corpo perfettamente sano. Il principale antidoto a questa malattia possiamo riscontrarlo nel Codice Antimafia che, relativamente alle attività d’impresa, prevede due misure: l’amministrazione giudiziaria (art. 34) e il controllo giudiziario (art. 34 bis).
Parliamo di due istituti giuridici aventi lo scopo di bonificare l’impresa colpita dal fenomeno mafioso mediante misure di prevenzione atipiche o di tipo amministrativo.
Nel caso dell’amministrazione giudiziaria (art. 34 del CA) ci troviamo di fronte ad un “vaccino molto forte” che viene somministrato quando – a seguito delle indagini condotte dalla Polizia Giudiziaria – l’attività economica dell’azienda sia assoggettata in maniera abituale alle intimidazioni di stampo mafioso (art. 416 bis c.p.) al punto tale da provocare una commistione di interessi tra le attività criminali e quelle lecite dell’azienda. In altri termini, in questi casi il libero esercizio dell’attività d’impresa viene compromesso dalle condotte delinquenziali.
Nel caso del controllo giudiziario (art. 34 bis del CA) ci troviamo di fronte ad un “vaccino più blando” somministrato quando l’attività economica dell’azienda sia assoggettata in maniera occasionale alle intimidazioni criminali di cui all’art. 416 bis, e prevede anche una misura ancora più soft (art. 94 bis del CA) ossia misure amministrative di prevenzione collaborativa applicabili in caso di agevolazione occasionale.
Venendo alle problematiche odierne, ossia le infiltrazioni di stampo mafioso all’interno delle curve organizzate, tale fenomeno non appare talmente grave da compromettere l’intera gestione aziendale. Infatti, in base ai fatti di cronaca emersi negli ultimi giorni, in cambio del supporto durante le partite (ossia il tifo con cori e striscioni) le curve gestivano con arbitrio e violenza gli ingressi nello stadio (Link), chiedevano un numero maggiore di biglietti per le attività di bagarinaggio (Link) e cercavano di gestire business legati alle bevande (Link). Parliamo, quindi, di attivirà economiche residuali e di tipo occasionale che potrebbero rientrare nella fattispecie prevista dall’art. 34 bis o dell’art. 94 bis del Codice Antimafia.
Nel primo caso (art. 34 bis) il Tribunale, su istanza del pubblico ministero o d’ufficio, potrebbe disporre il controllo giudiziario. Ossia una misura di prevenzione patrimoniale che può essere adottata per un periodo non inferiore a un anno e non superiore a tre anni. L’amministratore nominato dal Tribunale, in tal caso, dovrà occuparsi di bonificare le attività economiche che sono state interessate dalle organizzazioni criminali. Un esempio concreto può riguardare proprio i rapporti con le curve e il tifo organizzato, che verrebbe completamente delegato all’amministratore nominato dal Tribunale. Le conseguenze pratiche di ciò potrebbero essere diverse: innanzitutto potrebbero essere sciolte le convenzioni con gli attuali gruppi organizzati di tifosi e, inoltre, gli incassi di tutte le cessioni di servizi nei confronti dei gruppi tifosi (inclusi i biglietti d’ingresso) potrebbero essere destinati su specifici conti correnti dedicati o, in alternativa, l’amministratore potrebbe imporre precise quantità e, soprattutto, modalità di traferimento dei biglietti nei confronti del tifo organizzato (es. cessione di titoli non ulteriormente trasferibili, quindi privi del cambio di nominativo). Così facendo verrebbe tagliato il profittevole business del bagarinaggio che, in base a quanto riferito dai media, rappresenta una delle fonti di lucro della malavita che si è insinuata nelle curve milanesi. Infine, potrebbe anche essere cambiato il “Supporter Liaison Officer” (SLO), Sostenitore ufficiale di collegamento, ossia il responsabile della tifoseria nominato dai club.
Nel secondo caso (art. 94 bis) il prefetto, quando accerta che i tentativi di infiltrazione mafiosa sono riconducibili a situazioni di agevolazione occasionale, prescrive all’impresa, società o associazione interessata, con provvedimento motivato, l’osservanza, per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a dodici mesi, di una o più delle misure amministrative collaborative previste dalla norma (tra le quali, ad esempio, adottare ed efficacemente attuare misure organizzative, anche ai sensi degli articoli 6, 7 e 24 ter del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, atte a rimuovere e prevenire le cause di agevolazione occasionale).
Chiaramente bisogna specificare che le società sono parte lesa di questo fenomeno e, pertanto, stanno collaborando con l’autorità giudiziaria per cercare di trovare la soluzione più opportuna. Anche alla luce dei possibili risvolti in ambito sportivo.
Nel caso specifico, i fatti emersi dalle cronache risultano disciplinati dagli articoli 25, 27 e 4 del Codice di Giustizia Sportiva. L’articolo 25, rubricato “Prevenzione di fatti violenti”, al comma 1 prevede che “alla società è fatto divieto di contribuire, con interventi finanziari o con altre utilità, alla costituzione e al mantenimento di gruppi organizzati e non organizzati di propri sostenitori, salvo quanto previsto dalla legislazione statale vigente”. La sanzione prevista è quella dell’ammenda.
Passando al comma 2, viene previsto che “Le società sono tenute all’osservanza delle norme e delle disposizioni emanate dalle pubbliche autorità in materia di distribuzione al pubblico di biglietti di ingresso nonché di ogni altra disposizione in materia di pubblica sicurezza relativa alle gare da esse organizzate”. Anche in tal caso la sanzione prevista è quella dell’ammenda o, nei casi più gravi, obbligo di disputare partite a porte chiuse o con settori privi di spettatori.
Infine, per quanto riguarda i tesserati, il comma 10 dell’articolo 25 in commento prevede l’espresso “divieto di avere rapporti con esponenti di gruppi o gruppi di sostenitori che non facciano parte di associazioni convenzionate con le società. Dette convenzioni, stipulate secondo le condizioni previste dall’art. 8 del D.L. n. 8/2007 convertito in legge con la L. n. 41/2007, devono essere validate dalla Federazione. In ogni caso tali rapporti devono essere autorizzati dal delegato della società ai rapporti con la tifoseria. In caso di violazione delle disposizioni di cui al presente comma, si applicano le sanzioni di cui al comma 9”. In tal caso le sanzioni previste sono quelle della squalifica, inibizione e multa.
L’articolo 27 del CGS, invece, regolamenta la cessione dei titoli d’ingresso e in caso di violazione prevede la sanzione dell’ammenda. In via residuale bisogna menzionare anche l’art. 4 del CGS, ossia quello che impone a tutti i soggetti dell’ordinamento sportivo il “rispetto dei principi della lealtà, della correttezza e della probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva”.
Parliamo di una norma aperta che può contenere una moltitudine di condotte considerate violative dei precetti indicati nell’articolo 4. In questi casi, però, sarà compito degli inquirenti e dei magistrati sportivi valutare se le condotte dei soggetti indagati possa essere passibile di una violazione dei principi di lealtà, probità e correttezza. Qualora venisse provato ciò, le società – in virtù della c.d. responsabilità oggettiva – rischierebbero dei punti di penalizzazione. Tuttavia, allo stato dei fatti parliamo di una ipotesi molto remota.
Avv. Felice Raimondo