L’11 e il 12 luglio 2022 si è tenuta la doppia udienza di trattazione riguardante i casi ISU vs Commissione Europea (grado di appello) e Superlega vs UEFA/FIFA (primo grado), entrambi vertenti su possibili violazioni della concorrenza nel mercato tutelato dal diritto dell’Unione Europea.

L’argomento è stato lungamente affrontato dallo scrivente nel suo ultimo libro del 2021 (Link), ma recentemente siamo venuti a conoscenza del nome dell’avvocato generale che il prossimo 15 dicembre 2022 depositerà le sue conclusioni nei casi ISU e Superlega: Athanasios Rantos.
Ricordo ai lettori che le conclusioni dell’avvocato generale non vincolano la Corte di giustizia. Il compito dell’avvocato generale consiste nel proporre alla Corte, in piena indipendenza, una soluzione giuridica nella causa per la quale è stato designato. Ciò non toglie che, solitamente, la CGUE decida seguendo l’indirizzo dell’avvocato generale.
Questo articolo, quindi, approfondirà l’opinione di Athanasios Rantos in merito ad un precedente caso in cui ha dovuto analizzare presunte violazioni riguardanti l’art. 102 TFUE che rappresenta la principale tra le questioni pregiudiziali sollevate nella vertenza Superlega (Link). In conclusione, si tenterà di ipotizzare quello che sarà il punto di vista dell’avvocato generale.
Il precedente più recente e importante posto all’attenzione del giurista greco riguarda una problematica tutta italiana. La causa si inserisce nel contesto del processo di liberalizzazione del mercato della fornitura al dettaglio dell’energia elettrica in Italia. La Enel S.p.A. (Enel), l’impresa verticalmente integrata monopolista della produzione di energia elettrica in Italia e attiva nella sua distribuzione, è stata assoggettata ad un procedimento di separazione (unbundling), al fine di garantire condizioni di accesso trasparenti e non discriminatorie alle infrastrutture essenziali di produzione e di distribuzione. A seguito di tale procedimento, le varie fasi del processo di distribuzione sono state attribuite a imprese distinte.
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha avviato un procedimento istruttorio sull’asserita strategia attuata dalle tre società del gruppo Enel diretta, in sostanza, a rendere più difficile l’ingresso dei concorrenti nel mercato liberalizzato. Al termine di tale istruttoria, l’AGCM ha adottato una decisione che ha constatato che tali società si erano rese colpevoli di un abuso di posizione dominante in violazione dell’articolo 102 TFUE.
L’avvocato generale ha depositato le sue conclusioni in data 9 dicembre 2021 e la CGUE si è espressa nel successivo maggio 2022. In entrambi i casi la CGUE ha pubblicato due comunicati stampa. Queste tempistiche possono essere prese in considerazione anche per le vertenze ISU e Superlega.
Per quanto riguarda la nozione di «sfruttamento abusivo», l’avvocato generale sottolinea, anzitutto, che essa è fondata sulla valutazione oggettiva della capacità di un comportamento di restringere la concorrenza, senza che la qualificazione giuridica di tale comportamento in altre branche del diritto sia decisiva. Pertanto, la legittimità del comportamento di cui al procedimento principale sotto il profilo del diritto civile e della disciplina normativa del trattamento dei dati personali non può escludere la qualificazione del comportamento come «abusivo» ai sensi dell’articolo 102 TFUE.
Rispondendo alla richiesta del giudice del rinvio di tracciare una linea di demarcazione fra le pratiche che rientrano in una concorrenza «normale» (alla quale deve essere attribuito lo stesso significato della «concorrenza basata sui meriti») e quelle che non vi rientrano, l’avvocato generale fa presente che la nozione di «concorrenza basata sui meriti» non si ricollega ad una forma precisa di pratiche e non può essere definita in modo da consentire di determinare, a monte, se un comportamento la integri o meno. Pertanto, una pratica descritta come «atipica», come quella di cui al procedimento principale, la quale non si ricollega ad una pratica elencata all’articolo 102 TFUE, può costituire anch’essa una pratica abusiva. Infatti, la questione se una pratica di esclusione rientri nei mezzi conformi ad una concorrenza basata sui meriti è strettamente connessa al contesto fattuale, giuridico ed economico di tale pratica. Tuttavia, elementi comuni possono essere ricavati dalla giurisprudenza della Corte. In primo luogo, la «concorrenza basata sui meriti» deve essere interpretata in stretta correlazione con il principio secondo il quale l’impresa in posizione dominante è «tenuta in modo particolare» a non compromettere con il suo comportamento lo svolgimento di una concorrenza effettiva. A tal riguardo, l’avvocato generale sottolinea che tale «responsabilità particolare» si applica a tutte le imprese dominanti, inclusi gli operatori storici precedentemente detentori di un monopolio, come l’Enel.
In secondo luogo, un comportamento che si discosti manifestamente dalle pratiche abituali del mercato potrebbe essere considerato un elemento fattuale rilevante ai fini della valutazione del carattere abusivo.
In terzo luogo, senza pretese di esaustività, egli osserva che i comportamenti che non rientrano nella nozione di «concorrenza basata sui meriti» sono caratterizzati generalmente dal fatto di non fondarsi su ragioni economiche evidenti o obiettive.
In quarto luogo, tale nozione riguarda, in generale, una situazione di concorrenza nella quale i consumatori traggono beneficio grazie a prezzi inferiori, migliore qualità e più ampia scelta di beni e servizi nuovi o più funzionali.
L’avvocato generale ricorda poi che lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante è una nozione oggettiva, anche in assenza di colpa, e che, ai fini della sua applicazione, non è affatto necessario dimostrare l’esistenza di un intento anticoncorrenziale in capo all’impresa in posizione dominante. A suo avviso, per qualificare come abusiva una pratica escludente di un’impresa in posizione dominante, non occorre dimostrare l’intento soggettivo di tale impresa di escludere i concorrenti. Tale intento può nondimeno essere preso in considerazione, quale circostanza fattuale, segnatamente per dimostrare che il comportamento attuato è in grado di restringere la concorrenza.
La CGUE, chiamata ad esprimersi con una decisione interpretativa, nel maggio 2022, seguendo le indicazioni dell’avvocato generale, ha affermato che la prova addotta da un’impresa in posizione dominante dell’assenza di effetti escludenti concreti non può essere considerata sufficiente, di per sé, a escludere l’applicazione dell’articolo 102 TFUE. Tale elemento può tuttavia costituire un indizio dell’incapacità del comportamento in questione di produrre gli effetti escludenti dedotti, purché sia corroborato da altri elementi di prova volti a dimostrare tale incapacità.
Le imprese in posizione dominante, aggiunge la CGUE, indipendentemente dalle cause di una tale posizione, possono senz’altro difendersi dai loro concorrenti, ma devono farlo ricorrendo ai soli mezzi propri di una concorrenza «normale», vale a dire basata sui meriti. Orbene, una pratica che non può essere adottata da un ipotetico concorrente altrettanto efficiente sul mercato in questione, in quanto essa si basa sullo sfruttamento di risorse o mezzi propri di una posizione dominante, non può essere considerata propria di una concorrenza basata sui meriti. Ciò posto, quando perde il monopolio legale che prima deteneva su un mercato, un’impresa deve astenersi, durante tutta la fase di liberalizzazione di tale mercato, dal ricorrere ai mezzi di cui disponeva in forza del suo precedente monopolio e che, a tal titolo, non sono disponibili ai suoi concorrenti, al fine di conservare, con modalità che esulano dai suoi stessi meriti, una posizione dominante sul mercato in questione recentemente liberalizzato.
Ciò detto, una simile pratica può nondimeno sottrarsi al divieto di cui all’articolo 102 TFUE se l’impresa in posizione dominante in questione dimostra che essa era obiettivamente giustificata da circostanze esterne all’impresa e proporzionata a tale giustificazione oppure controbilanciata, se non superata, da vantaggi in termini di efficienza che vanno a beneficio anche dei consumatori.
Il riflesso di questo orientamento sul caso Superleague
L’interpretazione dell’art. 102 TFUE da parte dell’avvocato generale è chiara: la restrizione della concorrenza è una valutazione puramente oggettiva. Prescinde da qualsiasi intento di natura soggettiva. Per tale motivo non è necessario dimostrare alcun comportamento colposo (né addirittura doloso) da parte dell’impresa monopolista. La chiusura del mercato ai concorrenti è un fatto puramente oggettivo che va semplicemente constatato e appurato.
Relativamente al mondo sello sport, fin dagli anni ’70 (Causa 36/74 – Sentenza della Corte del 12 dicembre 1974) la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha precisato che, malgrado la specificità del mondo sportivo – ecosistema che si autoregola con normative proprie, principio sancito dall’art. 165 del Trattato di Lisbona del 2009 – “Considerati gli obbiettivi della Comunità, l’attività sportiva è disciplinata dal diritto comunitario solo in quanto configurabile come attività economica ai sensi dell’art. 2 del trattato”.
Ergo: fino a quando lo sport deve regolare la propria attività (statuti, normative, ecc.) l’autonomia è senz’altro tutelata. Ma nel momento in cui nel mondo dello sport si inserisce un’attività economica, allora tale attività deve soggiacere alle regole del Diritto Comunitario e dunque non può sfuggirne in virtù del principio della specificità.
Secondo la Corte di Giustizia “tenuto conto degli obiettivi della Comunità, la pratica dello sport è disciplinata dal diritto comunitario se è configurabile come attività economica ai sensi dell’art. 2 del trattato. Riveste carattere economico l’attività dei calciatori professionisti o semiprofessionisti, che svolgono un lavoro subordinato o effettuano prestazione di servizi retribuita” (Causa 13/76 – Sentenza della Corte del 14 luglio 1976. Gaetano Donà contro Mario Mantero).
Nel 1999 la CGUE ha adottato una metodologia oggettiva per verificare le violazioni delle regole comunitarie in tema di concorrenza, il c.d. Wouters-Test (C-309/99 – Sentenza della Corte del 19 febbraio 2002). Questo criterio ha creato una voragine nel principio della specificità dello sport, a partire dalla sentenza Meca-Medina del 2006. E’ ragionevole supporre, quindi, che l’avvocato generale greco adotterà questi principi anche nei casi ISU e Superlega.
Secondo la Corte di Giustizia, infatti, ogni volta che una regola sportiva viene contestata in riferimento ai suoi impatti sulla concorrenza nell’UE, [la regola sportiva] non può essere sottratta ipso facto al diritto comunitario ma il Giudicante dovrà applicare il c.d. Wouters-test e quindi dovrà procedere come segue:
1) verificare se l’associazione sportiva che ha applicato la regola contestata può considerarsi un’associazione d’imprese a norma degli artt. 101 e 102 TFUE. Secondo l’insegnamento della Corte, come abbiamo letto, è fondamentale che le imprese esercitino un’attività economica.
2) se fosse così, bisogna valutare se l’associazione sportiva che esercita l’attività economica – mediante l’utilizzo delle sue regole sportive – restringe la concorrenza (art. 101 TFUE) o costituisce un abuso di posizione dominante (art. 102 TFUE).
3) per verificare ciò, il Giudicante dovrà: i) valutare il contesto globale in cui la regola sportiva è stata adottata, nonché gli obiettivi perseguiti attraverso detta regola; ii) verificare se gli effetti restrittivi della concorrenza che ne derivano ineriscano al perseguimento di tali obiettivi e siano ad essi proporzionati.
Se il vaglio del Giudicante circa i punti i) e ii) avrà avuto un esito negativo, quindi se la regola sportiva sarà stata adottata fuori contesto, o se non persegue obiettivi leciti, o se la restrizione che ne consegue non sarà inerente al perseguimento di questi obiettivi o addirittura tale restrizione non sarà proporzionale agli obiettivi prefissati, allora bisognerà valutare l’eventuale sussistenza delle condizioni previste dall’art. 101 TFUE.
L’applicazione del Wouters-test al caso Superleague
1) Le delibere e gli statuti di FIFA e UEFA, così come già prescritto anche dal Garante Italiano (AGCM) nei casi ACI e FISE (Federazione Italiana Sport Equestri) possono senz’altro definirsi associazioni d’imprese a norma degli artt. 101 e 102 TFUE. Infatti sia la UEFA che la FIFA, attraverso la gestione dei diritti televisivi e l’organizzazione dei tornei sportivi, esercitano indiscutibilmente un’attività economica.
2) A questo punto, passato il vaglio positivo dell’esercizio dell’attività economica, e dunque l’assoggettabilità al Diritto Comunitario, l’avvocato generale dovrà verificare se tali regole sportive oggettivamente restringono la concorrenza (art. 101 TFUE) e/o costituiscono un abuso di posizione dominante (art. 102 TFUE). Indubbiamente FIFA e UEFA rivestono una posizione dominante nel mercato dell’organizzazione dei tornei sportivi, giacché oggi nessun altro organizza competizioni calcistiche professionistiche. Il contesto in cui operano è relativo ad attività sportive avente carattere continentale e gli obiettivi perseguiti dovrebbero essere puramente sportivi, almeno stando ai loro statuti. Ma il perseguimento di tali obiettivi dà origine ad effetti restrittivi e, in caso affermativo, tali restrizioni sono proporzionali a quegli obiettivi?
A ben guardare gli statuti della FIFA e della UEFA e l’applicazione delle sanzioni e dei divieti derivanti dagli stessi costituiscono una barriera insormontabile all’accesso di nuovi concorrenti nel mercato europeo delle competizioni internazionali di club calcistici e la commercializzazione dei diritti relativi a dette competizioni, attività che non sono interscambiabili, ma rivestono piuttosto un carattere di complementarietà funzionale, come stabilito dalla sentenza della Corte del 1° luglio 2008, MOTOE, C-49/07, EU:C:2008:376, al punto 33.
Inoltre, il potere detenuto dalla FIFA e dalla UEFA di autorizzare la disputa di partite e competizioni internazionali non è soggetto ad alcun tipo di limite né a una procedura oggettiva e trasparente ma al potere discrezionale dei rispettivi organismi privati che, dato il monopolio nell’organizzazione delle competizioni e gestione in esclusiva di rendimenti economici derivanti da dette competizioni sportive, hanno un chiaro interesse a negare tale autorizzazione. Quest’ultima non è nemmeno subordinata a ragioni di interesse generale o a un termine massimo entro il quale la FIFA e la UEFA devono pronunciarsi sulla stessa.
A parere dello scrivente, quindi, anche i punti 2) e 3) i) e ii) del Wouters-Test risultano soddisfatti.
Infatti le sanzioni della FIFA e la UEFA avrebbero impedito ai club e ai giocatori partecipanti alla Superlega di prendere parte a importanti competizioni internazionali (Campionato europeo di calcio di luglio 2021, Giochi olimpici di luglio 2021 e Campionato mondiale di calcio 2022). Tali sanzioni non sono proporzionate, hanno un evidente effetto deterrente sull’organizzazione di competizioni calcistiche da parte di potenziali concorrenti e implicano de facto l’imposizione di restrizioni ingiustificate e sproporzionate che hanno l’effetto di limitare la concorrenza nel mercato interno.
Nell’interrogazione parlamentare del 10 luglio 2018, il Commissario europeo per la concorrenza Margrethe Vestager, interpellato sulle denunce presso la Commissione riguardanti i casi FIBA/Eurolega (denunce che non hanno avuto seguito, NDR) rispondeva diplomaticamente in questo modo: “Sulla base della giurisprudenza dei tribunali dell’UE, le norme sportive istituite dalle federazioni sportive sono soggette alle norme antitrust dell’UE quando le federazioni, o le società e le persone interessate dalle norme, sono impegnate in un’attività economica. Ciò detto, le norme sportive restrittive sono compatibili con il diritto comunitario se perseguono un obiettivo legittimo e se le restrizioni che esse creano sono intrinseche e proporzionate al raggiungimento di tale obiettivo”.
Nella sua decisione dell’8 dicembre 2017 (caso ISU, che è arrivato oggi all’ultimo step nel grado di appello) la Commissione ha confermato che le regole di concorrenza si applicano allo sport e ha riconosciuto il ruolo e l’autonomia delle federazioni sportive internazionali nel perseguire il legittimo obiettivo di salvaguardare l’integrità, la salute, la sicurezza e il corretto funzionamento dello sport.
La decisione della Commissione ha riconosciuto che la fissazione del calendario delle competizioni può essere una delle misure che le federazioni possono adottare per garantire il corretto funzionamento dello sport, a seconda delle caratteristiche del rispettivo sport. Tuttavia, per essere in linea con le regole di concorrenza, tali misure devono essere proporzionate, basate su criteri chiari, obiettivi e non discriminatori e non servire da mezzo per escludere i concorrenti dal mercato.
La possibile conclusione dell’avvocato generale Athanasios Rantos
Sulla base di quanto testé indicato, a meno di una clamorosa rottura con i consolidati principi dichiarati dalla giurisprudenza della CGUE sopra descritta, l’orientamento dell’avvocato generale nel caso Superleague appare abbastanza prevedibile. La FIFA e la UEFA esercitano un’attività monopolista nell’organizzazione degli sport calcistici; tale attività assume anche, se non prioritariamente, natura economica; pertanto FIFA e UEFA devono consentire ai concorrenti di poter creare competizioni parallele, dunque generare una libera concorrenza sul punto; le eventuali regole statuarie che possono in qualche modo limitare tale concorrenza (rectius, la creazione dei tornei alternativi) deve essere ispirata alla esclusiva tutela dello sport e non alla tutela della propria quota di mercato. A parere dello scrivente, l’unica forma di difesa che FIFA e UEFA possono concretamente utilizzare è il calendario internazionale e quindi limitare le nuove competizioni in un arco temporale della stagione sportiva che non contrasti con le altre organizzazioni sportive di carattere internazionale (es. mondiali, europei). Questa appare una limitazione che persegue certamente fini di natura sportiva. Ma andrà inevitabilmente rimosso ogni riferimento automatico a sanzioni ed esclusioni da parte di club e atleti che partecipano a tornei non organizzati da FIFA e UEFA; e soprattutto il procedimento autorizzativo dovrà attenersi a criteri squisitamente sportivi (come ad esempio il calendario internazionale o la tutela della salute degli atleti) e non dovrà essere arbitrario e discriminatorio.
Sulla base di queste premesse, il monopolio di FIFA e UEFA sembra avere i mesi/anni contati.
Avv. Felice Raimondo
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