Il 20 gennaio 2023 la Corte Federale d’Appello accoglieva il ricorso per revocazione da parte della Procura Federale, sanzionando il club bianconero con una penalizzazione di 15 punti da scontare nella corrente stagione (Link). In data odierna sono state depositate le motivazioni che spiegano le ragioni in base alle quali i giudici dell’appello hanno accolto la revocazione e condannato la Juventus.
Chi è interessato al tema plusvalenze può rileggere gli approfondimenti che lo scrivente ha redatto nel corso degli ultimi anni (1- Plusvalenze: in che modo la bolla finanziaria può far implodere il mondo del calcio – 2 Plusvalenze: in che modo gli abusi possono essere frenati – 3 Plusvalenze: la situazione odierna nel calcio italiano secondo il report PWC 2022. Dopo 22 anni è cambiato qualcosa?).
Capitoli:
- Il background: cosa è accaduto fino ad oggi.
- Perché non sussiste il ne bis in idem.
- Tutte le prove che inchiodano la Juventus.
- Le altre eccezioni rigettate dalla Corte Federale d’Appello.
- Il differente trattamento rispetto agli altri club prosciolti.
- Sviluppi nel breve e medio termine.
- La manovra stipendi, il patteggiamento, la recidiva e i rischi con la UEFA.
- Conclusioni.
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Il background: cosa è accaduto fino ad oggi.
Nell’intervista concessa a “Numero Diez” (Link) ho ripercorso le tappe di questa vicenda ed ho risposto a diverse domande che hanno trovato una completa conferma nelle motivazioni della Corte Federale d’Appello (Link).
Lo scorso 27 maggio 2022 la Corte Federale d’Appello a Sezioni Unite ha prosciolto la Juve dalle accuse mosse dalla Procura Federale riguardanti in particolare due articoli del Codice di Giustizia sportiva: l’art. 4, che impone a tutti i soggetti dell’ordinamento sportivo di agire secondo i principi della lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva. Questo è un obbligo di carattere generale. Le accuse, inoltre, si sono concentrate sull’art. 31, comma 1, che sanziona le violazioni in materia gestionale ed economica. L’impianto accusatorio della Procura Federale riguardava l’abuso delle plusvalenze e il presunto valore artefatto di numerose operazioni di mercato. L’inchiesta sportiva è partita da segnalazioni della COVISOC (organo di controllo finanziario interno alla FIGC). Il club bianconero è stato prosciolto da queste accuse perché le prove raccolta dalla Procura Federale, basate su una perizia di parte, non sono riuscite a dimostrare che la Juve avesse agito in violazione dei doveri di lealtà e probità, e che avesse alterato i bilanci con le plusvalenze.
È stato quindi indicato il principio secondo il quale nell’ordinamento sportivo non è possibile condannare una plusvalenza senza un elemento oggettivo a cui ricollegarla, perché ogni giocatore ha un prezzo deciso dal mercato che varia in base a domanda/offerta. Per questo motivo, inoltre, la Corte d’Appello ha invocato l’intervento urgente della FIGC per l’introduzione di norme che disciplinino le plusvalenze, elaborando addirittura un metodo per quantificare quelle illecite.
Ad oggi però la FIGC non ha recepito queste indicazioni. La situazione per la Juve si è complicata quando la Procura Sportiva ha chiesto alla Procura ordinaria le 14.000 pagine di prove raccolte per l’indagine svolta sui reati societari (la c.d. inchiesta Prisma). Il club bianconero, infatti, per i medesimi motivi era già sotto indagine da parte della CONSOB (organo di controllo del mercato finanziario) per una presunta irregolarità nella redazione dei bilanci non in conformità ai principi internazionali (IFRS).
La chiave di volta è questa: tutti i club quotati in borsa devono obbligatoriamente redigere il proprio bilancio secondo principi contabili internazionali. Secondo la Juve andava applicato lo IAS 38, paragrafi 25-113, quindi le plusvalenze incrociate erano da considerare operazioni separate e non unitarie. Invece secondo CONSOB e Procura andava applicato lo IAS 38, paragrafo 45, relativo alle permute; cioè operazioni unitarie. La differenza non è irrilevante perché, secondo l’accusa, la metodologia seguita dalla Juventus ha causato una falsa rappresentazione della situazione contabile della società. Per tali motivi, dunque, le plusvalenze incrociate hanno generato un effetto positivo nel bilancio che invece non doveva esserci. Qualcuno lo definisce “maquillage contabile”, ossia un modo per rendere meno gravosi i conti della società.
La Procura della Repubblica di Torino, allertata in questa catena di controllo e nell’ambito dell’inchiesta Prisma, ha raccolto un mastodontico materiale probatorio fatto di intercettazioni e perquisizioni, allo scopo di indagare i reati societari collegati ai comportamenti avuti dai dirigenti del club bianconero. Queste prove sono state utilizzate dalla Procura Federale per riaprire il processo sportivo nel quale l’accusa non era riuscita a raccogliere sufficienti elementi per provare le violazioni sulla sola base della perizia di parte che attingeva i valori di riferimento da un sito internet (Transfermarkt) molto noto, ma che utilizzava solo uno dei tanti metodi con cui è possibile ricavare i valori dei giocatori. Questo è un aspetto fondamentale che sottolinea come gli inquirenti dell’ordinamento sportivo non abbiano mezzi di prova paragonabili a quelli della magistratura ordinaria che, invece, in presenza di reati gravi può effettuare indagini molto penetranti. Forse troppo? Questo è sicuramente un tema, dato che in Italia se ne discute da anni, ma è un problema molto più grande e che riguarda la giustizia nel suo complesso. Non è questa la sede per discuterne, semmai ci penserà il Parlamento. Ormai le intercettazioni sono state acquisite dalla Procura Federale e quindi fanno parte del materiale probatorio.
Perché non sussiste il ne bis in idem.
Nelle sue motivazioni la Corte Federale d’Appello ha confermato quanto lo scrivente aveva ipotizzato nell’intervista sopra indicata. Queste erano le mie parole: “A mio modo di vedere le intercettazioni hanno giocato un ruolo decisivo, soprattutto in relazione ai doveri di lealtà e probità. Dubito, infatti, che le 14.000 pagine siano servite a individuare dei valori oggettivi nelle compravendite contestate. Il problema, però, è che quelle prove potrebbero essere servite per condannare dei comportamenti che, secondo l’accusa e la Corte d’Appello, potrebbero non essere stati ritenuti conformi all’art. 4 del CGS. Quindi, pur non riuscendo a far emergere un valore oggettivo, potrebbe essere stata provata la volontà di rappresentare una situazione contabile differente da quella emersa pubblicamente“.
Ebbene, i giudici hanno affermato come sia “indiscutibile che il quadro fattuale determinato dalla documentazione trasmessa dalla Procura della Repubblica di Torino alla Procura federale, e da questa riversata a sostegno della revocazione, non era conosciuto dalla Corte federale al momento della decisione revocata e, ove conosciuto, avrebbe determinato per certo una diversa decisione. Esattamente secondo quanto previsto dall’art. 63, comma 1, lett. d), CGS. E si tratta di un quadro fattuale sostenuto da una impressionante mole di documentazione probatoria“.
La Corte d’Appello innanzitutto ha respinto l’eccezione sul ne bis in idem perché “pur essendo condivisibile l’assunto di partenza a proposito della natura eccezionale del mezzo di impugnazione in argomento e di una interpretazione rigorosa soprattutto in termini di decisività dei fatti prima non conosciuti o sopravvenuti (rigore che questa Corte non intende in alcun modo tradire), la stessa difesa della FC Juventus S.p.A. è poi costretta ad ammettere che l’ordinamento sportivo prevede una tale revocazione, in ragione dei caratteri di diversità e autonomia che lo connotano. Caratteristiche – quelle appena enunciate – che non consentono neppure di introdurre eccezioni di inconciliabilità tra la revocazione prevista dell’art. 63 CGS e i principi costituzionali anche afferenti il giusto processo”.
E ancora: “Una volta ritenuto (come si deve) che la revocazione sia possibile anche in malam partem – e i deferiti non lo dubitano – la predetta obiezione si svuota di significato. Il principio del ne bis in idem si applica certamente al diritto sportivo, ma nel senso di impedire di ritornare sul “già deciso” attraverso un nuovo giudizio e quindi al di fuori di una serie procedimentale prevista espressamente (e composta da una pluralità di gradi processuali). L’elemento comune di tale principio può essere tendenzialmente identificato nel divieto di ritornare sul già deciso, di ripetere un giudizio, in altri termini di compiere una seconda volta (un bis) un’attività svolta, o in via di svolgimento, in quanto forma di sovrapposizione ripetitiva e successiva con un nuovo giudizio processuale sulla medesima regiudicanda, al di fuori, si noti, di una serie procedimentale prevista espressamente (pluralità di gradi o di fasi in un sistema di impugnazione o di riesame o di separazione di giudizi).
Pertanto il divieto del bis in idem non può, in modo assolutamente certo, essere riferito a tutte le previsioni di successive fasi processuali o gradi di procedimento espressamente previste (principio di legalità) nei diversi sistemi processuali (rimedi e specifici istituti di carattere impugnatorio, o di revisione, o di riesame o di separazione). (Alta corte di giustizia sportiva, 11 maggio 2012, n. 9).
Pertanto, quando, come nel caso che occupa, si è all’interno di una tale progressione di fasi processuali o gradi di procedimento successivi, espressamente disciplinati dall’applicabile ordinamento (principio di legalità), si è anche all’interno del medesimo processo e non vi è alcun possibile spazio all’applicazione del divieto del ne bis in idem (Corte federale d’appello, Sez. II, n. 76/CFA/2019-2020).
Quanto precede, con la precisazione che anche una assoluzione ottenuta per due gradi di giudizio, se conseguente alla mancata conoscenza di fatti invece decisivi per una eventuale condanna, è soggetta al giudizio di revocazione“.
Proseguendo nelle motivazioni, la Corte Federale afferma che “la giurisprudenza di questa Corte è esattamente nel senso della ammissibilità della revocazione là ove i fatti dedotti come nuovi mostrino una attitudine effettivamente sostitutiva del fondamento della decisione da revocare, interamente assorbendola in sé per effetto della propria intrinseca efficacia probatoria. E questo effetto è esattamente quello cui si assiste nel caso in discussione. Non avendo poi rilievo i precedenti giurisprudenziali, pur richiamati da alcuni deferiti, che riguardino il diverso caso dell’errore di fatto (ipotesi diversa da quella della lett. d) dell’art. 63 CGS).
A questo punto la Corte afferma che è stata proprio la Juventus ad ammettere nelle sue memorie difensive che le precedenti condanne riguardanti fatti analoghi sono derivate da elementi probatori recepiti dall’indagine penale. Nello specifico viene detto che: “<<l’affermazione di responsabilità [negli altri casi] veniva fondata soprattutto sulle dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria penale da parte di soggetti che avevano preso parte in prima persona alle trattative, nonché da parte di alcuni degli stessi deferiti che, sempre in sede penale, avevano reso dichiarazioni di natura essenzialmente confessoria>> (memoria FC Juventus S.p.A. 13.5.2022). E la conclusione che – in allora – la società deferita traeva era che il giudizio di artificiosità dei corrispettivi stabiliti per il trasferimento (all’epoca del Genoa e del Como) derivava da un quadro fattuale definito come “lontano anni luce da quello del presente procedimento” (memoria FC Juventus S.p.A. 13.5.2022).
Ma oggi è esattamente un tale quadro fattuale ad essere radicalmente mutato. Il fatto nuovo che prima non era noto è proprio l’avvenuto disvelamento della intenzionalità sottostante all’alterazione delle operazioni di trasferimento e dei relativi valori. Il fatto nuovo – come è stato efficacemente sottolineato dalla Procura federale – è l’assenza di un qualunque metodo di valutazione delle operazioni di scambio e, invece, la presenza di un sistema fraudolento in partenza (quanto meno sul piano sportivo) che la Corte federale non aveva potuto conoscere e alla luce del quale la decisione deve essere diversa da quella qui revocata.
Un quadro fattuale – quello appena citato – dimostrato dalle numerose dichiarazioni (derivanti dalle intercettazioni), dai documenti e dai manoscritti di provenienza interna alla FC Juventus S.p.A. e che hanno tutti una “natura essenzialmente confessoria”.
Tutte le prove che inchiodano la Juventus.
La Corte d’appello specifica, inoltre, che nel caso riguardante la Juventus vi è “una aggravante distintiva rispetto a qualunque precedente: proprio con specifico riguardo alla FC Juventus S.p.A., colpisce la pervasività ad ogni livello della consapevolezza della artificiosità del modus operandi della società stessa. Dal direttore sportivo di allora (Paratici) all’allora dirigente suo immediato collaboratore (Cherubini). Dal presidente del consiglio di amministrazione (Agnelli) a tutto il consiglio stesso (citato come consapevole dal medesimo Agnelli). Sino ancora all’azionista di riferimento e all’amministratore delegato (Arrivabene) e ancora passando per tutti i principali dirigenti, inclusi quelli aventi competenza finanziaria e legale.
In alcuni casi, con una consapevolezza a tutto tondo dell’artificiosità delle operazioni condotte. In altri casi, con una consapevolezza più superficiale o magari persino di buona fede (ci si riferisce anche all’allenatore della squadra), ma comunque in grado di far dire che tutti fossero direttamente o indirettamente coscienti di una condizione ormai fuori controllo“.
A questo punto la Corte Federale d’Appello indica gli elementi probatori più rilevanti e inizia dal libro nero di Fabio Paratici: “l’elemento dimostrativo più rilevante, ad avviso della Corte federale, non è solo il contenuto testuale di detto “Libro Nero di FP”, di per sé sin troppo esplicito. Rileva piuttosto (quale conferma irredimibile del relativo esatto contenuto) il contesto nel quale esso è stato redatto. Emerge, invero, che detto “Libro” fosse stato preparato dal Cherubini come documento da utilizzare nella propria discussione con Paratici in fase di negoziazione del proprio rinnovo contrattuale (la circostanza è confermata dalle stesse dichiarazioni del Cherubini; si veda il file n. 656108 trasmesso alla Procura federale dalla Procura della Repubblica).
Naturalmente, non è qui rilevante operare interpretazioni esorbitanti o azzardare qualificazioni circa il comportamento in sé del Cherubini o il rapporto con Fabio Paratici. Ma ben si comprende, ad una lettura distaccata di una simile circostanza, la capacità disvelatrice di detto Libro Nero. È evidente che Cherubini era pronto a contraddire con Paratici per discutere il proprio contratto (accettandolo o rifiutandolo, non importa) ed era pronto a mettere sul tavolo della discussione quelle che lo stesso Cherubini riteneva essere importanti “differenze di vedute”: cioè il fatto che Fabio Paratici avesse costantemente operato attraverso un sistema di plusvalenze artificiali.
Ed è chiaro che nello scrivere il “Libro Nero di FP”, Cherubini rappresentava fatti veri che oggi non possono più essere efficacemente rinnegati. È per questa ragione che il mancato disconoscimento del documento e la mancata presa di distanza da esso della FC Juventus S.p.A. – a prescindere da ogni ulteriore rilevanza – ha una portata devastante sul piano della lealtà sportiva.
Da esso si trae la consapevolezza di un crescendo di difficolta economico-finanziaria della FC Juventus S.p.A. nel corso degli anni 2019, 2020 e 2021 (“come siamo arrivati qui?”) e della difficoltà di uscirne. E si individua anche il metodo rimediale che il Cherubini testimonia essere stato applicato da Fabio Paratici: “utilizzo eccessivo plusvalenze artificiali” (la cui conseguenza è un “beneficio immediato” ma anche un negativo “carico ammortamenti” per il futuro).
Il contenuto del “Libro Nero di FP” costituisce un elemento oggettivo non equivocabile. Tanto più tenuto conto della circostanza (e vi si tornerà oltre più diffusamente) che scopo del processo sportivo non è, evidentemente, inferire la consumazione di eventuali fattispecie di illecito a carattere penalistico. Oggetto di giudizio è solo la violazione delle norme sportive: nello specifico, dell’art. 4, comma 1 e dell’art. 31, comma 1.
Proseguendo nella lettura delle motivazioni, secondo la Corte d’Appello sono rilevantissime le intercettazioni telefoniche o ambientali (e le acquisizioni documentali) citate dalla Procura federale a sostegno della revocazione. Viene menzionata una intercettazione tra Agnelli ed Elkann, in cui l’ex presidente bianconero dice che la direzione sportiva (cioè Fabio Paratici) si era “allargata” con lo svolgimento “di tutta una serie di operazioni …” che il presidente Agnelli, nel botta e risposta della conversazione, individua subito definendole di “eccessivo ricorso allo strumento delle plusvalenze”.
Viene poi menzionata un’altra intercettazione tra Agnelli e Arrivabene nel corso della quale gli interlocutori condividono che la responsabilità delle difficoltà della Juventus non poteva essere attribuita solo al Covid-19 (“sì ma non era solo il Covid e questo lo sappiamo bene” ), posto che da un lato vi era la pandemia, ma dall’altro era stata “ingolfat[a] la macchina con ammortamenti e soprattutto la merda perché è tutta la merda che sta sotto che non si può dire”.
Vengono poi menzionate le intercettazioni dei dirigenti con ruoli finanziari e legali che dimostrano, a detta della Corte d’Appello, persino opacità nella rappresentazione all’esterno del reale contenuto delle operazioni condotte, tanto da sperare che “[quelli che] stanno cercando” (presumibilmente gli ispettori Consob) non scoprano carteggi altrimenti pericolosi.
Questa, però, è solo la premessa perché poco dopo la Corte d’Appello menziona le intercettazioni che dimostrano la natura alterata dei valori utilizzati (e il peso degli ammortamenti conseguenti) e comunque la natura esattamente permutativa di molte operazioni. In particolare viene menzionata la conversazione tra Marco Re e un soggetto terzo appartenente ad una importante banca, nel corso della quale il dirigente della FC Juventus S.p.A. ammette che “ma tu pensa uno come Arthur, che per farti la plusvalenza Pjanic hai pagato 75 milioni […] cioè era palese no? Che non fosse uno da quella cifra lì. Adesso lo paghi […] cioè te lo porti avanti per 4 anni [con gli ammortamenti]”.
Successivamente viene menzionata una intercettazione in cui Paratici, commentando con un giornalista un intervento di Fabio Cherubini e quasi sfogandosi dell’essere considerato responsabile isolato, risponde “Sì, ma non è che…se volevi mettere 400 milioni 5-6 anni prima, te li facevo mettere!”. E l’interlocutore (giornalista) allora: “Bravo! È quello che ho detto io, per quello ho detto: Scusami, abbi pazienza! gli ho detto Claudio, eh no! Perché io voglio dire non è che Paratici si svegliava la mattina e diceva: oggi voglio fare una bella plusvalenza! È che a un certo punto, facevate due conti, lo chiamavate e gli dicevate: devi fare 100, devi fare 150, devi fare 70! E lui poi ve le faceva! E ringrazia che le faceva, perché così avete mascherato i problemi per 3 anni, eh! Ho detto, dico perché poi quello ha fatto, non è che…”. Ed ancora Fabio Paratici: “Eh! No, per 6 o 7, però va bene… magari 3, magari 3, magari 3”.
Secondo la Corte d’Appello, sotto il secondo profilo (di scambio permutativo) sono emblematiche le acquisizioni anche documentali relative alle operazioni con club esteri (OM Marsiglia, Barcellona, Manchester City, Lugano, Basilea), nelle quali si dimostra lo sforzo profuso ad allineare i flussi finanziari delle operazioni e si ottiene prova certa dell’avvenuto condizionamento reciproco dei trasferimenti di volta in volta contrattualizzati (uno in uscita e uno in acquisto allo stesso prezzo o quasi). E ciò, dunque, in modo che non vi fosse dubbio che, intanto avveniva l’acquisto di un giocatore da una controparte, in quanto a quella stessa controparte veniva ceduto il proprio. Il tutto, secondo una “causa in concreto” (intesa come sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare) di chiara permuta.
A questo punto i Giudici Sportivi precisano che vanno distinte le operazioni a specchio o incrociate, apparentemente indipendenti, da operazioni ad effetti permutativi. E condannano il comportamento della Juventus che, sulla base degli elementi probatori, si sarebbe sottratta agli obblighi che gli avrebbero imposto i principi contabili internazionali (IFRS).
Afferma la Corte che “deve essere chiarito che ciò che rileva ai fini del processo sportivo e della violazione quanto meno dell’art. 4, comma 1, CGS, non è se la singola operazione dovesse essere trattata in continuità di valori (secondo lo IAS38, paragrafo 45, poi contestato alla FC Juventus S.p.A. dalla Consob) o meno, potendosi o non potendosi rilevare la plusvalenza. Ciò che rileva è la preordinata strutturazione e trattamento delle operazioni come apparentemente indipendenti e in modo tale da impedire in partenza la relativa qualificazione come permute. Ciò che rileva, in altri termini, è l’essersi volutamente sottratti alla potenziale applicazione dello IAS38 (paragrafo 45), quale che ne fosse l’esito“.
Per questo motivo, dicono i Giudici sportivi, gli sforzi dei consulenti degli avvocati della Juventus di ricostruire il valore commerciale delle operazioni citate dalla Procura non coglie il senso stesso della contestazione sportiva della quale qui si discute. Infatti, sottolinea la Corte d’Appello, diventano rilevanti le operazioni di nascondimento operate da alcuni dirigenti della FC Juventus S.p.A. che si sono spinte sino ad intervenire correggendo “a penna” le fatture ricevute dalla controparte per non far emergere la natura permutativa dell’operazione compiuta (evidenze contenute nel file n. 733488 trasmesso alla Procura federale dalla Procura della Repubblica di Torino).
E a riprova di quanto sopra indicato, tra gli altri viene illustrato lo scambio dei calciatori Akè/Tongya tra la FC Juventus S.p.A. e l’Olympique De Marseille. L’operazione, apparentemente costruita con contratti indipendenti, è in realtà un vero e proprio scambio e viene così qualificato dalle mail interne (che vengono menzionate, tutti documenti contenuti nel file n. 7733488 trasmesso alla Procura federale dalla Procura della Repubblica di Torino).
Ciò emerge anche dalla fatturazione, dove la Juventus, che aveva ricevuto la fattura, dopo aver barrato diverse parti, chiede al club francese di modificarla (documento anch’esso contenuto nel file n. 7733488 sopra citato). E ciò, per evitare che potesse essere compreso all’esterno che l’operazione era effettivamente di mero scambio (cioè permuta) e non certo composta da atti indipendenti.
Scrive la Corte d’Appello che “i dirigenti della FC Juventus S.p.A. dicono espressamente che si deve evitare di evidenziare la compensazione. Come a dire – ed è l’aspetto assorbente ai fini del processo sportivo – che la FC Juventus S.p.A. era perfettamente edotta del rischio di dover applicare lo IAS38, paragrafo 45, e il proprio approccio era nel senso di evitare che ciò avvenisse a prescindere da ogni effettiva applicabilità. Tanto che la natura dell’operazione non doveva emergere dai documenti ufficiali riguardanti la fatturazione”.
Commento all’immagine della fattura pubblicata da Fanpage:

Prendendo per buona la fattura pubblicata da Fanpage e a prescindere dalle traduzioni sul significato di “compensation” (che vuol dire compenso e non scambio, siamo d’accordo), il punto non è quello (e nemmeno la banale modifica dell’indirizzo) ma il fatto che la Juve abbia cancellato a penna la descrizione della transazione (“Pagamento a titolo oneroso con fattura da ricevere da Juventus in applicazione dell’accordo per la cessione a titolo definitivo del calciatore Franco Tongya”), riscrivendola in modo differente e chiedendo al Marsiglia che la fattura non indicasse l’acquisto di Tongya (giocatore scambiato con la Juve) ma che l’importo di 8 milioni saldasse l’addebito (“to your debit”) riferito ad Ake (giocatore Marsiglia preso dalla Juve, in base all’art. 2.1 dell’accordo). Quindi a impatto finanziario zero ma con plusvalenza secca per la Juve. E, soprattutto, come se non fosse una permuta (pagamento con fattura da ricevere per lo scambio Tongya/Ake) ma come se fossero due operazioni distinte (pagamento per l’acquisto di Ake). Esattamente quello che ha detto la Corte Federale d’Appello.
Tutto ciò è risultato decisivo nel giudizio rescindente che ha portato alla penalizzazione di 15 punti. E la Corte d’Appello lo chiarisce in maniera ancora più netta, confermando le ipotesi che lo scrivente aveva rilasciato al sito Numero Diez: “ciò che oggi è mutato è proprio il quadro fattuale nel quale ci si muove, che è radicalmente diverso da quello esaminato dalla decisione revocata. Non si tratta di discutere della legittimità di un determinato valore in assoluto. Né di operare una valutazione del prezzo scambiato. Si tratta invece di valutare comportamenti (scorretti) e gli effetti di tali comportamenti sistematici e ripetuti sul bilancio“.
I giudici sportivi, inoltre, ribadiscono l’urgenza di un intervento normativo da parte della FIGC.
E specificano che aver affermato il principio in base al quale non è possibile risalire ai valori oggettivi dei trasferimenti, non legalizza qualsiasi comportamento. Sotto tale profilo, sostiene la Corte, “la decisione revocata non ha nulla a che vedere con una preordinata intenzione di non utilizzare alcun metodo se non quello di una ricerca artificiale di plusvalenze come obiettivo e non come effetto delle operazioni condotte“.
In un simile quadro, prosegue la Corte Federale, “diventano a maggior ragione rappresentative del modus operandi non corretto della FC Juventus S.p.A. (lo stesso emergente dal quadro probatorio che sopra si è detto) soprattutto le operazioni compiute con i club esteri. Ci si riferisce: all’operazione Moreno-Andrade tra la tra la Juventus FC e il Manchester City (anno 2019/2020); all’operazione Pereira-Marques tra la Juventus FC e il Barcellona (anno 2019/2020); all’operazione Sene-Hajdari tra la Juventus FC e il Basilea (anno 2019/2020); all’operazione Bandeira-Nzouango tra la Juventus FC e l’Amiens Sporting Club (anno 2019/2020); all’operazione Tongya-Akè tra la Juventus FC e l’Olympique De Marseille (anno 2020/2021); all’operazione Monzialo-Lungoyi tra la FC Juventus FC e la FC Lugano (anno 2020/2021)”.
A questo punto la Corte Federale d’Appello spiega uno dei motivi (gli altri si diranno in seguito) per i quali ha censurato le operazioni con i club esteri e non anche quelle con i club italiani. Tutto risiede nella stanza di compensazione (La camera di compensazione: come si effettuano e si garantiscono gli acquisti tra le squadre di Serie A), meccanismo del tutto assente nei trasferimenti con i club stranieri.
Secondo i giudici sportivi “tutte tali operazioni risultano emblematiche perché, invece di essere state trasparentemente e correttamente rappresentate come permute, esse sono state mostrate all’esterno come operazioni formalmente indipendenti. La differenza di tali operazioni rispetto a quelle compiute con controparti italiane riposa nella circostanza che le operazioni con controparti estere non potevano contare sulla stanza di compensazione disciplinata dalla federazione di appartenenza e, pertanto, la mera conclusione di una operazione a specchio non era sufficiente ad ottenere lo “scambio” finanziariamente neutro, dovendosi di volta in volta aggiungere – sistematicamente – un qualche patto che a monte condizionasse reciprocamente lo scambio (vendo perché tu compri e tu vendi perché io compro, quindi scambiamo) e che a valle disciplinasse la compensazione dei pagamenti incrociati (i c.d. “set-off arrangement” o accordi di compensazione infatti trovati con riguardo alle operazioni estere). Il tutto, dunque, sostituendo l’effetto “automatico” della compensazione dei pagamenti presente nell’ordinamento federale italiano”.
Ecco spiegato l’arcano: le operazioni a specchio che danno luogo alle permute, se effettuate tra club italiani, difficilmente hanno valori neutri perché i flussi di denaro vengono gestiti all’interno della stanza di compensazione dove ogni club avrà un certo saldo negativo o positivo (che userà per i trasferimenti nazionali e che dovrà garantire con apposite fideiussioni, come lo scrivente ha già spiegato in uno dei suoi approfondimenti: Link). Cosa che invece non accade all’estero dove, accordandosi con le controparti, è possibile ottenere sistematicamente operazioni finanziariamente neutre che, però, danno luogo alle plusvalenze artificiose.
Sostiene la Corte che “non è noto se tutte le controparti della FC Juventus S.p.A. abbiano o meno registrato anch’esse una plusvalenza da scambio del loro giocatore ceduto o comunque quale sia stato il trattamento contabile seguito (anche rispetto alle immobilizzazioni connesse all’acquisto). Eventualità che resta del tutto neutra rispetto al presente giudizio.
Premesso che la realizzazione di una plusvalenza (quale differenza tra il valore contabile residuo di un bene e prezzo di cessione), in caso di cessione in denaro, è destinata a verificarsi in capo al solo soggetto cedente essendo invece indipendente la condizione dell’acquirente (che porta semmai nelle immobilizzazioni l’acquisto), nel caso di scambio (o permuta) la plusvalenza eventualmente realizzata da ciascuna delle parti contraenti (ciascuna invero avente la posizione di cedente e acquirente) dipende dalla condizione specifica contabile della parte interessata. Una parte potrebbe realizzare la plusvalenza e l’altra no, oppure l’effetto potrebbe verificarsi per entrambi. Lo stesso, può avvenire per l’eventuale aumento delle immobilizzazioni (poi destinate ad essere ammortizzate). Tali effetti dipendono dalla specifica condizione contabile di ciascun contraente, e dai principi contabili ad esso contraente applicabili.
Ma ciò che rileva dal lato della FC Juventus S.p.A. è in ogni caso la circostanza che l’indipendenza degli incroci contrattuali sia stata documentalmente sconfessata dalle evidenze dimostrative trasmesse dalla Procura della Repubblica di Torino (è qui sufficiente citare i file n. 733431 e n. 733488), posto che in riferimento a ciascuna delle predette operazioni (con il Manchester City, il Barcellona, il Basilea, l’Amiens Sporting Club, l’Olympique De Marseille e la FC Lugano) sussiste uno specifico elemento di prova che ne qualifica la natura come scambio (o meglio permuta), vuoi attraverso le condizioni contrattuali (prima non note), vuoi attraverso i manoscritti dei dirigenti della FC Juventus S.p.A., vuoi ancora attraverso gli scambi di mail interne o con tali club.
E qui si torna a quanto si è detto rispetto alla decisività delle dette evidenze. L’intenzionalità volta ad evitare la ricostruzione delle operazioni sopra menzionate quale permuta e dunque l’intenzionalità mostrata ad evitare di dover verificare, volta per volta, l’effettiva applicabilità per la FC Juventus S.p.A. di eventuali limiti contabili alla legittimità della plusvalenza (o delle immobilizzazioni ottenute per lo scambio) è comportamento sufficiente alla violazione dell’art. 4, comma 1, CGS”.
Anche in tal caso risultano pienamente confermate le parole dello scrivente che, nell’intervista concessa a Numero Diez, affermava quanto segue: “Senza dubbio le plusvalenze si fanno in due, ma le prove degli illeciti benefici bisogna raccoglierle per entrambe le parti che, nel caso di specie, non dovevano aderire agli stessi principi contabili“.
Ebbene, nel caso di specie la Corte Federale ha detto proprio questo: le plusvalenze si fanno in due nel senso che è necessario un accordo tra due club, ma non è detto che entrambi quei club stiano perseguendo uno scopo illecito, come risulta provato anche nel caso dell’operazione con il Marsiglia, che in seguito ha modificato la fattura per andare incontro alle esigenze della Juve. Dunque è possibile che in una operazione di scambio incrociato entrambe le parti abbiano interesse a fare l’operazione ma solo una di esse abbia interesse a farla sembrare apparentemente una operazione distinta piuttosto che una permuta (per sfuggire ai principi contabili internazionali e, quindi, far emergere la plusvalenza a bilancio).
E nel novero delle operazioni dalle quali far derivare una sanzione ex art. 4, comma 1, CGS, secondo la Corte d’Appello andrebbe poi “aggiunta quanto meno l’ulteriore permuta (anno 2019/2020) di Pjanic Arthur tra la Juventus FC e il Barcellona dedotta dal deferimento della Procura federale come ulteriore operazione anomala ancorché poi non utilizzata nei conteggi finali delle ritenute alterazioni dei bilanci della FC Juventus S.p.A. in assenza della prova (oggi invece esistente) della natura puramente permutativa e della effettiva alterazione dei relativi valori”. A corredo la Corte elenca le numerose mail tra la Juve e il Barcellona, dove l’operazione viene chiaramente definita come scambio (senza flussi di denaro, ndr).
Il punto nodale del comportamento della Juventus, ribadisce la Corte d’Appello, è l’assenza di un qualunque metodo attendibile. Come ha evidenziato la Procura federale, e come emerge anche dalle sottolineature della stessa Consob a proposito dell’assenza di processi valutativi tracciabili, “si giungeva a programmare sistematicamente la realizzazione di plusvalenze prescindendo all’individuazione stessa del soggetto da scambiare, spesso indicato con una semplice “X” accanto al nome del giocatore della FC Juventus S.p.A. da cedere e ovviamente accanto al numero prestabilito di plusvalenza da realizzare (documenti sequestrati dalla Procura della Repubblica di Torino e presenti nei file n. 733431 e n. 733488). Il tutto, dunque, in un quadro chiaramente sintomatico di una ricerca artificiale di plusvalenze artificiali (come definite dal “Libro Nero di FP”), in alcun modo conseguenza di operazioni di effettivo mercato”.
A questo punto risulta impietosa la considerazione svolta dai giudici della Corte Federale d’Appello che sottolineano, invece, come le difese della Juventus avessero detto che “i corrispettivi dei calciatori acquistati dalla Juventus si formano ad esito di un processo strutturato interno alla Società. In sintesi, il processo riguarda tre distinte divisioni: la First Team Area, la Football Technical Area e l’Area Scout e si concretizza – oltre che nella fase di scouting del giocatore e di negoziazione con le controparti – nella preparazione e nell’aggiornamento nel tempo di dettagliate schede calciatori, che ne illustrano giudizi e caratteristiche fisiche, tecniche e caratteriali”. Ma la Corte afferma come le successive evidenze abbiano documentato che, all’opposto, non esistesse alcun processo di valutazione ad opera della Juventus.
In una simile modalità di comportamento, specificano i giudici sportivi, non esiste neppure alcun ragionamento tecnico sottostante, in quanto il criterio guida è raggiungere un obiettivo che nulla ha a che fare con la rappresentazione veritiera e corretta della situazione economico-patrimoniale di una data società. L’attendibilità di un bilancio è cruciale nel fornire informazioni utili agli investitori, attuali e potenziali, ai finanziatori e agli altri creditori, nonché nel supportare i processi decisionali inerenti all’affidamento delle risorse all’impresa. Un simile obiettivo si raggiunge solo con condotte eticamente ed economicamente corrette, che devono escludere plusvalenze “inventate”, cioè non derivanti dall’applicazione di alcun criterio ma solo dalla finalità di modificare (alterandoli) i risultati di bilancio.
Come afferma la Corte Federale, “qualunque plusvalenza diventa artificiale ove non vi sia alcun percorso, né sottostante economico. Come sottolineato da Consob, seguendo la logica della FC Juventus S.p.A. si dovrebbe giungere alla paradossale conclusione per cui, in uno scambio di beni immateriali, “[l]e parti potrebbero, infatti, teoricamente concordare qualsiasi valore per i beni scambiati se in definitiva non viene scambiato alcun importo” (pag. 73 della Delibera 22482/2022). La conseguenza di un simile approccio è un’alterazione ripetuta dei valori di bilancio e del significato informativo dello stesso“.
Viene poi smontata anche la nota con cui la Juventus rispondeva alla CONSOB con riguardo alle “c.d. operazioni incrociate” dove la società “precisa che gli eventuali effetti dei rilievi sollevati dalla Consob sarebbero nulli sui flussi di cassa e sull’indebitamento finanziario netto, sia degli esercizi pregressi che di quello appena concluso, mentre sul piano economico e patrimoniale sostanzialmente si azzererebbero a livello cumulato nel corso del quinquennio 2019/2020 – 2023/2024”.
Secondo i giudici federali, il comunicato della Juve semmai conferma gli illeciti perché nega in radice le fondamenta di un qualunque bilancio che, invece, ha per definizione una prospettiva annuale:
“Tutte le plusvalenze generano effetti positivi sul bilancio dell’esercizio nel quale si realizzano (plusvalenze) ed effetti negativi (ammortamenti), di pari ammontare cumulato, negli esercizi successivi, di talché l’affermazione della compensazione degli effetti sul piano economico e patrimoniale nel corso degli anni è, per un verso, irrilevante e, per altro verso, inidonea ad attribuire carattere di liceità ad una plusvalenza artificiale. Al contrario, sostenere che in ogni caso gli effetti si compensano nel medio termine, un quadriennio o quinquennio, equivale a dichiarare che i bilanci degli esercizi compresi nell’intervallo temporale di riferimento non sono veritieri, in quanto tutti affetti da operazioni che hanno manipolato la distribuzione temporale dei risultati economici, mancando di qualsiasi rappresentazione della sostanza dei fenomeni economici e non rappresentandone fedelmente gli effetti.
Con l’ulteriore precisazione che l’earning manipulation incide, evidentemente, anche sul patrimonio netto della società, rendendone il valore non espressivo. Esattamente come rappresentato dalla Procura federale nel proprio deferimento e come anche e soprattutto rappresentato da Consob nella propria delibera 22482/2022 ove è chiarito, senza mezzi termini, che il comportamento della FC Juventus S.p.A. comporta la “violazione del principio dell’attendibilità della situazione patrimoniale-finanziaria, del risultato economico e dei flussi finanziari dell’entità previsto dallo IAS 1”.
I bilanci della FC Juventus S.p.A. (cui Consob si riferisce) semplicemente non sono attendibili.”
Successivamente la Corte, confermando che il ragionamento motivazionale non è improntato sui valori ma sui comportamenti, afferma che sostenere che i bilanci siano mutati di 30, 70 o 100 milioni non muta il discorso dal punto di vista disciplinare. L’intensità della violazione, peraltro, ad opinione dei giudici sportivi, deve essere misurata rispetto ad un complesso di elementi, dei quali la misura del vantaggio numerico è solo uno dei parametri.
In modo chiarissimo viene affermato che “scopo del processo sportivo, infatti, non è giungere ad una determinazione numerica esatta dell’ammontare delle plusvalenze fittizie, bensì individuare se un fenomeno di tale natura vi sia effettivamente stato, se esso sia quindi sussumibile sotto la fattispecie dell’illecito disciplinare sportivo e, infine, se esso possa essere considerato sistematico – cioè riferito a più operazioni e più annualità – come contestato dalla Procura federale.
La documentazione acquisita dalla Procura federale, direttamente proveniente dai dirigenti della società con valenza confessoria, le intercettazioni anch’esse inequivoche, sia atomisticamente considerate che nel loro complesso, i riscontri ulteriori formati dalla contrattualistica volta a regolare un effetto concreto di permuta non manifestato all’esterno, e le ulteriori evidenze relative ad interventi di nascondimento di documentazione (caso Pjanic) o addirittura manipolatori delle fatture (caso Olympique De Marseille) costituiscono un quadro fattuale che assorbe ogni altra considerazione”.
Vengono quindi menzionati gli orientamenti del Collegio di Garanzia (terzo grado che si dovrà esprimere sul caso in esame) in base al quale il rispetto delle normative generali in materia societaria costituisce una forma di garanzia per tutti i club (Collegio di Garanzia SS.UU. n. 45/2022). Il rispetto di tali regole, prima tra tutte la prevalenza della substance over form e della trasparenza informativa, ha, quindi, un diretto collegamento con le norme sanzionatorie previste dall’ordinamento sportivo.
Nel caso specifico, prosegue la Corte Federale ,“il comportamento della FC Juventus S.p.A. integra l’illecito disciplinare sportivo, con conseguente affermazione di fondatezza del deferimento nei confronti dei deferiti Sig. Fabio Paratici, Sig. Federico Cherubini, Sig. Andrea Agnelli, Sig. Pavel Nedved, Sig. Enrico Vellano, Sig. Paolo Garimberti, Sig.ra Assia Grazioli-Venier, Sig. Maurizio Arrivabene, Sig.ra Caitlin Mary Hughes, Sig.ra Daniela Marilungo, Sig. Francesco Roncaglio e FC Juventus S.p.A.. Risulta in particolare violato l’art. 4, comma 1, CGS”.
Dunque, esattamente come aveva ipotizzato lo scrivente, i giudici hanno fondato la sanzione principalmente sulla violazione dei doveri di lealtà e probità, inevitabilmente connessa a violazioni di carattere finanziario.
Inoltre, la Corte aggiunge che il richiamo di una interlocuzione di Cherubini, il quale afferma che “se cercano il dolo non lo troveranno”, non è sufficiente a liberare la Juventus e i suoi dirigenti dalle responsabilità sportive. Secondo i giudici federali la “non conformità di comportamento e l’irregolarità dei bilanci, per usare le stesse parole utilizzate dalla FC Juventus S.p.A., vanno comunque riconosciute. E quand’anche si ricostruissero tutte le vicende oggetto d’indagine in termini di colpa, l’illecito disciplinare sportivo resterebbe comunque integrato, non essendo necessario secondo la giurisprudenza di questa Corte la sussistenza di stato soggettivo del dolo specifico, né per le persone fisiche (Corte federale d’appello, Sez. I, n. 90/2021-2022), né per la responsabilità della società (Corte federale d’appello, SS.UU. n. 122/2018-2019)”.
La Corte ribadisce come resti intatto il punto centrale della contestazione disciplinare: “la condotta della Juventus e dei relativi amministratori e dirigenti – per tutto quanto sopra spiegato – viola l’art. 4, comma 1, CGS oltre che l’art. 31, comma 1, CGS”.
L’apporto causale dei singoli deferiti, quindi, per la Corte d’Appello è risultato provato alla luce del materiale probatorio trasmesso dalla Procura di Torino: “Per quanto concerne la responsabilità della Juventus S.p.A., di Fabio Paratici, di Federico Cherubini, di Andrea Agnelli e dello stesso Maurizio Arrivabene si rinvia al corpo delle pagine precedenti. Per ciò che concerne gli altri amministratori della FC Juventus S.p.A. è invece sufficiente riferirsi alla già richiamata consapevolezza diffusa che le intercettazioni hanno dimostrato. Alla luce delle risultanze complessive prodotte dalla Procura federale si deve confermare che il consiglio di amministrazione nel suo complesso ha condiviso, o quanto meno sopportato, la violazione dei principi sportivi“.
Per quanto concerne l’aumento della penalizzazione inflitta (dai 9 punti chiesti dalla Procura si è arrivati a 15 punti), come ipotizzato dallo scrivente, la Corte ha proceduto ad una rideterminazione della pena in conseguenza dei nuovi elementi probatori:
“Nel caso specifico devono essere ponderati quanto meno i seguenti elementi: (a) la natura ripetuta, su più esercizi, del comportamento censurato e, dunque, la relativa effettiva qualificazione come sistematica; (b) la rilevanza del comportamento sulla ripetuta violazione dei principi di verità e correttezza dei bilanci interessati dalle operazioni sopra descritte, anche indipendentemente da una specifica quantificazione numerica della alterazione (comunque oggettivamente rilevante) ed anche indipendentemente dalla qualificazione di detti bilanci come falsi; (c) la particolare rilevanza che deve essere assegnata ad un tale comportamento di inattendibilità dei bilanci rispetto al grado specifico di lealtà che deve essere richiesto ad una società sportiva, a maggior ragione ove essa abbia deciso di quotarsi; (d) la già richiamata invasività della consapevolezza a più livelli dirigenziali e societari di un comportamento non corretto (sul piano quanto meno sportivo); (e) le modalità specifiche con le quali il comportamento ha costantemente alterato il principio della prevalenza della sostanza sulla forma, essendo emersi episodi di oggettiva opacità rispetto alla natura coeva e permutativa delle operazioni di scambio, così come episodi di mancata comunicazione di carteggi ritenuti dalla stessa FC Juventus S.p.A. rilevanti per la determinazione dei corretti valori delle operazioni compiute o addirittura episodi di modificazione delle fatturazioni al fine di non far emergere i fenomeni integralmente compensativi delle operazioni condotte; (f) lo stesso necessario intervento della Consob a fini di enforcement dell’informazione contabile (con una delibera Consob che non risulta impugnata dalla FC Juventus S.p.A.), misura quest’ultima che, benché non impugnatoria dei bilanci della FC Juventus S.p.A., ha particolare valenza di comunicazione al pubblico del comportamento corretto (invece inadempiuto) che l’emittente avrebbe dovuto avere.
Tutte queste considerazioni, aggiunge la Corte, portano dunque ad una sanzione che deve essere proporzionata anche all’inevitabile alterazione del risultato sportivo che ne è conseguita tentando di rimediare ad una tale alterazione, così come deve essere proporzionata al mancato rispetto dei principi di corretta gestione che lo stesso Statuto della Figc impone quale clausola di carattere generale in capo alle società sportive (art. 19).
Le altre eccezioni rigettate dalla Corte Federale d’Appello.
Per quanto concerne i profili di inammissibilità per tardività del ricorso in revocazione, la Corte d’Appello afferma che la trasmissione (dalla Procura di Torino a quella Sportiva) è avvenuta effettivamente il 24/11/22 (vi è la firma in calce di tre magistrati della Procura di Torino), con il ricorso per revocazione depositato il 22/12/22 (28 giorni dopo, quindi nel rispetto dei 30). Pertanto le doglianze della Juve, secondo la quale la Procura avrebbe conosciuto i documenti ben prima del 24/11/22, non sono condivisibili perché la giurisprudenza della Corte si è già espressa a proposito della irrilevanza di notizie di stampa ai fini della decorrenza del termine di revocazione (ex plurimis Corte di giustizia federale, SS.UU., n. 203/2009-2010; Corte di giustizia federale, SS.UU., n. 31/2013-2014).
Proseguendo sulle restanti eccezioni, la Corte ha affermato che, in base alla granita giurisprudenza sportiva “le intercettazioni telefoniche costituiscono, del tutto legittimamente, materiale probatorio acquisibile al procedimento, dovendo le intercettazioni medesime essere considerate nella loro fenomenica consistenza e nella loro capacità rappresentativa di circostanze storiche rilevanti, senza neppure possibilità di sindacare la loro origine e il modo della loro acquisizione (ex plurimis Corte di giustizia federale, SS.UU., n. 32/2011-2012; e nello stesso senso: Corte di giustizia federale, SS.UU., n. 43/2011-2012; Corte federale d’appello, SS.UU., n. 46/2015-2016; Corte federale d’appello, SS.UU., n. 10/2016-2017; Corte federale d’appello, SS.UU., n. 12/2016-2017; Corte federale d’appello, SS.UU., n. 96/2016-2017; Corte federale d’appello, SS.UU., n. 102/2016- 2017).
Del resto, un identico orientamento è perfettamente coerente con plurime decisioni della Corte di Cassazione (Corte di Cassazione, SS.UU., sent. del 15.01.2019 n. 741; Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., 29.09.2022, n. 28398 e Corte di Cassazione 15 dicembre 2022, n. 36861).
Esula poi dai poteri del giudice sportivo ogni valutazione sulla legittimità dell’operato dell’autorità giudiziaria in ordine all’acquisizione stessa delle intercettazioni. E ciò è vero, vuoi in riferimento al potere speso, vuoi in riferimento al dibattito odierno sulla opportunità di aumentare o ridurre l’ambito assoggettabile ad un tale mezzo di prova. Ai fini del processo sportivo, rileva esclusivamente la provenienza istituzionale del materiale ricevuto“.
Dunque, per questi motivi, secondo la Corte le intercettazioni sono per certo utilizzabili (peraltro non costituendo neppure l’unico elemento decisivo ai fini della formazione del nuovo quadro fattuale di riferimento, giacché da affiancare alle acquisizioni documentali), mentre il divieto di un utilizzo a fini penali per reati diversi da quelli che hanno dato luogo alle intercettazioni stesse (argomento ex art. 270 c.p.p.) non trova alcuna applicazione al procedimento disciplinare (Corte di giustizia federale, SS.UU., n. 48/2011-2012; Corte federale d’appello, SS.UU., n. 10/2016-2017; Corte federale d’appello, SS.UU., n. 122/2018-2019; Corte federale d’appello, SS.UU., n. 55/2019-2020; Corte federale d’appello, SS.UU., n. 95/2019-2020).
Sostiene la Corte che, nel caso specifico, le intercettazioni esaminate consentono di raggiungere una organica rappresentazione dei fatti sottoposti a giudizio (in argomento Corte federale d’appello, SS.UU., n. 122/2018-2019; Corte federale d’appello, SS.UU., n. 55/2019-2020; Corte federale d’appello, SS.UU., n. 95/2019-2020). Meglio ancora, non vi è modo di non considerare la rilevanza delle “dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate” (Corte federale d’appello, SS.UU., n. 1/2020-2021).
La Corte d’Appello, in seguito, smonta anche le eccezioni relative alla tardività della iscrizione della notizia dell’illecito da parte della Procura Sportiva, “fermo comunque che, in caso di superamento del termine dell’indagine, l’art. 119, comma 6, CGS prevede, quale espressa conseguenza la sola inutilizzabilità degli atti e non piuttosto l’improcedibilità dell’azione.
Del resto – e tale considerazione assume ulteriore carattere dirimente – una simile decadenza è esclusa anche dalla giurisprudenza ordinaria formatasi sull’art. 335 c.p.p., a mente della quale “ritardi indebiti nella iscrizione, tanto della notizia di reato che del nome della persona, pur se abnormi, sono privi di conseguenze [sulla validità del processo] fermi restando gli eventuali profili di responsabilità disciplinare o penale del magistrato del P.M. che abbia ritardato l’iscrizione” (così Cassazione SS. UU., n. 40538 del 24.09.2009 con successiva conforme Cassazione Sez. 6, n. 4844 del 14.11.2018; e nello stesso senso da ultimo Cassazione civile SS. UU. 12.04.2021, n.9548).
Il punto qui decisivo è allora che lo stesso art. 119, comma 6, CGS, citato dai reclamanti incidentali quale norma da applicare al caso concreto, afferma che “possono sempre essere utilizzati gli atti e documenti in ogni tempo acquisiti dalla Procura della Repubblica e dalle altre autorità giudiziarie dello Stato”. Esattamente come nel caso che qui occupa. Ove pure si accedesse ad una qualche passata limitazione della “vecchia” documentazione d’indagine, il nuovo quadro fattuale derivante dalla documentazione e dalle evidenze trasmesse dalla Procura della Repubblica resterebbe comunque utilizzabile. Ed è sulla documentazione proveniente dalla Procura della Repubblica di Torino (al pari di quella di derivazione Consob) che questa Corte federale è chiamata a pronunciarsi”.
Viene smontata anche la contestazione relativa al giusto processo (ex art. 44 CGS) e delle prerogative di difesa, “posto che la fonte del quadro fattuale del quale si discute è per certo interamente rappresentata dalla Procura della Repubblica di Torino (cui si collega il procedimento Consob) e posto che dei relativi atti e documenti, utilizzabili in ogni tempo (art. 119, comma 6, CGS), le parti hanno avuto esatta e compiuta notizia nei termini consentiti dal ricorso di revocazione”. In altri termini il giudizio di revocazione si è basato su documenti legittimamente acquisiti e le parti hanno potuto difendersi nei termini previsti dalla legge. Ergo non è stato violato il diritto di difesa.
Il differente trattamento rispetto agli altri club prosciolti.
Anche questo aspetto era stato inquadrato correttamente dallo scrivente che, nell’intervista, affermava quanto segue: “Senza dubbio le plusvalenze si fanno in due, ma le prove degli illeciti benefici bisogna raccoglierle per entrambe le parti che, nel caso di specie, non dovevano aderire agli stessi principi contabili (OIC per le non quotate, IFRS per le quotate come la Juve). In attesa delle motivazioni, si può ipotizzare che le 14.000 pagine della magistratura ordinaria, utilizzate dalla Procura Federale, non avessero abbastanza elementi anche per inchiodare le altre squadre in relazione ad uno dei due articoli contestati (art. 4 e art. 31 CGS). Questo perché le altre squadre, non essendo quotate in borsa, e quindi non avendo i medesimi obblighi di redigere i bilanci secondo i principi contabili internazionali, non sono state oggetto di indagine per quei reati societari. Per tale motivo il quadro probatorio era differente. E alla luce del differente quadro probatorio, credo che sia stato sanzionato il comportamento dei dirigenti e della società bianconera, così come emerso dalle intercettazioni.
Comportamento che, invece, non è emerso per i dirigenti delle altre squadre perché non sottoposti alle medesime indagini da parte della magistratura ordinaria, dato che non avevano gli stessi obblighi contabili. La Juventus, essendo quotata in borsa, è stata oggetto di indagini approfondite che in passato non hanno avuto altri club (Milan e Inter) non quotati in borsa, ma ugualmente indagati per le plusvalenze sia dalla magistratura sportiva che ordinaria. All’epoca, nel 2008, i dirigenti delle milanesi furono prosciolti dalla magistratura ordinaria e patteggiarono con la giustizia sportiva delle ammende con diffida. Ma l’impianto accusatorio, per i motivi anzidetti, non era minimamente paragonabile a quello costruito oggi contro la Juve”.
Secondo la Corte Federale d’Appello, la revocazione della decisione nei soli riguardi della Juventus è possibile, indipendentemente dalla possibilità che per alcuni dei deferiti debba poi procedersi ad un nuovo esito di proscioglimento.
A tale proposito, secondo i giudici sportivi, è utile richiamare l’orientamento della stessa Corte di Cassazione, a mente della quale “la revocazione travolge completamente i capi della sentenza [revocata], sicché il giudice della fase rescissoria, chiamato nuovamente a decidere, deve procedere ad un nuovo esame prescindendo dalle rationes decidendi della sentenza revocata. Infatti, il giudizio ex art. 402 c.p.c. è nuovo e non la mera correzione di quello precedente, per cui la nuova decisione sul merito è del tutto autonoma e non può certo essere la risultante di singoli elementi correttivi nell’iter logico-giuridico espresso dalla decisione revocata (Cass. nn. 2181/01 e 8326/04)” (Cassazione civile sez. VI, 20/06/2016, n.12721, dettata in materia di errore revocatorio ma applicabile all’art. 63, comma 1, lett. d) CGS).
Peraltro, è pacifico che il giudice possa emettere una nuova decisione che in parte si sovrapponga a quella revocata, ancorché come nuova decisione e non come conferma della precedente statuizione ormai elisa dal mondo giuridico”.
Scendendo nel merito delle posizioni degli altri incolpati, la Corte Federale d’Appello conferma pienamente quanto lo scrivente aveva ipotizzato nella suindicata intervista. Ossia che il proscioglimento degli altri club si è basato sul differente materiale probatorio raccolto nei loro riguardi.
Secondo i giudici sportivi “appare inevitabile tenere distinte le posizioni riguardanti la FC Juventus S.p.A. rispetto alle altre squadre. La ragione della necessaria distinzione di merito riposa, ed è considerazione sin troppo ovvia, nella circostanza che la FC Juventus S.p.A. e i relativi amministratori e dirigenti sono stati oggetto di diffuse e ripetute evidenze dimostrative prodotte dalla Procura federale. Evidenze che connotano un canone di comportamento sistematico e non isolato. Proprio con riguardo alla FC Juventus S.p.A., il quadro probatorio che si è già citato ai fini del giudizio rescindente ha carattere inequivocabile rispetto agli scopi del processo sportivo“.
E ancora, verso la fine della decisione, la Corte afferma come: “Va anzitutto premesso che nella documentazione acquisita dalla Procura federale, diversamente da quanto accaduto per la FC Juventus S.p.A., non sussistono evidenze dimostrative specifiche che consentano di sostenere efficacemente l’accusa nei confronti delle società UC Sampdoria, FC Pro Vercelli 1892, Genoa CFC, Parma Calcio 1913, Pisa Sporting Club, Empoli FC, Novara Calcio e Delfino Pescara 1936. E tanto meno appare possibile sostenere che vi sia stata (come sostenuto nel deferimento) una sistematica alterazione di più bilanci. Le intercettazioni, i manoscritti (incluso il “Libro Nero di FP”), la documentazione acquisita dalla Procura della Repubblica di Torino non coinvolgono direttamente tali società“.
Per quanto riguarda l’operazione Audero-Peeters-Mulé conclusa tra la Juve e la Samp, si fa riferimento ad una singola intercettazione e ad una mail, che “fanno certamente emergere un sospetto in relazione all’operazione, ma per la quale non può raggiungersi (quanto meno dal lato della UC Sampdoria) certezza di illiceità e che comunque non appare sufficiente per sostenere una accusa rivolta ad una sistematica alterazione dei bilanci, avendo così impostato il proprio deferimento la Procura federale”.
Per quanto riguarda gli altri club, Parma Calcio 1913, Novara Calcio e Delfino Pescara 1936, le contestazioni della CONSOB, richiamate dalla Procura Federale, si riferiscono solo a tre operazioni: Lanini-Minelli, Masciangelo-Brunori e Lamanna-Barbieri, condotte da tre società diverse (rispettivamente Parma, Novara e Pescara), una per società e senza alcuna reiterazione nell’arco di più esercizi.
Come afferma la Corte, anche se queste operazioni possono apparire sospette perché “caratterizzate dallo stesso vizio che sopra si è commentato per gli scambi compiuti dalla medesima FC Juventus S.p.A. con controparti straniere (tenuto conto della volontà di eseguirle come scambio basandosi, nel caso delle società appartenenti alla Figc, sulla stanza di compensazione per effetto della quale pagamenti incrociati società di serie A o di B si compensano a meno che non sia diversamente disciplinato)”, ciò posto proprio perché trattasi di singoli episodi isolati non può essere contestata alcuna sistematicità (prima considerazione). Come afferma la Corte: “Una condanna di Parma, Novara e Pescara per il mero “contatto” con la FC Juventus S.p.A. risulterebbe ingiustificata (seconda considerazione) in assenza di prove oggettive della violazione, non vista dal lato della FC Juventus S.p.A., ma appunto da quello delle deferite qui trattate. Prova che, proprio con riguardo alle citate società, non è rinvenibile nella documentazione prodotta dalla Procura federale.
Il tutto senza considerare la rilevanza per la sola FC Juventus S.p.A. dei principi contabili internazionali indicati dalla Consob, che non trovano invece applicazione (nei medesimi termini) per le società italiane non quotate.
Infine, poco o nulla è provato dalla Procura federale con riguardo alle società FC Pro Vercelli 1892, Genoa CFC, Pisa Sporting Club ed Empoli FC, società sostanzialmente non presenti nelle intercettazioni della FC Juventus S.p.A., fatta sola eccezione per un cenno operato nei confronti del Genoa, ma senza la partecipazione diretta di alcun responsabile di tale società e in forma oggettivamente generica (senza cioè alcuna indicazione di giocatori specifici)”.
Per tutti questi motivi, come aveva correttamente ipotizzato lo scrivente, le plusvalenze si fanno in due perché nell’accordo devono essere coinvolti due clubs, ma: 1) non è detto che entrambi stiano perseguendo obiettivi illeciti; 2) in caso contrario bisogna raccogliere prove oggettive per entrambi i clubs perché la colpevolezza di uno dei due non è sufficiente a determinare la colpevolezza dell’altro sulla base del semplice contatto avvenuto in ragione dell’operazione.
Sviluppi nel breve e medio termine.
La decisione della Corte Federale d’Appello potrebbe ancora essere annullata dal Collegio di Garanzia, la Cassazione del mondo dello Sport. Come affermavo nell’intervista: “La Procura Federale ha chiaramente invocato la scoperta del nuovo materiale probatorio ricevuto dalla Procura della Repubblica di Torino. Lo stesso CGS, però, prevede che la revocazione debba essere chiesta entro trenta giorni dalla scoperta del fatto o dal rinvenimento dei documenti e dinanzi al Collegio di Garanzia si potrà disquisire solo su questo. Quindi sulla corretta applicazione della normativa e sul rispetto dei termini previsti dal CGS“.
La decisione, quindi, potrebbe essere annullata solo per meri vizi formali o per una errata applicazione di altre norme previste dal CGS. Certamente le motivazioni non potranno essere sconfessate nel merito, a meno che il Collegio non annulli con rinvio, costringendo le parti a ripetere il giudizio di secondo grado. Se invece il Collegio dovesse confermare la decisione della Corte Federale d’Appello, per la Juventus non ci sarebbe più nulla da fare in ambito sportivo, con le sanzioni che diventerebbero definitive. Resterebbe soltanto la possibilità di un ricorso al TAR per una eventuale richiesta di risarcimento del danno.
Negli ultimi giorni si è letto che la Juve avrebbe eccepito alla Procura il fatto che l’art. 4 CGS (dovere di lealtà e probità) non è stato mai contestato direttamente al club ma solo ai suoi dirigenti. E per tale motivo la Corte d’Appello non avrebbe potuto incolpare la società sulla sola base di quell’articolo. Tuttavia il diritto sportivo si fonda sulla c.d. responsabilità oggettiva (art. 6 CGS) in base al quale “La società risponde direttamente dell’operato di chi la rappresenta ai sensi delle norme federali”. E l’articolo 6, infatti, è stato contestato alla Juventus nell’atto di deferimento, unitamente all’art. 31, co. 1, CGS. Per tale motivo è presumibile ipotizzare che il Procuratore non abbia ritenuto necessario imputare alla Juve anche l’art. 4 CGS perché, sulla base del richiamato art. 6 CGS, il club risponde sempre direttamente e oggettivamente dell’operato di chi la rappresenta; ossia dei dirigenti ai quali, invece, è stato contestato singolarmente l’art. 4 CGS. La CAF, in conclusione, afferma che “Resta quindi intatto il punto centrale della contestazione disciplinare: la condotta della FC Juventus S.p.A. e dei relativi amministratori e dirigenti – per tutto quanto sopra spiegato – viola l’art. 4, comma 1, CGS oltre che l’art. 31, comma 1, CGS”. Quindi la Juve non solo è stata ritenuta colpevole oggettivamente (per il tramite dei suoi dirigenti) della violazione riguardante l’art. 4 CGS, ma è stata condannata anche per la violazione dell’art. 31, comma 1, CGS.
A parere di chi scrive la mancata contestazione “diretta” dell’art. 4 CGS non ha portato a violazioni del diritto di difesa perché la Juventus era ben cosciente di rispondere oggettivamente dell’operato dei suoi dirigenti dato che tale contestazione (art. 6 CGS) gli era stata formulata. Impedire alla CFA di sindacare sulla lealtà e probità del club bianconero – per il semplice motivo che l’art. 4 CGS sia stato contestato solo ai dirigenti e non anche alla società – svuoterebbe di significato l’art. 6 CGS. E’ bene ricordare che secondo la consolidata giurisprudenza sportiva “la responsabilità oggettiva consegue in termini automatici e legali a quella materiale del responsabile fisico, e non può, quindi, in nessun caso, essere elusa, ma solo graduata e misurata nei suoi limiti quantitativi sanzionatori” (Decisione C.F.A. – Sezioni Unite, C.U. n. 78/CFA del 22 Gennaio 2018; Decisione Collegio di Garanzia dello Sport – Sezione Prima, n. 52/2019; Decisione CFA, Comunicato Ufficiale n. 124/CFA del 19 Maggio 2016; C.U. n. 101/CDN (2011/2012) del 18 giugno 2012; C.U. n. 029/CGF, di cui al C.U n. 068/CGF (2012/2013) del 20 agosto 2012).
La contestazione, comunque, merita attenzione perché non banale e già oggetto di pronunce da parte dei giudici federali. L’art. 125, comma 4, C.G.S. descrive il contenuto essenziale dell’atto di deferimento stabilendo che, “nell’atto di deferimento sono descritti i fatti che si assumono accaduti, vengono enunciate le norme che si assumono violate, indicate le fonti di prova acquisite nonché formulata la richiesta di fissazione del procedimento disciplinare”. La descrizione dei fatti contestati, in particolare, è funzionale alla corretta instaurazione del contraddittorio affinché la difesa dell’incolpato possa essere consapevolmente ed efficacemente svolta.
In base alla consolidata giurisprudenza in ambito sportivo sulla scorta dell’orientamento della Cassazione penale “per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione (Cass. pen. SS.UU., sentenza n. 35551 del 15.7.2010)” (ex multis CFA- Sezione I, decisione n. 58/CFA/2020-2021).
A sostegno, anche la giurisprudenza penale più recente che così interpreta l’art. 521 c.p.p.: “Questa Corte ha già chiarito che “in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione” (In tal senso, Cass. pen. Sez. V, Sent., 02-03-2022, n. 7540; cfr. anche SS.UU. n. 36551 del 15/07/2010).
Sulla base della stessa giurisprudenza richiamata, infatti, “sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza se il fatto contestato sia mutato nei suoi elementi essenziali, così da provocare una situazione di incertezza e di cambiamento sostanziale della fisionomia dell’ipotesi accusatoria capace di impedire o menomare il diritto di difesa dell’imputato“ (Cass. Sez. 6, n. 6346 del 09/11/2012; idem, Cass. pen. Sez. V, Sent., 02-03-2022, n. 7534).
La violazione di questi principi fa scattare quella dell’art. 44 CGS, che disciplina il giusto processo. Fino ad oggi i Giudici Sportivi hanno giustamente bocciato i deferimenti dei procuratori federali con formule eccessivamente aperte, e parimenti cassato le decisioni dei Tribunali che sanzionano condotte non riconducibili al perimetro fattuale indicato. Il punto, quindi, sarà proprio questo: si può sostenere che la violazione dei doveri di lealtà e probità a carico della Juve non sia riconducibile al perimetro fattuale indicato nell’originario atto di deferimento? Cioè, aver condannato la Juve non solo per l’art. 31, comma 1, CGS, ma pure per l’art. 4 CGS, vorrebbe dire aver sanzionato il club per comportamenti non riconducibili alle plusvalenze? Si può davvero sostenere che i doveri di lealtà e probità siano principi non riconducibili alla pratica delle plusvalenze artificiose? Si può affermare che aver basato le motivazioni anche sulla plusvalenza Pjanic (che non sembra sia stata contestata precedentemente) abbia modificato radicalmente il fatto nei suoi elementi essenziali, così da provocare incertezza e cambiamento sostanziale dell’ipotesi accusatoria?
In ogni caso queste contestazioni (mancato rispetto del termine dei 30 giorni, mancata contestazione dell’art. 4 CGS direttamente alla società), dato che riguardano questioni di legittimità, saranno oggetto di valutazione da parte del Collegio di Garanzia.
Per il momento è possibile fare una riflessione di carattere generale: la Procura Federale non avrebbe mai potuto chiedere la revocazione e, quindi, non sarebbe mai riuscita a ottenere i 15 punti di penalizzazione senza il materiale probatorio raccolto dalla Procura della Repubblica di Torino. Nel processo sportivo in cui la Juve è risultata assolta (quello revocato) l’accusa non era riuscita a raccogliere sufficienti elementi per provare le violazioni e i comportamenti sleali sulla sola base dei documenti contabili pubblici e della perizia di parte che attingeva i valori di riferimento da un sito internet (Transfermarkt) molto noto, ma che utilizzava solo uno dei tanti metodi con cui è possibile ricavare i valori dei giocatori. Questo è un aspetto fondamentale che sottolinea come gli inquirenti dell’ordinamento sportivo non abbiano mezzi di prova paragonabili a quelli della magistratura ordinaria.
Per questo motivo possiamo ricavare questa conclusione: ad oggi, e fino a quando la FIGC non inserirà norme ad hoc (magari come suggerito otto mesi fa dalla Corte Federale d’Appello), le plusvalenze contestate (quelle relative agli scambi incrociati senza movimentazione di denaro) non potranno mai essere adeguatamente perseguite nell’ambito della giustizia sportiva perché l’ordinamento sportivo non ha i mezzi per poterle perseguire. Cioè non esistono norme idonee a limitare gli abusi contestati. Per tale ragione le Procure Sportive devono arrampicarsi sugli specchi con le perizie basate su “Transfermarkt”, con i risultati che abbiamo visto tutti: proscioglimento perché non vi è possibilità di determinare oggettivamente il valore di una transazione o perché non vi sono sufficienti elementi probatori per dimostrare comportamenti contrari ai doveri di lealtà e probità.
Ergo, allo stato attuale la Procura Federale può risultare pericolosa solo se “armata” dalla Procura della magistratura ordinaria che, tuttavia, deve essere anche particolarmente penetrante e, quindi, deve individuare prove schiaccianti per dimostrare la volontà di alterare i bilanci attraverso le plusvalenze. Cioè, come scritto da qualcuno, va provato “il sistema” che travasa dalla normale pratica di mercato e finisce per essere metodo esclusivamente finalizzato all’alterazione dei bilanci. Quindi documenti privati ma soprattutto intercettazioni dei dirigenti protagonisti, così da provare inconfutabilmente sia l’elemento oggettivo che soggettivo dell’illecito contestato. Chiaramente la Procura della magistratura ordinaria sarà sempre più penetrante nei confronti di un indagato quotato in borsa (attenzionato pure dalla CONSOB) rispetto all’indagato non quotato. E questa non è “persecuzione” ma legge: la magistratura inquirente svolge le indagini in base alla tipologia e gravità degli indizi di reato.
Alla luce di quanto detto, senza il medesimo materiale probatorio raccolto contro la Juventus, e senza un improbabile revirement giurisprudenziale, i procedimenti che verranno aperti nei confronti degli altri club e che avranno per oggetto le plusvalenze, saranno destinati a naufragare.
La manovra stipendi, il patteggiamento, la recidiva e i rischi con la UEFA.
Per il club bianconero, inoltre, i problemi non sono finiti qui: le prove raccolte dalla Procura della Repubblica di Torino, infatti, potranno essere usate anche per contestare la c.d. “manovra stipendi” effettuata durante la pandemia. Ossia particolari accordi stipulati con i giocatori per posticipare una parte dei salari, intese che vanno dichiarate nei bilanci e depositate in FIGC (quindi non possono rimanere semplice atto privato).
Come riporta la Gazzetta dello Sport: “la Juventus ha raggiunto l’intesa coi suoi tesserati sugli stipendi, qualificata in un comunicato ufficiale come una rinuncia a quattro mensilità, con un risparmio contabilizzato di 90 milioni. Nei fatti però la rinuncia è stata a una mensilità, con delle scritture private (anche per chi avrebbe lasciato il club) per riconoscere nelle stagioni successive gli altri tre stipendi, risparmiando dunque effettivamente solo 31 milioni e spalmando su altre annualità i restanti 59: da qui il nome di “manovre stipendi”, racchiudendo operazioni di tipo diverso articolate su due stagioni, il 2019-20 e il 2010-21”.
La Procura Federale potrebbe indagare in relazione all’art. 31, comma 3, CGS:
Considerato l’ammontare della “manovra stipendi”, il valore dell’ammenda (che è la sanzione principale) potrebbe essere clamoroso perché va da uno a tre volte l’importo illecitamente pattuito o corrisposto, oltre ai punti di penalizzazione in classifica (sanzione accessoria e facoltativa).
Questo processo può risultare anche più pericoloso del precedente perché le violazioni riguarderebbero moltissimi giocatori della rosa. Potrebbe essere prudente, quindi, laddove ne sussistano le condizioni, valutare un patteggiamento che riduca la sanzione pecuniaria principale ed eviti quella accessoria. Altrimenti l’alternativa sarebbe quella di affrontare un altro processo sportivo, nella consapevolezza dell’imponente materiale probatorio di cui dispone la Procura Federale e del precedente negativo circa le plusvalenze. Ma esistono le condizioni per un patteggiamento?
E’ bene ricordare che in tali casi bisogna agire in fretta perché muoversi prima o dopo il deferimento può risultare decisivo ai fini della riduzione della pena.
L’atto di deferimento a giudizio, nel sistema di giustizia sportiva della FIGC, è l’atto di esercizio dell’azione disciplinare da parte della Procura, in cui viene formulata la contestazione degli addebiti sottoposta all’esame del Tribunale e trova la sua corrispondenza nel decreto che dispone il giudizio (art. 429 c.p.p.), per quanto concerne la responsabilità penale, e nella contestazione degli estremi della violazione (art. 14 legge n. 689 del 1981) per quanto concerne la responsabilità amministrativa. (cfr. Corte Federale d’Appello, Sezioni Unite, n. 73/2019-2020).
In base all’art. 126 CGS, se la richiesta di patteggiamento avvenisse prima del deferimento da parte del Procuratore, quindi prima che le contestazioni venissero comunicate agli interessati, la sanzione potrebbe essere ridotta fino a un massimo della metà di quella prevista nel caso in cui si procedesse in via ordinaria.
In base all’art. 127 CGS, se la richiesta di patteggiamento avvenisse dopo il deferimento, la sanzione potrebbe essere ridotta fino a un massimo di un terzo di quella prevista nel caso in cui si procedesse in via ordinaria.
Per tutti gli incolpati viene in soccorso l’art. 128 CGS, in base al quale viene premiata la collaborazione: “In caso di ammissione di responsabilità e di collaborazione da parte dei soggetti sottoposti a procedimento disciplinare per la scoperta o l’accertamento di violazioni regolamentari, gli organi di giustizia sportiva possono ridurre, su proposta della Procura federale, le sanzioni previste dalla normativa federale ovvero commutarle in prescrizioni alternative o determinarle in via equitativa. La riduzione può essere estesa anche alle società che rispondono a titolo di responsabilità”.
Il Procuratore federale, ove ritenga congrui la sanzione o gli impegni indicati nella proposta di accordo, informa il Procuratore generale dello sport il quale, entro dieci giorni, può formulare rilievi. La proposta di accordo è trasmessa, a cura del Procuratore federale, al Presidente federale, il quale, entro i quindici giorni successivi, sentito il Consiglio federale, può formulare osservazioni con riguardo alla correttezza della qualificazione dei fatti operata dalle parti e alla congruità della sanzione o degli impegni indicati, anche sulla base degli eventuali rilievi del Procuratore generale dello Sport. Decorso tale termine, in assenza di osservazioni, la proposta di accordo diviene definitiva e l’accordo viene pubblicato con Comunicato ufficiale ed acquista efficacia. L’accordo comporta, in relazione ai fatti relativamente ai quali è stato convenuto, l’improponibilità assoluta della corrispondente azione disciplinare, salvo che non ne sia data completa esecuzione nel termine perentorio di trenta giorni successivi alla sua pubblicazione.
Benissimo, ma tutto questo può essere applicato alla Juve e ai suoi giocatori?
Il Codice di Giustizia Sportiva (ultimi commi degli articoli 126 e 127) prevede che il patteggiamento non può essere chiesto “per i casi di recidiva, per i fatti commessi con violenza che abbiano comportato lesioni gravi della persona, per gli episodi di abusi o di molestie sessuali, per episodi di prevaricazione con atti di prepotenza, per i fatti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara o di una competizione ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica, qualificati come illecito sportivo dall’ordinamento federale”.
La recidiva, quindi, blocca il patteggiamento. Ma la manovra stipendi può essere considerata come recidiva? L’art. 18, che disciplina l’istituto della recidiva in ambito sportivo, afferma che:
- Salvo che la materia non sia diversamente regolata, alla società, ai dirigenti, ai tesserati della società, ai soci e non soci di cui all’art. 2, comma 2 che hanno subito una sanzione per fatti costituenti violazione delle norme federali e che ricevono altra sanzione per fatti della stessa natura nella medesima stagione sportiva, è applicato un aumento della pena determinato secondo la gravità del fatto e la reiterazione delle infrazioni.
- La condanna ad una delle sanzioni previste dall’art. 8, comma 1, lettere d), e), f), g), h), i), l), m) è valutata, ai fini della recidiva, anche per le infrazioni commesse nella stagione sportiva successiva.
Con la manovra stipendi la Juventus e i suoi dirigenti (laddove ciò venisse provato) avrebbero commesso una violazione finanziaria analoga a quella delle plusvalenze e avente il medesimo scopo, ossia rappresentare una realtà economica diversa da quella reale, trasgressione che rientra sempre nell’art. 31 ma sotto un comma differente, il numero 3, collegato anche stavolta all’art. 4 CGS (doveri di lealtà e probità) e all’art. 6 CGS (responsabilità oggettiva). Quindi se il Procuratore Federale la penserà allo stesso modo, cioè se alla Juventus verrà contestato l’art. 31 CGS anche per la manovra stipendi, quest’ultima potrebbe essere considerata a tutti gli effetti un caso di recidiva secondo il CGS che, oltre a poter sbarrare la strada verso un patteggiamento, aumenterà la sanzione secondo la gravità del fatto e la reiterazione delle infrazioni.
La Juve ha stipulato accordi con molti giocatori e queste presunte infrazioni potrebbero essere ritenute sia gravi che reiterate. Peraltro, essendo già stata condannata con dei punti di penalizzazione (lettera “g” dell’art. 8 CGS), tale sanzione verrà valutata ai fini della recidiva anche per violazioni analoghe commesse nella stagione sportiva successiva a quella della infrazione. Per questi motivi la Juventus non potrà evitare di subire un secondo processo sportivo legato alla manovra stipendi, i cui esiti rischiano di essere anche più pericolosi dell’attuale penalizzazione di 15 punti (sub iudice dinanzi al Collegio di Garanzia che può ancora annullarla per vizi procedurali o violazione di legge).
I giocatori, invece, in base al comma 8 dell’articolo 31 CGS rischierebbero quanto segue:

Come emerso dalle informazioni rilasciate dai media, che riportano stralci documentali relativi all’indagine, i giocatori che avrebbero aderito alla manovra stipendi sono 23 nella stagione 19/20 e 17 nella stagione 20/21 (Link). Molti di questi ancora giocano nel club: Bonucci, Cuadrado, Alex Sandro, Danilo, De Sciglio, Rabiot, Szczęsny, Chiesa, McKennie. E la deposizione di Dybala, oggi alla Roma ma che all’epoca ha partecipato all’accordo, non aiuta la difesa.
Dybala: “Quello che ricordo io era che era uscito un comunicato stampa. Tanta gente pensava che noi avessimo rinunciato a quattro mesi e nessuno sapeva in quel momento che noi avremmo preso tre mesi ma pagati più avanti. Leggendo il comunicato non è l’accordo che abbiamo raggiunto. C’è scritto che rinunciamo a quattro mesi ma non c’è scritto che avevamo già l’accordo sulle tre mensilità, che erano certe. La proposta era quella di non percepire i quattro mesi di stipendio (non ricordo di preciso quali mesi). Noi non eravamo d’accordo perché non volevamo rinunciare a così tanti mesi. L’accordo è stato che di quei quattro mesi ne percepivamo tre nella stagione successiva e uno lo lasciavamo come solidarietà. Quando ci hanno chiesto di rinunciare a quattro mesi, siamo rimasti stupiti e molti di noi hanno detto no. Noi per quell’anno rinunciavamo a quattro stipendi. Tre ce li pagavano con certezza, senza condizioni l’anno successiva e uno lo lasciavamo in solidarietà. Questo è l’accordo finale. Ricordo che prendemmo la decisione di decidere insieme, cioè di accettare o meno la proposta ma di farlo tutti insieme. Io non ricordo di averne parlato personalmente con Paratici e Nedved”.
Anche in tal caso, eccezioni a parte (non tutti avrebbero firmato le carte), il rischio potenziale è che la squalifica di durata non inferiore al mese, se dovesse essere scontata durante la stagione sportiva e non nel corso dell’estate, priverebbe il club di tanti giocatori importanti per diverse partite di campionato e coppa (se verrà disputata).
Al contrario della società, però, non essendo implicati nel caso plusvalenze (che riguardava club e dirigenti) i giocatori potranno valutare serenamente il patteggiamento. E quindi scegliere tra rischiare un processo sportivo oppure collaborare per annullare queste sanzioni o commutarle in prescrizioni alternative o determinarle in via equitativa.
Le suindicate problematiche potrebbero riguardare questo o il prossimo campionato, dipenderà dai tempi della giustizia, dove la Juve potrebbe essere oggetto anche di un procedimento sportivo da parte della UEFA che potrebbe chiedere i documenti alla Procura della Repubblica di Torino per verificare se i dati contabili trasmessi ai fini del Settlement Agreement erano veritieri oppure no (qui un mio approfondimento sul tema: Link). In caso negativo, è possibile ipotizzare una revoca dell’accordo transattivo e l’applicazione di una sanzione più dura (un SA più stringente o addirittura l’esclusione dalle coppe per una o più stagioni).
Conclusioni
Per tutti questi motivi le plusvalenze sembrano essere soltanto l’inizio di una tempesta giudiziaria che coinvolgerà la Juventus nei prossimi mesi, frutto delle indagini sull’ultimo periodo di gestione Agnelli che si potrà riflettere anche sui risultati sportivi perché le sanzioni potranno tradursi in pesanti penalizzazioni in classifica che con la manovra stipendi potranno sfociare in punizioni ancora più severe. Alcuni passaggi motivazionali della Corte Federale d’Appello, che afferma come lo scopo della Juventus fosse quello di aggirare i principi contabili internazionali, possono essere molto pericolosi nel processo penale perché formano a tutti gli effetti un precedente pesantissimo a carico degli indagati.
La manovra stipendi rischia di portare penalizzazioni maggiori a cui accompagnare multe salatissime, vedremo se già in questo campionato o nel prossimo. La serie B è uno spauracchio che non si può escludere e tutt’altro che remoto (non a caso le agenzie di scommesse hanno sospeso le puntate su questo evento) anche se la Giustizia Sportiva, per una questione d’immagine del calcio italiano, potrebbe ricevere forti pressioni affinché vengano utilizzati guanti di velluto e non d’acciaio. In altri termini verrà invocata la “clemenza della corte”, nei limiti del possibile e del lecito. La sensazione è che si voglia evitare una calciopoli bis, anche perché in tal caso i giocatori più forti finirebbero verosimilmente in Premier League, impoverendo ulteriormente il campionato nostrano che non vive i fasti del 2006, periodo in cui il Milan arrivava in finale di CL e la Juventus era piena zeppa di fuoriclasse. Piaccia o no, il destino del calcio italiano è inevitabilmente legato a quello della Juventus. Se quest’ultima dovesse colare a picco, tutto il sistema affonderebbe con la “vecchia signora”. Con queste premesse, se la giustizia continuerà a colpire duro, difficilmente la Lega di Serie A riuscirà a vendere bene i diritti TV del prossimo bando. Per questo motivo i problemi giudiziari della Juventus riguardano indirettamente tutti i club del massimo campionato. Chi ha sbagliato è giusto che paghi, ma bisogna anche ragionare da “lobby” e quindi tutelare gli interessi economici che gravitano attorno alla Serie A.
Verrebbe da chiedersi se l’acquisto di CR7 abbia portato davvero benefici economici, come tutti scrivevano all’epoca, o semmai l’esatto contrario. Quindi se quell’investimento non abbia ingolfato una macchina perfetta che con Marotta stradominava in Italia e brillava in Europa, pur con cocenti delusioni.
Certamente la pandemia è stato un evento imprevedibile, ma così non può dirsi per tutto il resto.
Avv. Felice Raimondo
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