Il Napoli ha presentato il ricorso dinanzi al Collegio di Garanzia del CONI, ultimo grado di giustizia sportiva, con lo scopo di annullare lo 0-3 a tavolino subito contro la Juventus ed il punto di penalizzazione comminati dal Giudice Sportivo e confermati dalla Corte Federale d’Appello.
Ma diversi commentatori si spingono già oltre: se la sanzione disciplinare dovesse essere confermata, la società campana potrebbe ricevere giustizia dinanzi al TAR? C’è chi si è addirittura spinto nell’affermare che il TAR può annullare la decisione del Collegio di Garanzia e riscrivere la classifica. Questo approfondimento, dunque, ha la finalità di spiegare i motivi per cui ciò non è possibile. Nel modo più assoluto. Ed a supporto dell’analisi troviamo due sentenze illuminanti della Corte Costituzionale, emesse nel 2011 e nel 2019.
La sentenza della Corte Costituzionale n. 49/2011.
La diatriba tra i due ordinamenti giuridici (statale e sportivo) non è recente, ma ha vissuto già dei precedenti molto importanti. Va preliminarmente osservato che l’autonomia dell’ordinamento sportivo trova ampia tutela negli artt. 2 e 18 della Costituzione, dato che non può porsi in dubbio che le associazioni sportive siano tra le più diffuse «formazioni sociali dove [l’uomo] svolge la sua personalità» e che debba essere riconosciuto a tutti il diritto di associarsi liberamente per finalità sportive.
La nostra carta fondamentale, però, nell’art. 24 tutela anche il diritto di difesa e quindi la Consulta è stata chiamata ad esprimersi sul bilanciamento tra i succitati articoli che tutelano diverse situazioni (autonomia formazioni sociali e diritto di difesa) in apparenza potenzialmente confliggenti. La domanda a cui il massimo interprete deve rispondere è questa: negare l’impugnazione di una sanzione disciplinare sportiva, quindi il suo annullamento dinanzi al TAR, comprime eccessivamente il diritto di difesa del cittadino? Oppure il nostro ordinamento statale fornisce altri strumenti che consentono di tutelare il diritto di difesa al di fuori del recinto sportivo?
Innanzitutto bisogna specificare che l’ordinamento sportivo italiano fa capo al Comitato Olimpico Internazionale. Quindi è stato già chiarito, reiterando concetti già espressi in altri testi normativi (quali gli artt. 2 e 15 del d.lgs. 23 luglio 1999, n. 242, recante «Riordino del Comitato olimpico nazionale italiano – C.O.N.I., a norma dell’articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59»), che questo ordinamento autonomo costituisce l’articolazione italiana di un più ampio ordinamento autonomo avente una dimensione internazionale e che esso risponde ad una struttura organizzativa extrastatale riconosciuta dall’ordinamento della Repubblica.
Il giudice rimettente, ossia il TAR Lazio, fa notare alla Corte Costituzionale come in realtà abbia “più volte affermato la propria giurisdizione in materia di sanzioni disciplinari sportive diverse da quelle tecniche – cioè da quelle preordinate ad assicurare la regolarità della competizione e la rispondenza del risultato ai valori sportivi in essa espressi – in considerazione del fatto che il principio, espresso dal decreto-legge n. 220 del 2003, secondo il quale l’ordinamento sportivo è disciplinato autonomamente da quello statale, trova una espressa deroga in caso di rilevanza per quest’ultimo di situazioni giuridiche, costituenti diritti soggettivi e interessi legittimi, connesse con il primo. È il caso delle controversie che abbiano ad oggetto rapporti giuridici patrimoniali fra società sportive ed atleti, devolute al giudice ordinario, ovvero il caso di controversie relative ai provvedimenti del CONI o delle Federazioni sportive, devolute al giudice amministrativo”.
Per ciò che concerne lo specifico esame delle disposizioni su cui verte la questione di costituzionalità sollevata dal rimettente TAR, si osserva che al comma 1 dell’art. 2 del predetto decreto-legge è stato previsto, peraltro dando veste normativa ad un già affermato orientamento giurisprudenziale, che è riservata all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni concernenti, oltre che l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie finalizzate a garantire il corretto svolgimento delle attività sportive – cioè di quelle che sono comunemente note come “regole tecniche” – anche «i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari». Viene, altresì, precisato, al successivo comma 2, che in siffatte materie i soggetti dell’ordinamento sportivo (società, associazioni, affiliati e tesserati) hanno l’onere di adire (si intende: ove vogliano censurare la applicazione delle predette sanzioni) «gli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo», secondo le previsioni dell’ordinamento settoriale di appartenenza.
Al contenuto di tale disposizione fa riferimento il successivo art. 3 del decreto-legge n. 220, il quale, nel testo vigente al momento della proposizione della questione di legittimità costituzionale, individua, in sostanza, una triplice forma di tutela giustiziale. Una prima forma, limitata ai rapporti di carattere patrimoniale tra società sportive, associazioni sportive, atleti (e tesserati), è demandata alla cognizione del giudice ordinario. Una seconda, relativa ad alcune delle questioni aventi ad oggetto le materie di cui all’art. 2, nella quale, in linea di principio, la tutela, stante la irrilevanza per l’ordinamento generale delle situazioni in ipotesi violate e dei rapporti che da esse possano sorgere, non è apprestata da organi dello Stato ma da organismi interni all’ordinamento stesso in cui le norme in questione sono state poste (e nel cui solo ambito esse, infatti, godono di pacifica rilevanza), secondo uno schema proprio della cosiddetta “giustizia associativa”. La giustizia sportiva, infatti, costituisce lo strumento di tutela definitivo per le ipotesi in cui si discute dell’applicazione delle regole sportive e tali sono, indiscutibilmente, le norme meramente tecniche, e fra esse sicuramente rientrano quelle che l’ordinamento sportivo ha elaborato ed elabora ai fini dell’acquisizione dei risultati delle competizioni agonistiche. E, chiaramente, alle regole tecniche non può essere attribuita natura di norme di relazione dalle quali derivino diritti soggettivi […] e neanche posizioni di interesse legittimo.
La terza forma di tutela giustiziale ha il carattere dalla tendenziale residualità, in quanto è relativa a tutto ciò che per un verso non concerne i rapporti patrimoniali fra società, associazioni sportive, atleti (e tesserati) – demandati, come si è detto, al giudice ordinario – e, per altro verso, pur scaturendo da atti del CONI e delle Federazioni sportive, non rientra fra le materie che, ai sensi dell’art. 2 del decreto-legge n. 220 del 2003, sono riservate – in quanto, come detto, non idonee a far sorgere posizioni soggettive rilevanti per l’ordinamento generale, ma solo per quello settoriale – all’esclusivo interesse degli organi della giustizia sportiva. Si tratta cioè (per riprendere la originaria formulazione legislativa) di «ogni altra controversia» che è «devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo». Bene, ma con degli esempi concreti?
Secondo la Consulta, se si segue l’iter parlamentare del decreto-legge n. 220 del 2003, si constata che è lo stesso legislatore ad indicare alcune delle «situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo» per le quali ritiene si verifichi il caso della «rilevanza per l’ordinamento della Repubblica». Al riguardo, è sufficiente osservare che, secondo la primigenia versione del decreto-legge n. 220 del 2003, fra le materie che, essendo inserite al comma 1 dell’art. 2, potevano considerarsi sottratte alla cognizione del giudice statale, erano anche le questioni aventi ad oggetto l’ammissione e l’affiliazione alle federazioni di società, associazioni o singoli tesserati nonché quelle relative alla organizzazione e svolgimento delle attività agonistiche ed alla ammissione ad esse di squadre ed atleti. La circostanza che, in sede di conversione del decreto-legge, il legislatore abbia espunto le lettere c) e d) del comma 1 dell’art. 2, ove erano indicate le summenzionate materie, fa ritenere che su di esse vi sia la competenza esclusiva del giudice amministrativo allorché siano lesi diritti soggettivi od interessi legittimi.
Dunque tali situazioni non possono dirsi irrilevante per l’ordinamento giuridico generale e, come tale, non meritevoli di tutela da parte di questo. Ciò in quanto è attraverso siffatta possibilità che trovano attuazione sia fondamentali diritti di libertà – fra tutti, sia quello di svolgimento della propria personalità, sia quello di associazione – che non meno significativi diritti connessi ai rapporti patrimoniali – ove si tenga conto della rilevanza economica che ha assunto il fenomeno sportivo, spesso praticato a livello professionistico ed organizzato su base imprenditoriale – tutti oggetto di considerazione anche a livello costituzionale.
Ciò posto, il TAR Lazio (che nel 2011 aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale), ha dubitato della più volte citata disposizione legislativa nella parte in cui riserverebbe al solo giudice sportivo la competenza a decidere le controversie aventi ad oggetto sanzioni disciplinari, diverse da quelle tecniche, inflitte ad atleti, tesserati, associazioni e società sportive, sottraendole al sindacato del giudice amministrativo. Chiarisce che i dubbi di costituzionalità «non attengono alla previsione della c.d. pregiudiziale sportiva», dato che ritiene che essa sia «corretta e logica conseguenza della riconosciuta autonomia dell’ordinamento sportivo», ma «alla generale preclusione […] ad adire il giudice statale una volta esauriti i gradi della giustizia sportiva».
Ebbene, secondo la Consulta è la stessa sentenza del Consiglio di Stato citata dal TAR (Sez. VI, sent. n. 5782 del 25 novembre 2008 ), dal rimettente ritenuta “diritto vivente”, a fornire, nel percorso argomentativo seguito (ed a prescindere da quanto in precedenza affermato in quella stessa sentenza), una chiave di lettura che fuga i dubbi di costituzionalità.
Nella sentenza si afferma, infatti, proprio con riferimento all’art. 1 del d.l. n. 220 del 2003 che «tali norme debbano essere interpretate, in un’ottica costituzionalmente orientata, nel senso che laddove il provvedimento adottato dalle Federazioni sportive o dal C.O.N.I. abbia incidenza anche su situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico statale, la domanda volta ad ottenere non la caducazione dell’atto, ma il conseguente risarcimento del danno, debba essere proposta innanzi al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, non operando alcuna riserva a favore della giustizia sportiva, innanzi alla quale la pretesa risarcitoria nemmeno può essere fatta valere». Si precisa, altresì, che «Il Giudice amministrativo può, quindi, conoscere, nonostante la riserva a favore della “giustizia sportiva”, delle sanzioni disciplinari inflitte a società, associazioni ed atleti, in via incidentale e indiretta, al fine di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria proposta dal destinatario della sanzione».
Quindi, qualora la situazione soggettiva abbia consistenza tale da assumere nell’ordinamento statale la configurazione di diritto soggettivo o di interesse legittimo, in base al ritenuto “diritto vivente” del giudice che, secondo la suddetta legge, ha la giurisdizione esclusiva in materia, è riconosciuta la tutela risarcitoria.
Ergo, in tali fattispecie deve ritenersi che la esplicita esclusione della diretta giurisdizione sugli atti attraverso i quali sono state irrogate le sanzioni disciplinari – posta a tutela dell’autonomia dell’ordinamento sportivo – non consente che sia altresì esclusa la possibilità, per chi lamenti la lesione di una situazione soggettiva giuridicamente rilevante, di agire in giudizio per ottenere il conseguente risarcimento del danno.
Secondo la Corte Costituzionale, “è sicuramente una forma di tutela, quella per equivalente, diversa rispetto a quella in via generale attribuita al giudice amministrativo (ed infatti si verte in materia di giurisdizione esclusiva), ma non può certo affermarsi che la mancanza di un giudizio di annullamento (che, oltretutto, difficilmente potrebbe produrre effetti ripristinatori, dato che in ogni caso interverrebbe dopo che sono stati esperiti tutti i rimedi interni alla giustizia sportiva, e che costituirebbe comunque, in questi casi meno gravi, una forma di intromissione non armonica rispetto all’affermato intendimento di tutelare l’ordinamento sportivo) venga a violare quanto previsto dall’art. 24 Cost.. Nell’ambito di quella forma di tutela che può essere definita come residuale viene, quindi, individuata, sulla base di una argomentata interpretazione della normativa che disciplina la materia, una diversificata modalità di tutela giurisdizionale.”
Malgrado queste premesse chiarissime, la questione è tornata nuovamente sulle scrivanie della Consulta nel 2019. Scopriamo perché.
La sentenza della Corte Costituzionale n. 160/2019.
Questa volta la motivazione giuridica che ha spinto il TAR Lazio a sollevare nuovamente la questione di legittimità costituzionale, è relativa alla violazione degli artt. 103 e 113 Cost. Infatti la qualificazione delle decisioni disciplinari sportive come provvedimenti amministrativi, espressione dei poteri pubblici attribuiti alle federazioni sportive nazionali e al CONI, imporrebbe di classificare come interessi legittimi le situazioni soggettive da essi incise, con la conseguenza che ai loro titolari non potrebbe essere negata la tutela di annullamento davanti al giudice amministrativo, pena la violazione delle citate previsioni costituzionali in tema di garanzie giurisdizionali contro gli atti della pubblica amministrazione.
Il giudice rimettente, quindi, giustifica la questione di legittimità costituzionale affermando che, sotto questo aspetto, la nuova questione proposta presenterebbe profili diversi da quelli valutati nella sentenza n. 49 del 2011. In tale pronuncia sarebbe stata trattata solo la questione sollevata in riferimento all’art. 24 Cost., con “assorbimento” della prospettata violazione degli artt. 103 e 113 Cost., che il rimettente chiede venga ora esaminata.
Insomma il TAR Lazio ha trovato un altro buon motivo per appropriarsi della possibilità di caducare anche le sanzioni disciplinari. Ma la Corte Costituzionale non si è lasciata persuadere. Secondo la Consulta, infatti, “nel suo impianto complessivo, la sentenza (del 2011) non omette di considerare i profili di illegittimità allora segnatamente prospettati – e ora riproposti dall’odierno rimettente – in riferimento agli artt. 103 e 113 Cost. In essa si afferma che la previsione di una «diversificata modalità di tutela giurisdizionale» dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi limitata al risarcimento del danno per equivalente – secondo l’interpretazione offerta dal diritto vivente – è idonea a scongiurare l’illegittimità della norma censurata. Tale conclusione – raggiunta sul rilievo che il legislatore ha realizzato in questo modo un non irragionevole bilanciamento degli interessi in gioco – implica un giudizio di compatibilità costituzionale della «esplicita esclusione della diretta giurisdizione sugli atti attraverso i quali sono […] irrogate le sanzioni disciplinari» (punto 4.5. del Considerato in diritto), esclusione che comprende la tutela reale degli interessi legittimi sui quali le sanzioni eventualmente incidano. Cosicché è evidente che, là dove afferma che «la mancanza di un giudizio di annullamento» non vìola «quanto previsto dall’art. 24 Cost.», la sentenza n. 49 del 2011 non lascia spazio nemmeno ai diversi dubbi di legittimità per violazione degli artt. 103 e 113 Cost., i quali, secondo le parole della stessa pronuncia, costituiscono il «fondamento costituzionale» della tutela demolitoria.”
Ma non solo, la Corte prosegue nell’affermare che “a ciò si può aggiungere che non apporta nuovi profili di illegittimità, diversi da quelli già esaminati, nemmeno la prospettata qualificazione delle decisioni degli organi della giustizia sportiva come provvedimenti amministrativi, dal momento che la stessa sentenza n. 49 del 2011 non esclude che le sanzioni sportive possano ledere anche situazioni giuridiche aventi consistenza di interesse legittimo e ne colloca di conseguenza la tutela risarcitoria per equivalente nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo secondo quanto previsto dall’art. 133, comma 1, lettera z), dell’Allegato 1 (Codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’art. 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al Governo per il riordino del processo amministrativo).“
In conclusione, la “trovata” di considerare le decisioni degli organi di giustizia sportiva come provvedimenti amministrativi, peraltro condivisa dalla stessa Corte Costituzionale, non consente di estendere la portata risarcitoria delle situazioni giuridiche soggettive lese e tutelabili dall’ordinamento della Repubblica, sino al punto di travolgere le sanzioni disciplinari; e quindi sino al punto di intromettersi in un diverso ordinamento giuridico.
Ergo, le situazioni giuridiche soggettive dell’ordinamento della Repubblica Italiana lese da una sanzione disciplinare emessa da un organo di giustizia sportiva, possono essere tutelate sufficientemente mediante il risarcimento del danno per equivalente. Ma non si può pretendere in alcun modo che la giustizia amministrativa possa anche annullare la sanzione disciplinare emessa dagli organi di giustizia sportiva.
Avv. Felice Raimondo