Via di fuga, questa sconosciuta. Con l’approvazione del regolamento sullo status ed i trasferimenti dei calciatori, a partire dal 2001 la FIFA ha concesso la possibilità di sciogliere unilateralmente il vincolo contrattuale, senza giusta causa, a ciascuna delle parti (club-giocatore) che concludono un accordo inerente il diritto alle prestazioni sportive.
Il succitato regolamento, recentemente emendato nel 2018, dopo aver chiarito che una risoluzione contrattuale è ammissibile quando sopraggiunga una giusta causa – articoli 14 e 15 – nel successivo articolo 17 specifica le conseguenze di una risoluzione senza giusta causa ed individua l’unico caso in cui ciò non comporta sanzioni sportive o disciplinari.
Capitoli:
- Le conseguenze della rottura contrattuale con e senza giusta causa: cosa prevede il regolamento FIFA.
- La violazione contrattuale da parte del giocatore: la via di fuga fuori dal periodo protetto.
- La violazione contrattuale da parte del club.
- I precedenti dinanzi al TAS: dal caso Webster ad oggi. L’interesse positivo che tutela il club che subisce la rottura contrattuale.
- L’applicazione dell’art. 17 in costanza di TPO.
Le conseguenze della rottura contrattuale con e senza giusta causa: cosa prevede il regolamento FIFA.
L’oggetto di questo approfondimento è l’eccezione che conferma la regola. Per la FIFA, infatti, il principio cardine che regola i rapporti tra club e giocatori professionisti è quello contenuto nell’articolo 13, rubricato “Rispetto del contratto” e sancisce che un contratto può essere terminato solo rispettando la naturale scadenza, oppure previo accordo tra le parti.
Premesso ciò, il Regolamento Fifa afferma che un contratto può comunque risolversi con o senza giusta causa. Ma in ogni caso, come specifica l’art. 16, gli effetti di tale interruzione non possono mai avvenire nel corso della stagione, bensì solo a partire dall’inizio della stagione successiva.
L’interruzione contrattuale con giusta causa (artt. 14-15) non prevede l’imposizione di sanzioni pecuniarie o sportive. In particolare, un calciatore professionista che, nel corso della stagione, è comparso in meno del dieci per cento delle partite ufficiali in cui è stato coinvolto per il suo club, può recedere anticipatamente dal contratto per giusta causa sportiva. Nella valutazione di tali casi si dovrà tenere debitamente conto delle circostanze del giocatore. L’esistenza della giusta causa sportiva, inoltre, deve essere accertata caso per caso. In tali circostanze non si devono imporre sanzioni sportive, sebbene possa essere pagata una compensazione. Un professionista può recedere dal contratto su questa base solo nei 15 giorni successivi all’ultima partita ufficiale della stagione del club con cui è registrato.
L’interruzione contrattuale senza giusta causa (art. 17) prevede l’imposizione di una compensazione pecuniaria e, se avviene durante il periodo protetto, anche di sanzioni sportive. Il regolamento FIFA, infatti, prevede che i contratti stipulati tra club e giocatori non possono essere interrotti durante il c.d. “protected period“, ossia un periodo di tre intere stagioni o tre anni, a seconda dell’evento che si verifica per primo, dopo l’entrata in vigore di un contratto, in cui tale contratto è concluso prima del 28 ° compleanno del professionista, o due intere stagioni o due anni, a seconda dell’evento che si verifica per primo, a seguito dell’entrata in vigore di un contratto, quando tale contratto è concluso dopo il 28 ° compleanno del professionista. Il rinnovo contrattuale fa partire un nuovo “protected period”.
Le violazioni contrattuali, all’interno o all’esterno del periodo protetto, come detto possono dare origine a un indennizzo. L’importo della compensazione pecuniaria è calcolato secondo criteri oggettivi, quali:
a) la remunerazione e altri benefici dovuti al giocatore ai sensi del
contratto esistente e/o nuovo contratto;
b) il tempo rimanente nel contratto esistente fino a un massimo di cinque anni;
c) le commissioni e le spese pagate o sostenute dal precedente club (ammortizzate per la durata del contratto);
d) se la violazione contrattuale si è verificata entro il periodo protetto.
La compensazione pecuniaria, tuttavia, può essere decisa anche di comune accordo tra le parti: è quanto prevede il 2° comma dell’art. 17. Ecco dunque la tanto chiacchierata “clausola rescissoria“. L’utilizzo del termine rescissione, invero, è assolutamente improprio in quanto, da un punto di vista giuridico, si parla di rescissione (artt. 1447-1452 c.c.) ogni qualvolta vi è un’anomalia al momento della conclusione del contratto, tale da viziare il consenso. Ovviamente non è il nostro caso, giacché la clausola in esame prevede il pagamento di un corrispettivo a fronte del recesso unilaterale da parte del giocatore. Si tratta, quindi, piuttosto di una multa penitenziale (art. 1373 c.c.).
La violazione contrattuale da parte del giocatore: la via di fuga fuori dal periodo protetto.
Oltre all’obbligo di pagare un indennizzo, il 3° comma dell’art. 17 impone anche sanzioni sportive a tutti i giocatori che hanno violato il contratto durante il periodo protetto. Questa sanzione si concretizza in una limitazione di quattro mesi nel giocare le partite ufficiali. In caso di circostanze aggravanti, la restrizione deve durare sei mesi. Queste sanzioni sportive entrano in vigore immediatamente dopo che il giocatore è stato informato della decisione pertinente. Le sanzioni sportive restano sospese nel periodo compreso tra l’ultima partita ufficiale della stagione e la prima partita ufficiale della stagione successiva, in entrambi i casi sono incluse le coppe nazionali e campionati internazionali per club.
La sospensione delle sanzioni sportive non è tuttavia applicabile (quindi continua a spiegare i suoi effetti) se il giocatore è un membro della squadra nazionale e quest’ultima partecipa alla competizione finale di un torneo internazionale nel periodo tra l’ultima partita e la prima partita della stagione successiva.
La violazione unilaterale senza giusta causa o causa sportiva dopo il periodo protetto non comporta sanzioni sportive. Tuttavia misure disciplinari possono essere imposte al di fuori del periodo protetto per mancata comunicazione della disdetta entro 15 giorni dall’ultima partita ufficiale della stagione (comprese le coppe nazionali) del club con il quale il giocatore è registrato. Il periodo protetto ricomincia quando viene prolungata la durata del contratto precedente.
L’ultimo periodo del 3° comma dell’art. 17, quindi, disciplina la “via di fuga” utilizzata più di una volta da diversi giocatori. Volendo sintetizzare i requisiti affinché si possa sfruttare questa possibilità, un giocatore può risolvere unilateralmente il vincolo contrattuale con il suo club, se:
- si trova al di fuori del periodo protetto, quindi trascorsi tre anni dalla firma dell’ultimo contratto (se under 28) o trascorsi due anni dalla firma dell’ultimo contratto (se over 28);
- comunica la risoluzione entro 15 giorni dall’ultima partita ufficiale disputata con il suo precedente club;
- paga al precedente club un indennizzo secondo i criteri oggettivi prima delineati;
La violazione contrattuale da parte del club.
Oltre all’obbligo di versare un indennizzo, il 4° comma dell’art. 17 prevede che debbano essere imposte sanzioni sportive a qualsiasi club che abbia riscontrato una violazione del contratto o che abbia provocato una violazione del contratto durante il periodo protetto. Si presume, a meno che non sia stabilito il contrario, che qualsiasi club che firma con un professionista che ha risolto il suo contratto senza giusta causa, abbia indotto quel professionista a commettere una violazione. La sanzione sportiva che viene applicata è il divieto di registrare qualsiasi nuovo giocatore, a livello nazionale o internazionale, per due finestre di mercato intere e consecutive. Il club sarà in grado di registrare nuovi giocatori solo al termine della succitata sanzione.
Inoltre, il club non può avvalersi dell’eccezione e delle misure provvisorie previste dall’articolo 6, paragrafo 1, del Regolamento FIFA, al fine di registrare i giocatori in una fase precedente (“In deroga a questa regola, un professionista il cui contratto è scaduto prima della fine di un periodo di registrazione può essere registrato al di fuori di tale periodo di registrazione. Le associazioni sono autorizzate a registrare tali professionisti purché si tenga debitamente conto dell’integrità sportiva della competizione in questione. Laddove un contratto sia stato risolto per giusta causa, la FIFA può adottare misure provvisorie per evitare abusi, fatto salvo l’articolo 22.”)
I precedenti dinanzi al TAS: dal caso Webster ad oggi. L’interesse positivo che tutela il club che subisce la rottura contrattuale.
Il primo giocatore ad avvalersi della possibilità garantita dal 3° comma dell’art. 17 del Regolamento FIFA, è stato lo scozzese Andy Webster. Quest’ultimo militava nell’Hearts of Midlothian, società con cui venne ai ferri corti nel 2006, ad un anno dalla scadenza. Pertanto Webster, trovandosi fuori dal periodo protetto, sfruttò l’art. 17, 3° comma, per recedere unilateralmente il contratto e firmare con il Wigan.
L’Hearts convenne sia il Wigan che il giocatore dinanzi alla Dispute Resolution Chamber (DRC) della FIFA – organo arbitrale presso cui vanno risolte in prima istanza le vertenze tra club e giocatori. La DRC diede ragione al giocatore, condannandolo però al pagamento di 625.000,00 sterline sulla base di una serie di criteri oggettivi, tra i quali la somma pagata dagli Hearts nel 2001, il valore residuale dell’importo contrattuale ed il valore del nuovo contrato stipulato con il Wigan. Quest’ultimi, tuttavia, presentarono ricorso al TAS di Losanna, considerando eccessiva la cifra. Ed in effetti il collegio svizzero ridusse la cifra da pagare agli Hearts per complessivi 150.000,00 sterline, ossia le retribuzioni residuali che sarebbero spettate al giocatore fino alla naturale scadenza contrattuale.
Ciò detto, la giurisprudenza dei giudici di Losanna è mutata nel corso degli anni. Il noto caso Webster, infatti, ha prodotto delle considerevoli onde d’urto, giacché quel precedente fece passare il concetto che al di fuori del periodo protetto bastasse pagare il residuo contrattuale per recedere il contratto con la precedente squadra. Una posizione che deponeva chiaramente a sfavore della squadra che subiva la risoluzione contrattuale.
Pertanto il cambio di indirizzo in seno al TAS si ebbe con il caso Francelino Matuzalem, giocatore che – sempre sulla base dell’art. 17 del Regolamento FIFA – nel 2007 interruppe il suo rapporto contrattuale con lo Shakhtar Donetsk, firmando per il Real Saragozza. Anche in questo caso la questione giunse dinanzi al TAS di Losanna che, tuttavia, cambiò le motivazioni alla base del calcolo della c.d. compensazione pecuniaria.
Se fino a quel momento, infatti, l’indennizzo corrispondeva alle retribuzioni residuali, nel caso Matuzalem i giudici affermarono che nel calcolare la compensazione pecuniaria dovuta, poiché quest’ultima era legata alla violazione/risoluzione ingiustificata di un contratto valido, bisognasse applicare il principio del c.d. “interesse positivo” (o “interesse di aspettativa”), che mira a determinare l’importo dovuto alla parte lesa, mettendola nella posizione che la stessa parte avrebbe avuto se il contratto fosse stato eseguito correttamente, senza che si verificasse tale violazione contrattuale. Questo principio non è del tutto uguale, ma è simile al concetto giuridico di restitutio ad integrum, noto in diversi sistemi di legge, e che mira a riportare la parte lesa allo stato originale che avrebbe avuto se non si fosse verificata alcuna violazione.
Il principio dell’ “interesse positivo”, secondo il TAS, si applica non solo in caso di risoluzione ingiustificata o di violazione da parte di un giocatore, ma anche quando la parte in violazione è il club. Di conseguenza, l’autorità giudiziaria non dovrebbe limitarsi a valutare il danno subito dal giocatore calcolando solo la differenza netta tra la remunerazione dovuta ai sensi del contratto esistente e qualsiasi remunerazione ricevuta dal giocatore da una terza parte. Piuttosto, l’autorità giudiziaria deve applicare lo stesso grado di revisione diligente e trasparente di tutti i criteri oggettivi, inclusa la specificità dello sport, come previsto dall’art. 17, comma 1, Regolamento FIFA.
Nella sentenza Matuzalem i giudici di Losanna sono molto chiari laddove affermano che:
“Alla luce della storia dell’articolo 17, il collegio rileva che la specificità dello sport si concretizza nell’obiettivo di trovare soluzioni particolari per il mondo del calcio che consentano a coloro che applicano la disposizione di trovare un ragionevole equilibrio tra le esigenze di stabilità contrattuale, da un lato, e le esigenze della libera circolazione dei giocatori, dall’altro lato, cioè trovare soluzioni che favoriscano il bene del calcio conciliando in modo equo i vari e talvolta contraddittori interessi di club e giocatori.
Lo sport, analogamente ad altri aspetti della vita sociale, ha un suo carattere e una sua natura specifica e svolge un ruolo proprio e importante nella nostra società. Questa considerazione piuttosto semplice ha trovato un’importante conferma nel dicembre 2000 nella Dichiarazione del Consiglio europeo sulle caratteristiche specifiche dello sport e della sua funzione sociale in Europa (la “Dichiarazione di Nizza”), quindi ad esempio nell’Independent European Sport Review, e recentemente nel Libro bianco sullo sport e il trattato di Lisbona dell’Unione europea, che prevede esplicitamente che l’Unione europea “contribuirà alla promozione delle questioni sportive europee, tenendo conto della natura specifica dello sport, delle sue strutture basate sull’attività volontaria e dei suoi funzione sociale ed educativa ”.
Analogamente al criterio della “legge del paese interessato”, l’organismo giudiziario deve tenere in debito conto la natura e le esigenze specifiche dello sport nel valutare le circostanze della controversia in questione, in modo da giungere a una soluzione che tenga conto non solo degli interessi del giocatore e del club ma, più in generale, di quelli dell’intera comunità calcistica.
“La specificità di questo sport deve ovviamente prendere in considerazione la natura indipendente dello stesso, la libera circolazione dei giocatori ma anche il calcio come mercato. Secondo il collegio, la specificità di questo sport non è in conflitto con il principio di stabilità contrattuale e il diritto della parte lesa di essere risarcita per tutte le perdite e i danni subiti a seguito della violazione dell’altra parte. Questa regola è valida se la violazione è da parte di un giocatore o di un club. Il criterio di specificità dello sport deve essere utilizzato dal collegio per verificare che la soluzione raggiunta sia giusta ed equa non solo sotto un rigoroso punto di vista del diritto civile (o comune), ma tenendo anche debitamente conto della natura specifica e delle esigenze del mondo del calcio (e delle parti che sono parti interessate in tale mondo) e che quindi venga raggiunta una decisione che possa essere riconosciuta come una valutazione adeguata degli interessi in gioco e che si adatti al panorama del calcio internazionale.
Pertanto, quando si valuta la specificità dello sport un collegio può
considerare la natura specifica dei danni che può causare una violazione da parte di un giocatore del suo contratto di lavoro con un club. In particolare, un panel può considerare che nel mondo del calcio, i giocatori sono la principale risorsa di un club, sia in termini di valore sportivo nel servizio per le squadre per le quali giocano, ma anche da una prospettiva piuttosto economica, come ad esempio in relazione alla loro valutazione nel bilancio di un determinato club, se presente, il loro valore per le attività di merchandising o l’eventuale guadagno che può essere realizzato in caso di trasferimento in un altro club. Prendendo in considerazione tutto quanto sopra, il bene costituito da un giocatore è ovviamente un aspetto che non può essere completamente ignorato quando si considera il risarcimento che deve essere assegnato per una violazione del contratto da parte di un giocatore (cfr. CAS 2005 / A / 902 e 903, 122 ff .; CAS 2007 / A / 1298, 1299 e 1300 più restrittivi, n. 120 ff.)”
Nel caso di specie, sulla base del succitato principio dell’interesse positivo, il TAS condannò il Real Saragozza a pagare allo Shakhtar una cifra pari ad 11,8M determinata da una serie di calcoli che hanno tenuto conto della cifra che il Saragozza avrebbe potuto ricevere dalla Lazio (società dove in seguito Matuzalem si trasferì in prestito con diritto), meno il salario che lo Shakhtar non avrebbe dovuto corrispondergli.
L’epilogo di questa vicenda ha scoraggiato molti giocatori (e club) a servirsi dell’art. 17 perché la giurisprudenza, oggi consolidatasi in seno al TAS, prevede una forte tutela nei confronti del club che subisce il “breach of contract” che, dunque, potrà ricevere un indennizzo pari al valore del cartellino, il cui calcolo potrà essere desunto dal collegio di Losanna in vari modi, oltre a quelli oggettivi già citati, tra cui anche le offerte ufficiali ricevute dal club che ha subito la violazione contrattuale o il guadagno, anche solo potenziale, derivante dal successivo trasferimento, o la clausola “rescissoria” presente nel contratto.
Un atteggiamento criticato da più parti, giacché fornisce un ampio potere discrezionale ai giudici, e privilegia la stabilità contrattuale a discapito della libera circolazione dei giocatori all’interno della Unione Europea.
L’applicazione dell’art. 17 in costanza di TPO.
L’art. 17 del Regolamento FIFA prevede che il diritto all’indennizzo per violazione contrattuale è esclusivamente a favore della parte che ha subito la violazione e non può essere assegnato a terzi. Ciò vuol dire che le c.d. “third part ownership” (TPO) non possono vantare alcuna richiesta economica nei confronti del giocatore e del nuovo club di appartenenza. Quindi nel caso in cui vi sia una ingiustificata violazione contrattuale da parte di un giocatore al di fuori del periodo protetto, l’unica parte legittimata a chiedere una compensazione pecuniaria è il club che ha subito il breach of contract. Le altre parti (TPO) che in alcuni paesi (es. Brasile) continuano ad essere a tutti gli effetti comproprietari del cartellino, non possono vantare alcuna pretesa nei confronti del giocatore e del suo nuovo club (al massimo potrebbero vantare qualcosa nei confronti del club con cui hanno firmato la third part ownership).
Ma perché porsi questo problema? La risposta è semplice: malgrado le TPO siano state messe al bando dalla FIFA nel 2015, il divieto opera ex nunc, quindi vale solo per i nuovi contratti. Per quelli in vigore antecedentemente al 1 maggio 2015 e non ancora scaduti, il divieto non è operante. Ciò vuol dire che al momento esistono ancora molti casi di TPO perfettamente leciti e in vigore, giacché stipulati prima della riforma.
Un caso su tutti è quello di Everton, giocatore del Gremio. Il cartellino di quest’ultimo, infatti, è di proprietà per il 50% del Gremio, il 10% è del Fortaleza, il 10% è di un investitore, mentre il 30% è del procuratore.
Tuttavia il giocatore verso la fine di agosto del 2018 ha firmato un rinnovo fino al 2022 con il Gremio, che ha inserito nel contratto anche una costosa clausola “rescissoria” (si parla intorno ai 60M di euro). Ciò vuol dire innanzitutto che il giocatore attualmente si trova ancora nel periodo protetto ma che trascorsi tre anni dal rinnovo, ossia qualora rimanga al Gremio fino alla fine di agosto 2021, dal successivo 1 settembre potrebbe liberarsi sfruttando l’art. 17 della FIFA.
Il rischio, però, è che essendo presente nel contratto una clausola “rescissoria” che fissa un valore – concordemente pattuito – al cartellino del giocatore, il nuovo club potrebbe trovarsi coinvolto in una disputa prima dinanzi alla DRC della FIFA e poi dinanzi al TAS in cui probabilmente – anche alla luce di quanto spiegato prima – soccomberebbe e verrebbe condannato al pagamento di una ingente somma nei confronti del Gremio. Evidentemente, quindi, fissare una clausola rescissoria all’interno di un contratto tutela molto il club dai possibili attacchi delle società interessate, anche nei casi in cui venisse attivato l’art. 17 del Regolamento FIFA.
Avv. Felice Raimondo
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