Parlare di mobbing è molto delicato in quanto si affronta un tema che coinvolge milioni di lavoratori e che ha trovato dignità giuridica grazie soprattutto all’intervento della giurisprudenza.
Il mobbing (in inglese“molestia”) non è una fattispecie tipica di reato: in altre parole non troverete questo termine nel codice penale. Quindi è stato compito dei giudici inquadrare questo odioso comportamento in uno schema ben preciso che, grazie all’ausilio di altre fattispecie di reato già presenti nel codice, potesse qualificarlo e, di conseguenza, punirlo.
Partiamo dunque dalla definizione della giurisprudenza, richiamando la brillante definizione della Corte costituzionale con la sentenza n. 359 del 2003: “E’ noto che la sociologia ha mutuato il termine mobbing da una branca dell’etologia per designare un complesso fenomeno consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all’obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo. Ciò implica l’esistenza di uno o più soggetti attivi cui i suindicati comportamenti siano ascrivibili e di un soggetto passivo che di tali comportamenti sia destinatario e vittima”
Dalla richiamata sentenza è desumibile subito una distinzione: il mobbing può essere di tipo verticale oppure orizzontale (in realtà ci sarebbero anche altre tipologie, ma per semplicità mi limiterò soltanto a queste). Il mobbing verticale è posto in essere dal superiore (c.d. buyilling) o dalla società/azienda (c.d. bossing),mentre quello orizzontale è posto in essere dai colleghi di lavoro. La fattispecie in esame si compone di due elementi: psicologico e oggettivo. Il primo consiste nel dolo specifico (ma in dottrina c’è chi parla di dolo generico) di nuocere alla psiche del lavoratore al fine di emarginarlo, in chiaro spregio dell’art. 2087 c.c.. L’elemento oggettivo, invece, consiste nelle continue vessazioni (non è sufficiente un singolo atto) che il lavoratore è costretto a subire e che devono produrre un danno biologico o esistenziale.Al danneggiato, ovviamente, spetta l’onere probatorio riguardante il nesso causale tra la condotta mobbizzante e il danno documentato. Esaurita questa breve analisi che avrà tediato la maggior parte dei lettori, veniamo subito al dunque: in che modo il mobbing si insinua nel mondo del calcio?