Nelle ultime settimane stiamo assistendo al clamoroso mercato in entrata da parte del Chelsea: la nuova proprietà non si sta risparmiando, acquistando una incredibile quantità di talenti a prezzi elevatissimi.
Una caratteristica comune a questi tesseramenti è la durata dei contratti: 6, 7, 8 anni. Una lunghezza inusuale per il calcio italiano. Su questo tema lo scrivente si era già espresso in riferimento al problema dei parametri zero (La piaga dei parametri zero: in che modo è possibile tamponare questa emorragia?).
La FIFA, in base all’articolo 18 del Regolamento sullo Status e il Trasferimento dei Calciatori, afferma quanto segue: “La durata minima di un contratto va dalla data di entrata in vigore fino alla fine della stagione, mentre la durata massima di un contratto è di cinque anni. I contratti di qualsiasi altra durata sono consentiti solo se conformi alle leggi nazionali“.
La massima istituzione calcistica, quindi, disegna la cornice e indica una durata precisa: 5 anni. Tuttavia, dato che le regole sportive internazionali sono subordinate alle leggi nazionali, la stessa FIFA ammette durate diverse se conformi al diritto interno.
In Italia la durata dei calciatori è disciplinata dall’art. 5 della Legge 23 marzo 1981, n. 91, che recepisce le indicazioni della FIFA e ammette contratti di durata massima di 5 anni. Ciò vuol dire che nessun club può stipulare contratti con una durata maggiore.
In Inghilterra, invece, non esiste alcuna legge nazionale che regola la durata dei contratti dei giocatori e la Premier non adotta alcun ulteriore regolamento interno per fissare una durata precisa. Per tale motivo ogni club inglese può stipulare contratti senza alcun vincolo di durata, scegliendo ogni volta il limite massimo più congruo.
Questa caratteristica non è una novità legata alla Brexit ma è sempre esistita. Basti pensare che nel 2006 Fabregas firmò un rinnovo di 8 anni con l’Arsenal. Ma quali sono i pro e i contro? Dove pende il piatto della bilancia?
Gli aspetti positivi
Un club che stipula contratti a lungo termine può pianificare agevolmente la sua gestione finanziaria perché conosce in anticipo le spese che dovrà sopportare per un certo numero di anni. Gli ammortamenti sarebbero sempre sotto controllo e, inoltre, i giocatori avrebbero delle quote ammortamento inferiori perché nei bilanci il costo dei giocatori viene iscritto dividendo il costo storico per il numero di anni di contratto. Quindi, in termini di ammortamento, un giocatore pagato 80 milioni costerebbe di meno se firmasse un contratto di 8 anni piuttosto che di 4 o 5 anni. E, addirittura, se venisse acquistato a metà stagione l’ammortamento peserebbe al 50% (altra spiegazione del faraonico mercato invernale del Chelsea).
Per tale motivo, inoltre, i giocatori diventerebbero un vero patrimonio per il club dato che il rischio di perderli a zero verrebbe ridotto dalla durata del contratto. Com’è noto, il potere contrattuale dei club si riduce con l’avvicinarsi della scadenza contrattuale. E le scadenze fisse a 5 anni (o addirittura 4,5 per chi firma a metà stagione) costringono i club a trattare i rinnovi in un breve lasso di tempo, solitamente già dopo 2 o 3 anni; ma in passato abbiamo assistito addirittura a rinnovi annuali (Bosco Leite con Kakà, do you remember?). Tutto ciò non avviene con le durate a lungo termine, dove una firma per 8 anni metterebbe il club al riparo da ricontrattazioni a breve termine e dal rischio di perdere il giocatore a zero.
Nella pianificazione finanziaria bisogna considerare anche gli sponsor, che sono i principali partner economici del club. E’ chiaro che se una stella firmasse per 8 anni, il club avrebbe molto più tempo per pianificare il suo sviluppo economico e, quindi, attrarre sponsor con i quali firmare contratti di lunga durata.
Infine, pianificazione finanziaria vuol dire anche anticipare le mosse in ottica Fair Play Finanziario (Alla scoperta del nuovo FFP: una “ribollita” che non cambia la sostanza. Anzi, per certi versi la complica). Pur non conoscendo i bilanci del Chelsea, si può ipotizzare che i nuovi proprietari vogliano approfittare dell’applicazione soft delle nuove regole di controllo finanziario che nella stagione corrente fanno riferimento alla vecchia disciplina, mentre nella 23/24 faranno riferimento alla nuova ma con la “squad cost rule” che può erodere il 90% dei ricavi (poi sarà dell’80% nella 24/25 e 70% dalla 25/26).
Ecco un estratto dell’articolo in alto, acquistabile singolarmente:
a. Per la stagione delle licenze 2022/23 (vecchia regola del BEP ex FFP 2018, no squad cost rule):
- in deroga all’articolo 102 (che da il via all’impianto normativo a partire dal 1 giugno 2022) il requisito del pareggio di bilancio (dall’articolo 58 all’articolo 64 del FFP, edizione 2018) continuerà ad applicarsi.
- non saranno applicati requisiti di controllo dei costi (c.d. “squad cost rule”).
b. Per la stagione delle licenze 2023/24 (informazioni sui football earnings vanno dichiarate solo per il bilancio che termina nel 2023 + squad cost rule al 90% e non al 70%)
- gli articoli dal numero 85 al numero 87 (monitoraggio del football earnings rule, deviazione accettabile) e l’articolo 90 (football earnings rule) non si applicano; e in deroga all’articolo 91, il licenziatario è tenuto a presentare le informazioni finanziarie (“c.d. football earnings”) solo per il periodo di rendicontazione che termina nel 2023.
- in deroga all’articolo 93 (“squad cost rule”), il limite definito è del 90%; e
- in deroga al paragrafo 92, comma 4, per il rapporto costi squadra, gli utili o perdite da cessione calciatori e altri proventi/oneri da trasferimento sono calcolati dal bilancio annuale e/o semestrale del licenziatario per i 12, 24 mesi o i 36 mesi al 31 dicembre durante la stagione delle licenze, a discrezione del licenziatario, poi ripartiti proporzionalmente a 12 mesi;
c. Per la stagione delle licenze 2024/25 (inizia il monitoraggio a ritroso biennale, infatti le informazioni sui football earnings vanno dichiarate solo per i bilanci che terminano nel 2023 e 2024 + squad cost rule all’80% e non al 70%)
- in deroga all’articolo 86, i football earnings aggregati del licenziatario sono la somma dei guadagni calcistici per ciascuno dei due periodi di rendicontazione terminanti nel 2023 e nel 2024; e
- in deroga all’articolo 91, il licenziatario è tenuto a presentare le informazioni sui football earnings relativi ai periodi di rendicontazione terminanti nel 2023 e nel 2024.
- in deroga all’articolo 93 (“squad cost rule”), il limite definito è dell’80%; e
- in deroga all’art. 92.04, per il rapporto costi squadra, gli utili o perdite da cessione calciatori e altri proventi/oneri da trasferimento sono calcolati dal bilancio annuale e/o semestrale del licenziatario per i 12, 24 mesi o i 36 mesi al 31 dicembre durante la stagione delle licenze, a discrezione del licenziatario, poi ripartiti proporzionalmente a 12 mesi;
d. Per la stagione delle licenze 2025/2026: le nuove regole entreranno in vigore a pieno regime.
Evidentemente, come dico nell’articolo in alto, presumendo che i manager blues abbiano fatto bene i “compiti a casa”, il Chelsea ritiene di potersi permettere questo mercato stellare senza incappare in violazioni significative.
Gli aspetti negativi
Ma è tutto oro quel che luccica? Ovviamente no. L’altra faccia della medaglia è chiaramente legata al rischio d’impresa e, quindi, alla possibilità che l’investimento si riveli un fallimento. Infatti, se un giocatore pagato molti soldi dovesse giocare male potrebbe decidere di “fare la muffa” e continuare a ricevere il sontuoso stipendio pattuito per 8 anni, piuttosto che accettare un salario inferiore e riprendere a giocare altrove con continuità. Il confine tra dignità personale, carriera e volontà di aumentare il proprio conto in banca è molto sottile e non tutti i giocatori hanno le medesime priorità. Il coltello dalla parte del manico, quindi, è nelle mani del giocatore che, firmando un contratto di lunga durata, potrebbe adagiarsi sugli allori.
Quali potrebbero essere i rimedi a tutto ciò? Le parti variabili vengono in soccorso. A parere dello scrivente, l’incidenza dei bonus nei contratti di lunga durata dovrebbe essere maggiore rispetto ai contratti di breve durata. E questo per un semplice motivo: nel corso di 8-9 anni possono verificarsi molte variabili legate alla volatilità dei risultati sportivi e anche alla possibilità di infortuni personali. A causa di ciò sarebbe giusto, equo e logico pattuire contratti che abbiano una base fissa pari ad almeno il 50% dello stipendio pattuito e una restante parte variabile da legare ai risultati/prestazioni personali e di squadra.
Se un giocatore volesse 10 milioni a stagione per 8 anni, questi soldi potrebbero essere garantiti da 5 milioni di base fissa e 5 milioni di base variabile. In caso contrario, se volesse un contratto di 4/5 anni, i bonus crollerebbero e la base fissa potrebbe essere rivista leggermente al rialzo. Questo potrebbe essere lo schema circa l’incidenza della parte fissa e della parte variabile rispetto alla durata degli accordi:
Anni di contratto | Incidenza parte fissa | Incidenza parte variabile |
1 | 100% | 0% |
2 | 90% | 10% |
3 | 80% | 20% |
4 | 75% | 25% |
5 | 70% | 30% |
6 | 65% | 35% |
7 | 60% | 40% |
8 | 50% | 50% |
Parti variabili, ma non è tutto. Un’altra tutela, sia per il club che per il giocatore, può essere legata alle c.d. “clausole rescissorie” (lato club) e “incentivi all’esodo” (lato giocatore). Anche questo può essere un modo per tutelarsi da un futuro incerto legato a una durata molto elevata. Club e giocatore, infatti, non si sposano in chiesa promettendosi amore eterno ma stipulato un accordo economico che oggi può essere profittevole per entrambi ma un domani potrebbe essere deleterio per una delle due parti. Una via d’uscita predeterminata risolverebbe il problema.
Conclusioni
A parere dello scrivente sarebbe opportuno che i club italiani dialoghino col Governo per eliminare il vincolo di durata quinquennale e lasciare che ciascun club decida autonomamente la durata degli accordi in base all’abilità in sede di trattativa e in base al proprio business plan.
Tutti gli aspetti negativi sopracitati, infatti, restano comunque risolvibili mediante una contrattazione tra le parti. Imporre invece un vincolo appare limitante laddove altri campionati (Premier ma anche Liga) possono stipulare durate superiori e, quindi, avere un vantaggio competitivo. Ma non solo. Dato che l’Italia ha una legislazione fiscale (c.d. decreto crescita) che per i giocatori che arrivano dall’estero è nettamente migliore rispetto alle altre legislazioni fiscali (in Premier le tasse pesano al 45%) e dato che i benefici si possono estendere fino a 10 anni nei casi in cui il lavoratore dipendente abbia almeno un figlio minorenne, oppure acquisti almeno un’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia, la combinazione di queste misure (contratti scritturabili da subito per durate superiori a 5 anni + decreto crescita + flat tax 2017) potrebbe aiutare il calcio italiano a rilanciarsi.
L’augurio è che la gestazione di una simile novità non sia uguale a quella che ha tolto un altro vincolo, ossia la durata dei diritti tv (cancellata a livello internazionale ed estesa a 5 anni per quelli locali), riforma diventata realtà dopo molto tempo e troppe chiacchiere perse mentre la concorrenza scappava via adottando quelle stesse regole che noi abbiamo recepito dopo anni di letargo.
Avv. Felice Raimondo
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