Il Fair Play Finanziario è stato ideato nel 2010 con propositi del tutto condivisibili, ossia la riduzione dei debiti e quindi dei club sottoposti a procedura fallimentare. In buona sostanza mirava a garantire la sostenibilità del sistema.
Tuttavia il FFP nel tempo si è trasformato in qualcosa di completamente diverso e, soprattutto, in un sistema capace di cristallizzare lo status quo del calcio europeo. Ridurre i debiti e impedire che un club possa fallire sono propositi ambiziosi. Ma non devono essere il pretesto per impedire di investire nel libero mercato, laddove vi sia qualcuno in grado di farlo in tutta sicurezza.
Il problema di fondo del FFP è che non è nato insieme al calcio, ma è stato introdotto in un determinato momento storico in cui chi aveva grandi fatturati o pochi debiti si è trovato avvantaggiato rispetto ad altri club. Infatti nel momento in cui consenti di spendere solo ciò che incassi, crei una forbice tra chi in quel momento guadagna già 100 e chi invece guadagna 50.
Non doveva essere questo il modo per riequilibrare il mondo del calcio.
Allo stesso modo molte leghe europee, per facilitare la “digestione” dei meccanismi UEFA, hanno introdotto nei loro campionati dei metodi di controllo finanziari non dissimili da quelli di Nyon. Il modello spagnolo ed il modello inglese, di cui ho parlato nei giorni scorsi (Link e Link), hanno la caratteristica di contigentare i deficit di bilancio ed anche il tetto salariale. Quindi seguono un doppio binario.
Se tuttavia il modello iberico premia chi ha più capacità di spesa (esattamente come fa la UEFA), il modello anglosassone sembra voler dare una mano ai clubs che fatturano di meno. Fino all’abolizione degli STCC, infatti, chi non aveva raggiunto una certa soglia poteva aumentare senza limiti il proprio tetto salariale. E proprio questo sembra essere l’unico metodo in grado di ripristinare la competitività e ridurre quel gap generato col FFP.
Che poi è il medesimo applicato dalla NBA dove le squadre arrivate nelle peggiori posizioni in classifica possono acquistare i migliori talenti e quindi le stelle del domani.
È questo l’unico rimpasto in grado di rinnovare la competitività e garantire più facilmente che un piccolo club possa ambire ai traguardi più importanti. Fino all’arrivo di Micheal Jordan, infatti, i Chicago Bulls venivano considerati poco più che una barzelletta nella loro stessa città. Ma fu proprio grazie all’arrivo del più grande cestista di tutti i tempi, peraltro terza scelta al draft, che i Bulls hanno potuto riscrivere la loro storia.
Questo esempio vuole chiarire ai lettori un semplice concetto: l’unico modo per evitare che lo status quo si cristallizzi è offrire ai clubs più deboli la possibilità di acquistare i migliori giocatori presenti sul mercato. Tutto ciò che non è avvenuto nell’ultima decade, dove la Juventus ed il Bayern hanno vinto 8 campionati consecutivi, ed il Real ed il Barca si sono divisi gli ultimi 14 su 15. Per non parlare della CL, dove ormai le fasi finali vengono monopolizzate sempre dalle solite squadre, con rare eccezioni.
Prima della introduzione del FFP un club ambizioso poteva acquistare Nesta e sistemare la difesa. Quindi tornare a vincere la CL dopo 9 anni. È quello che è accaduto al Milan di Berlusconi nel corso della sua epopea: un club che ha costruito i suoi successi sulla capacità del suo proprietario di garantire i debiti della società, costantemente in perdita. Per quale motivo le vittorie lecite dovrebbero essere solo quelle costruite su bilanci privi di deficit? E per quale motivo non sarebbe sufficiente garantire i propri debiti e pagare regolarmente gli stipendi dei dipendenti? Il paradosso è proprio questo: negli ultimi 8 anni chi vince lo fa anche grazie al FFP, che era nato per sistemare le finanze dei club e che invece tiene alla larga chi vuole insidiare vittorie e rendite elargite dalla UEFA.
Analizzando i soldi distribuiti da Nyon (premi+market pool) negli ultimi 8 anni, c’è stato un giro d’affari di dieci miliardi di euro ed i clubs più forti dei primi 5 campionati europei hanno potuto incassare dalla UEFA tra il 60% ed il 70% della somma prima citata, mentre le prime otto finaliste, quasi sempre le stesse, addirittura si sono spartite costantemente tra il 30% ed il 40%. In altre parole si sono arricchiti sempre i soliti noti.
Ovviamente, però, la soluzione non può essere un meccanismo come il draft americano, irreplicabile in Europa per diversi motivi (sportivi, regolamentari ed economici).
Tuttavia il principio ispiratore e riformatore del FFP a parere dello scrivente dovrebbe essere quello. Ossia consentire ai clubs meno forti di poter investire per acquistare i migliori giocatori. L’unica limitazione dovrebbe essere quella relativa alla necessità di dover garantire i propri debiti. Nessuno, infatti, può aprire le porte dell’Olimpo con cambiali in bianco.
Al contrario e parallelamente a ciò, per un determinato lasso di tempo quei clubs che per dieci anni hanno potuto beneficiare di un meccanismo che ha consentito loro di diventare ancora più ricchi e forti, non dovrebbero poter spendere quanto vorrebbero. O almeno, se volessero farlo, dovrebbero pagarlo a caro prezzo (magari con una Luxury Tax, anch’essa mutuata dal sistema NBA). Solo in questo modo la forbice si ridurrebbe e la competitività potrebbe tornare realmente protagonista.
Il nuovo FFP non dovrebbe consentire a chi è già ricco di diventare ancora più forte nello stesso modo in cui fa oggi: impedendo la partecipazione alle competizioni europee o, alternativamente, applicando sanzioni pecuniarie salatissime. E dovrebbe invece consentire a chi è meno ricco di poter spendere, a patto di garantire i nuovi debiti. Che poi è una sorta di Voluntary Agreement già esistente e mai applicato con nessuna squadra.
Quindi un meccanismo penalizzante per chi è già forte e vuole continuare a spendere, ma tollerante nei confronti di chi è più debole e vuole colmare il gap investendo più soldi.
Logicamente un simile sistema andrebbe contro quella cupola oligarchica che attualmente governa il soccer Europeo, ma se la UEFA vuole realmente tutelare il calcio e dunque favorire gli interessi non di pochi ma di tutti indistintamente, non può che riformare l’attuale FFP e consentire a chi ha le spalle larghe di poter realmente sognare di arrivare (o tornare) sul tetto d’Europa. Senza costringere nessun club ad artifizi contabili per mettersi in regola (vedi plusvalenze) oppure a sponsorizzazioni (con parti correlate) per spendere subito cifre più alte ed aggirare la tagliola della deviazione massima triennale.
Il futuro del calcio europeo deve inevitabilmente passare attraverso un meccanismo simile, esattamente opposto all’attuale, che ha concesso subito di spendere grandi cifre a chi si trovava già in regola col FFP, ed ha consentito agli altri di fare solo piccoli passi alla volta in virtù dei loro debiti o piccoli fatturati. Un regolamento generatore di una oligarchia che ha cristallizzato la competitività.
Nyon sarà in grado di capirlo e dunque riformare di conseguenza il FFP? Oppure l’unica speranza di entrare a far parte di quei clubs che ogni anno si contendono la CL, è quella di finire nelle mani di qualche forte imprenditore carico di sponsor e/o ammanigliato politicamente?
Ai posteri l’ardua sentenza.
Avv. Felice Raimondo
Ti è piaciuto il contenuto di questo articolo? Su Amazon sono presenti 4 libri interamente dedicati ad argomenti analoghi:
Il Diavolo è nei dettagli vol. 1: https://amzn.to/3NAmyoW
Il Diavolo è nei dettagli vol. 2: https://amzn.to/3NBm9Cz
Fair Play Finanziario: https://amzn.to/449WMir
Super Lega vs Super Federazioni: https://amzn.to/3rgmAus