Il Fair Play Finanziario è un fenomeno che ha coinvolto tutta l’Europa calcistica e subito dopo la sua introduzione nel 2010, le principali Leghe nazionali hanno deciso di far proprio il regolamento della UEFA con delle misure interne che non si discostano molto dai principi ispiratori di Nyon.
Se l’Italia è stata una delle ultime Leghe ad adeguarsi (Link) non si può dire lo stesso della Spagna e dell’Inghilterra. Ma in che modo la Premier League controlla i conti dei clubs? Ieri siamo volati nella penisola iberica (Link), oggi oltrepassiamo la Manica e cerchiamo di capirne di più.
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Le misure di contenimento finanziario della Premier League, al pari della Liga spagnola, seguono un doppio binario.
Il Fair Play Finanziario inglese: le Profitability and Sustainability Rules.
Da un lato vi sono le regole sulla redditività e la sostenibilità (Profitability and Sustainability Rules, di seguito PSR), simili a quelle del FFP. Lo scopo di queste regole è garantire che i clubs non ottengano debiti incontrollabili, ed in presenza di ricapitalizzazioni consentono una perdita aggregata massima triennale di £ 105 milioni di sterline (nel FFP della UEFA è di 30M di euro), ridotta di £ 22 milioni per ciascuna delle due precedenti stagioni nelle quali il club partecipava alla Championship (chiaro aiuto per i club neopromossi). In assenza di ricapitalizzazioni, invece, il deficit aggregato massimo tollerato è pari a 15M (nel FFP della UEFA è di 5M di euro).
Per quanto riguarda le sanzioni conseguenti al mancato rispetto delle PSR, se un club viola il limite di perdita accettabile di £ 105 milioni, il board della Premier League ha il potere di costringere un club ad aderire al budget definito e/o impedirgli di registrare qualsiasi contratto con un giocatore nuovo o già in rosa. Inoltre il board ha il potere di sanzionare ulteriormente un club con la detrazione dei punti in classifica.
Il salary cap inglese: Short Term Cost Control.
Dall’altro lato, invece, troviamo i c.d. Short Term Cost Control (di seguito STCC) introdotti nel 2013 con il boom dei diritti TV. L’introduzione degli STCC, infatti, si è resa necessaria dopo l’enorme aumento di denaro per i club conseguente ai nuovi accordi di broadcasting, con il chiaro scopo di dissuadere le società dallo spendere tutte le entrate dei diritti TV per i salari dei giocatori. Così è stato fissato un tetto stipendiale (inclusivo dei salari e dei contratti d’immagine) che per le ultime 3 stagioni è stato pari a £ 67 milioni (16/17), £ 74 milioni (17/18) e £ 81 milioni (18/19). Superata questa soglia, ogni club poteva chiedere di essere valutato sulla base dell’anno precedente, quindi aumentare il monte salariale di soli £ 7 milioni di sterline rispetto alla stagione passata.
Oppure il club poteva chiedere di essere valutato sulla base dell’anno di riferimento 2012/13. In tal caso avrebbe dovuto soddisfare uno dei seguenti requisiti: a) nell’anno contrattuale 2016/17 un aumento rispetto all’anno contrattuale 2012/13 di non oltre £ 19 milioni; b) nell’anno contrattuale 2017/18 un aumento rispetto all’anno contrattuale 2012/13 di non oltre £ 26 milioni; c) nell’anno contrattuale 2018/19 un aumento rispetto all’anno contrattuale 2012/13 di non oltre £ 33 milioni.
Tuttavia il meccanismo presentava una scappatoia. Infatti il limite imposto dagli STCC era legato alle entrate dei diritti TV. Quindi se un club riusciva a dimostrare che l’aumento dei salari era stato finanziato da nuove fonti di reddito diverse dagli accordi di broadcasting (es. contratti commerciali o cessioni di giocatori), non avrebbe avuto problemi ad aumentare il proprio monte salariale ben al di sopra di £ 7 milioni di sterline. Per questo motivo alcuni club della Premier League nel corso degli anni non hanno risentito delle limitazioni imposte dagli STCC, in particolare quelli con ingenti entrate commerciali (ad es. Manchester United, City, Chelsea) che hanno potuto aumentare i propri salari ben oltre la soglia prevista. E per la stessa ragione alcuni club di fascia alta che non hanno aumentato i ricavi commerciali e che non hanno raggiunto le prime posizioni in campionato (es. Arsenal), ogni anno venivano limitate dagli STCC.
Ciò premesso, nella stagione corrente c’è stato il grande cambiamento con l’eliminazione del meccanismo degli STCC. La Premier League, infatti, ha apportato una modifica significativa alle regole finanziarie per la stagione 2019/20, rimuovendo il meccanismo degli Short Term Cost Control, che vietava ai club con un fatturato annuo al di sopra di una certa soglia (superato ormai da tutti tranne una manciata di club recentemente promossi in nelle ultime stagioni) dall’aumentare il loro monte salariale di oltre £ 7 milioni di sterline da una stagione all’altra.
Questa modifica, pretesa dai club anche come arma di difesa per far fronte ai problemi derivanti dalla Brexit (Link), oltre ad aiutare i club in un momento di difficoltà come quello attuale dovuto al coronavirus, ha consentito alle società di Premier League di investire una parte maggiore delle entrate da broadcasting nell’aumento del tetto salariale, più di quanto sarebbe stato possibile nelle stagioni precedenti. Ma non solo.
Grazie alla eliminazione degli STCC, pur sempre nel rispetto delle PSR citate inizialmente, potrebbe ridursi il gap tra i primi clubs e quelli di fascia medio-bassa, che adesso potranno utilizzare tutti i ricavi da broadcasting per i propri stipendi ed aumentare ogni stagione il tetto salariale senza limiti, con la conseguenza che potrebbero contendere determinati giocatori anche ai club di fascia alta. Quindi la competitività ne uscirà rafforzata, in un campionato che ormai sembra vivere in un universo parallelo rispetto alle altre Leghe europee.
Avv. Felice Raimondo
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