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Il circolo virtuoso che supera il Fair Play Finanziario.

1 Novembre 2019 In Fair Play Finanziario, L'avvocato del Diavolo
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Con l’introduzione del Fair Play Finanziario, le strategie aziendali dei club calcistici sono enormemente cambiate. Fino al 2009, anno di introduzione della succitata regolamentazione UEFA, per rendere competitiva una società bastava effettuare aumenti di capitale. In altre parole era sufficiente che il proprietario ogni anno coprisse le perdite. Questa è stata la politica di successo che ha permesso al Milan di Silvio Berlusconi di riempire la bacheca rossonera per almeno 25 anni, ossia dal 1987 al 2012, poco prima dell’applicazione del FFP nel 2013/2014 che, non a caso, valutava i bilanci chiusi nel 2012 e 2013.

Negli ultimi dieci anni, invece, grazie al Fair Play Finanziario abbiamo assistito ad una trasformazione del business calcistico che non viene dominato più dai proprietari mecenati ma dai club che fatturano tanti soldi.

Capitoli:

  • Dal mecenate al fatturato: le 4 voci che generano guadagni.
  • Proventi audiovisivi e media.
  • Proventi da gare.
  • Proventi da gestione dei diritti dei calciatori.
  • Proventi da sponsorizzazioni, commerciali e royalties.
  • Il ciclo virtuoso che mette in moto il fatturato.

Dal mecenate al fatturato: le 4 voci che generano guadagni.

Il discrimine quindi è cambiato: se prima bastava avere una proprietà che coprisse le perdite, oggi è necessario avere una proprietà che fabbrichi ricavi. Questo perché la UEFA pretende che, per partecipare alle proprie competizioni, ciascun club debba spendere solo quanto guadagna, limitando al minimo le perdite che, invece, prima non erano regimentate.

La conseguenza di tutto ciò è che la competizione si è spostata dalle tasche dei proprietari ai bilanci e, in particolare, alle gestioni economiche. A tal riguardo è bene precisare che ogni società di calcio produce introiti di vario tipo, ma quelli principali possono essere suddivisi in:

PROVENTI AUDIOVISIVI E MEDIA

Questa voce riguarda i diritti tv locali, venduti collettivamente, e diritti tv internazionali, ossia il market pool della UEFA. Appare chiaro, quindi, che questi introiti sfuggono al controllo diretto dei club che dipendono dalle contrattazioni collettive, cioè dall’appetibilità del campionato, e dall’andamento in coppa se ci si qualifica alle competizioni europee. Malgrado ciò, i proventi audiovisivi nazionali rappresentano incassi sicuri e, soprattutto, pluriennali (i diritti tv italiani hanno durata triennale). Non a caso molte società li utilizzano per avere anticipazioni bancarie, c.d. factoring.

PROVENTI DA GARE

Riguardano gli introiti derivanti dalle biglietterie, quindi la vendita degli ingressi alle partite e gli abbonamenti. E’ una voce molto importante per chi può contare su impianti nuovi che giustificano prezzi alti, o chi partecipa alle competizioni europee, perché vengono disputate più partite, alcune delle quali anche di cartello. In definitiva, però, anche questi introiti dipendono dall’andamento della squadra.

PROVENTI DA GESTIONE DEI DIRITTI DEI CALCIATORI

Questa voce è conosciuta anche come Player Trading, quindi introiti derivanti dalla cessione a titolo definitivo o in prestito dei cartellini. Le cessioni a titolo definitivo generano una plusvalenza, ossia un effetto positivo nel bilancio, solo se il prezzo di cessione supera la quota di carico del cartellino, rectius l’ammortamento da smaltire. E’ bene ricordare che i cartellini dei giocatori vengono ammortati durante la durata contrattuale, quindi si divide il costo di acquisto per gli anni di contratto ed il risultato è la c.d. “quota di ammortamento” che ogni anno riduce il costo di carico. Quindi la cessione di un giocatore completamente ammortato (o quello del settore giovanile che non ha quote di ammortamento) genererà una plusvalenza piena, mentre la cessione di un giocatore appena acquistato, se superiore al prezzo di carico, genererà una plusvalenza inferiore.

Tali operazioni rappresentano una scappatoia per effettuare quel cosiddetto maquillage contabile, grazie al quale la perdita d’esercizio viene ridotta, limitando il deficit che – come detto – non piace alla UEFA. Tuttavia gli effetti positivi generati con la gestione dei diritti dei calciatori, oltre a dipendere dalla volubilità del mercato, non sono pluriennali, giacché impattano solo nel corso del bilancio d’esercizio in cui si verificano. Proprio per questo, malgrado la Cassazione abbia specificato che ormai si tratta di proventi ordinari (leggi qui), gli analisti di settore tendono a distinguere il fatturato lordo (comprensivo della gestione dei calciatori) da quello netto (privo della gestione dei calciatori).

Il Fair Play Finanziario analizza i bilanci prendendo in considerazione il fatturato lordo, per questo motivo molte società ultimamente stanno abusando delle plusvalenze per “aggiustare” i bilanci ed essere in regola con la UEFA.

Elaborazione di Raffaele Greco su dati del Dott. Luca Marotta:

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PROVENTI DA SPONSORIZZAZIONI, COMMERCIALI E ROYALTIES

Gli introiti da sponsorizzazioni, commerciali e royalties rappresentano una fonte di guadagno fino a poco tempo fa sottovalutata da molti club. Ma con l’introduzione del Fair Play Finanziario hanno acquisito una importanza sempre maggiore, al punto da essere, insieme ai diritti tv nazionali, una voce di guadagno solida, pluriennale, indipendente dall’andamento in campo della singola squadra (se sorretti dal proprietario). Inoltre a differenza dei diritti tv che vengono contrattati da soggetti terzi, gli sponsor vengono stipulati singolarmente e quindi dipendono dall’esclusivo agire del club. Per questo motivo risultano decisivi ai fini del fatturato.

Infatti se prima i mecenati, tra cui Berlusconi, mantenevano competitiva la squadra principalmente attraverso gli aumenti di capitale, oggi quegli stessi mecenati, non potendo contare soltanto sugli aumenti di capitale – ridotti per imposizione della UEFA – hanno dovuto trovare una via alternativa per iniettare denaro nelle casse dei club: ecco dunque le sponsorizzazioni con parti correlate – ossia collegate in qualche modo con il proprietario – e gli accordi commerciali con soggetti non correlati ma che, grazie ai contatti con il proprietario, risultano avere interesse a legare il proprio marchio con quello del club. Il Fair Play Finanziario, tuttavia, impone che l’accordo commerciale rispetti il fair value (valore di mercato) e che l’apporto della parte correlata non sia significativo, c.d. significant influence, ossia deve restare entro il limite del 30% del fatturato.

Per la UEFA un accordo commerciale è considerato “non trattato a condizioni di mercato” se è stato stipulato a condizioni più favorevoli per entrambe le parti dell’accordo rispetto a quanto sarebbe stato ottenuto se non vi fosse stata alcuna relazione con parti correlate.

Nelle situazioni in cui il fair value della transazione con parti correlate è esaminato dall’Organismo di Controllo Finanziario UEFA, un perito indipendente di terze parti effettua una valutazione del valore equo conformemente alle normali prassi di mercato ed assegna un fair value (valore di mercato) alla transazione della parte correlata. Il club può scegliere un perito indipendente che è stato approvato dalla UEFA.

In questo caso il perito non deve essere soggetto ad alcun conflitto di interesse con il club. Il valore assegnato dal perito esterno verrà quindi utilizzato per il calcolo del risultato di pareggio.

Le sponsorizzazioni con parti correlate, quindi, sono perfettamente lecite ed ammesse sia dal Fair Play Finanziario, nei limiti descritti poc’anzi, che dalla normativa italiana. Non si tratta di operazioni “fasulle” o “drogate” ma di contratti validi nel libero mercato che durerebbero tanto quanto il proprietario lo ritenga opportuno, ossia fino a quado non si attiverebbe il circolo virtuoso di cui al prossimo capitolo. A quel punto gli sponsor correlati verrebbero progressivamente sostituiti da sponsor non correlati, operazione molto più semplice perché il ciclo virtuoso si sarebbe messo in moto e la società avrebbe la visibilità e l’appeal necessari per cambiare una gomma della macchina alla volta, probabilmente migliorandone anche la qualità, quindi senza che il fatturato ne risenta negativamente. Per un proprietario con mezzi sufficienti, una strategia simile potrebbe portarsi a compimento nel giro di un lustro.

Attenzione: i ricavi caratteristici sopra descritti non sono uguali agli aumenti di capitale e non sono aumenti di capitale mascherati. Sarebbe come sostenere che un paniere pieno di mele sia uguale ad un altro pieno di arance. Una persona superficiale dirà: è sempre un paniere pieno. Una persona attenta aggiungerà: si ma i contenuti sono diversi.

Questa metafora serve per far capire che se prima per sopravvivere bastava un paniere pieno di mele (aumenti di capitale), oggi è necessario averne uno soprattutto pieno di arance (ricavi caratteristici, sponsor in particolare). Ergo bisogna cambiare il contenuto del paniere con qualcosa di più gradito alla UEFA perché quest’ultima lo impone a tutte le squadre che vogliono disputare la Europa League o la Champion’s League. La gestione aziendale dei top club, quindi, deve adeguarsi alla filosofia della UEFA che non è “giusta” o “sbagliata” ma è semplicemente quella necessaria al fine di disputare le competizioni più prestigiose e trarne tutti i vantaggi del caso (introiti e visibilità).

Il circolo virtuoso che mette in moto il fatturato.

Dall’analisi delle principali quattro voci che compongono il valore della produzione di un club, appare chiaro che due di queste sono indipendenti dai risultati in campo, ossia diritti tv nazionali e sponsorizzazioni. Infatti i primi vengono contrattati dalla Lega di riferimento, mentre i secondi direttamente dalla società. Certamente una Lega con maggiori campioni e risultati più brillanti (es. Premier League) attira più denaro di altre (es. Serie A, Ligue 1), ma il concetto di base non cambia: per avere una fetta di quei soldi basta far parte della massima categoria. Gli sponsor, inoltre, grazie al proprietario ed alle conoscenze di quest’ultimo possono legarsi al club indipendentemente dal suo andamento sportivo. L’importante è rispettare i valori di mercato.

Se analizziamo invece le altre due voci di bilancio, ossia proventi da gare e gestioni dei diritti dei calciatori, comprendiamo che sono altamente volubili in quanto dipendono dai risultati in campo, dal possedere uno stadio di proprietà e dall’andamento del mercato dove non è detto che offerta e domanda coincidano sempre.

Evidentemente, quindi, un club che – nel rispetto del Fair Play Finanziario – volesse tornare in breve tempo al top, dovrebbe aumentare i propri introiti per far sì che quest’ultimi coprano i costi. Ma dato che non è possibile iniettare semplicemente il capitale, in quanto la UEFA impone il rispetto di una deviazione aggregata massima (-30M nel triennio antecedente), bisogna far leva sugli introiti più facilmente influenzabili e che sono slegati dai risultati in campo: ossia diritti tv e sponsorizzazioni. E tra questi due, concentrare gli sforzi massimi sugli introiti che dipendono esclusivamente dal proprietario: gli accordi commerciali. Così facendo, infatti, l’iniziale apporto di sponsor correlati e non, se accompagnato da una gestione sportiva competente, consentirebbe al club una maggiore agibilità sul mercato grazie alla quale la squadra raggiungerebbe quei risultati sportivi necessari per mettere in moto le altre due voci di guadagno (gare e diritti tv internazionali) altrimenti inaccessibili. A quel punto le plusvalenze non sarebbero più necessarie o, almeno, lo sarebbero in maniera minore, anche perché con la maggiore visibilità acquistata dal club, arriverebbero nuovi sponsor che renderebbero meno necessari quelli iniziali procurati dal proprietario.

Ecco dunque in che modo si attiva quel circolo virtuoso che consente ad un club di emergere dall’anonimato e di aumentare la propria competitività in breve tempo, con l’ulteriore e indubbio vantaggio di poter rimandare più avanti la costruzione dello stadio che, in un secondo momento, diventerebbe il “carico da 90” che si aggiungerebbe ad un meccanismo già rodato.

1) Esempio di ciclo virtuoso secondo i modelli Manchester City, PSG e Inter, quindi iniziando da un forte aumento degli sponsor:

Se invece l’obiettivo è quello di lavorare su altre voci del fatturato, ossia player trading e costruzione dello stadio, il ciclo virtuoso faticherebbe ad attivarsi in breve tempo in quanto tutto dipenderebbe dalla bravura dei dirigenti del settore sportivo, che dovrebbero vendere e comprare per procurarsi gli introiti necessari ad essere in regola col FFP.

La costruzione dello stadio, invece, oltre ad essere lunga e laboriosa, benché lungimirante inizierebbe ad avere effetti sul bilancio soltanto nel momento in cui l’impianto sarebbe pronto per l’utilizzo. Nel frattempo, quindi, l’aumento degli introiti da gare resterebbe narcotizzato e strettamente collegato ai risultati in campo, a loro volta collegati agli investimenti che però non potrebbero esserci senza nuovi introiti: il cosiddetto “cane che si morde la coda”.

2) Esempio di ciclo virtuoso secondo modelli alternativi, quindi puntando su Player Trading e stadio:

3) Esempio di cosa accade in presenza di un ciclo “vizioso”:

Ovviamente la strategia di un club dovrebbe essere quella di lavorare a 360°, quindi su ogni singola voce del fatturato. Tuttavia, come detto, le voci che possono essere subito aggredite sono quelle slegate dai risultati in campo, ed in particolare l’unica voce che può essere aumentata dal proprietario senza dipendere da fattori esterni, è proprio quella relativa alle sponsorizzazioni. Senza accordi commerciali, infatti, attivare il circolo virtuoso diventa complicatissimo. Ecco perché il Manchester City, il PSG e l’Inter hanno adottato la tecnica delle sponsorizzazioni con parti correlate. In questo modo – grazie anche alla firma di un Settlement Agreement – sono riuscite in breve ad emergere dalla mediocrità, situazione in cui, invece, sarebbero state confinate per molto più tempo.

Qui in basso (elaborazione di @MidHedge) una lista delle società controllate in maggioranza assoluta o relativa da Elliott, proprietario del Milan, che fino ad oggi ha generato per i suoi investitori un rendimento annuale composto netto del 14,6% e che, sfruttando la strategia descritta, quindi fabbricando velocemente ricavi, arriverebbe alla quotazione in borsa del club in maniera molto più lanciata (Link) e profittevole rispetto ad una situazione che preveda un club con uno stadio ma con forti deficit e ricavi stagnanti. Infatti una sponsorizzazione con parti correlate a normali valori di mercato non “allarmerebbe” nessun investitore che, al contrario, potrebbe essere contrariato dal fatto che Elliott inietti 200M di capitale a fondo perduto (Link) in una società che non da cenni di ripresa.

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Per quanto riguarda modelli di business alternativi, non appaiono decisivi gli esempi relativi alla Juventus ed al Napoli per diverse ragioni: questi club sono stati facilitati nella loro rinascita da una “comfort zone”, ossia dall’assenza di competitors di livello (Milan e Inter su tutte), e quindi per loro è stata sufficiente una sapiente gestione sportiva per attivare il ciclo virtuoso grazie alle ripetute qualificazioni CL che hanno generato maggiori introiti e più visibilità.

4) Esempio di ciclo virtuoso fondato su Player Trading in una “comfort zone”:

In presenza però di più squadre agguerrite e già in regola col FFP, appare estremamente difficile tornare competitivi contando solo sulla gestione sportiva. Fino ad oggi, infatti, partendo da contesti simili non esistono esempi di rinascite o di esplosioni di club ad alti livelli basate unicamente sulla sapienza dei direttori sportivi. Ed il motivo è semplice: sarebbe come affidare la cura di un malato grave ad uno stregone o ad un esperto di omeopatia.

Stando così le cose, alla luce della presente analisi, fino a quando il Fair Play Finanziario non sarà scomparso o, almeno, riformato, le sponsorizzazioni rappresentano il modo più efficace per aumentare i ricavi in breve tempo ed attivare il ciclo virtuoso, equamente condiviso tra comparto commerciale e comparto sportivo, con quest’ultimo che dovrà comunque effettuare le scelte più opportune con le maggiori risorse messe a disposizione grazie al lavoro di proprietà e comparto commerciale.

In caso contrario, quindi in assenza di una proprietà che fabbrichi ricavi in breve tempo e che li rimandi in un secondo momento a stadio ultimato, le responsabilità dell’attivazione dei ciclo virtuoso sarebbero unicamente della gestione sportiva, costretta a lavorare attraverso il player trading, ed a cercare di battere la concorrenza con quelle poche risorse a disposizione.

Nei fatti, una probatio diabolica.

Avv. Felice Raimondo

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