Diritto del Lavoro

Approfondimento

diritto del lavoro

L’Unione Europea con la Direttiva 1999/70/CE ha creato una cornice normativa volta alla prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato (clausola 1), nonché alla non discriminazione dei lavoratori con contratti a termine rispetto ai colleghi con contratti a tempo indeterminato, a meno che ovviamente non sussistano ragioni oggettive (clausola 4). La normativa, quindi, ha obbligato gli Stati membri ad adottare delle misure di prevenzione per prevenire simili abusi (clausola 5).

Lo Stato Italiano, come purtroppo spesso accade, si è adeguato alla Direttiva europea in modo tutt’altro che favorevole ai lavoratori a termine. Nello specifico, infatti, per i dipendenti pubblici che superino i 36 mesi non solo viene negata la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (come invece accade nel privato), ma l’abusiva successione di contratti, oltre a non prevedere l’assegnazione degli scatti di anzianità maturati, da luogo al riconoscimento della sola indennità prevista dall’art. 32 L. 183/2010, da provare senza alcun elemento probatorio che non sia la successione dei contratti nel tempo. Un simile quadro normativo, pertanto, ha ricevuto e sta ricevendo molteplici censure dalla Corte di Giustizia Europea, basti citare tra i provvedimenti più importanti la sentenza C-53/04 (Marrosu+1/Ospedale S.Martino di Genova), l’ordinanza Papalia resa nella causa C-50/2013 e la sentenza resa nelle cause riunite C-22/13, C-61/13, C-63/13 e C-418/13 (Mascolo/M.I.U.R.).

Questi interventi hanno definitivamente sancito:

  • l’illegittima reiterazione dei rinnovi pluriennali dei contratti a termine nelle P.A. di diversi Stati membri, tra cui ovviamente l’Italia;
  • La possibilità da parte dei lavoratori a termine, anche dopo l’immissione in ruolo, di poter chiedere il riconoscimento per intero degli anni di precariato, e quindi poter usufruire di scatti di anzianità fino ad ora sempre negati o riconosciuti parzialmente con delle ricostruzioni carrieristiche tutt’altro che complete. Questo ovviamente potrebbe comportare – in base del pregresso – un aumento nella busta paga;
  • La possibilità per gli stessi lavoratori a termine di chiedere un risarcimento del danno;

La giurisprudenza nazionale, quindi, sulla scorta di tali pronunce e sulla base dell’art. 117 della Costituzione che sancisce il principio di primazia del diritto dell’Unione Europea su quello interno, si è dovuta uniformare riconoscendo ormai in tutta Italia gli adeguamenti stipendiali sulla base degli scatti di anzianità sia per i lavoratori a termine che per quelli immessi in ruolo, nonché attribuendo un risarcimento per quei lavoratori che tutt’ora sono precari e che hanno abbondantemente superato i 36 mesi di attività presso un’amministrazione pubblica.

Per le ragioni sin qui esposte lo studio che mi pregio di rappresentare sta attivando nelle province di Campobasso e Chieti dei ricorsi giudiziari, anche collettivi, volti a tutelare tutti quei lavoratori che abbiano avuto o stiano tutt’ora avendo un importante trascorso come precari nella pubblica amministrazione.

 

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