Due mesi fa, precisamente il 19 ottobre 2022, Gerry Cardinale è stato ospite di un summit realizzato da Sportico e intitolato “Invest in Sports”. Insieme a lui sono stati intervistati anche Ian Charles (Arctos Sports Partners) e Behdad Eghbali (di Clearlake Capital Group, nuova proprietà del Chelsea).
Il nuovo proprietario del Milan si è soffermato su tantissimi temi che purtroppo non sono stati approfonditi dalla stampa locale che ha riportato solo dei brevi estratti della sua lunga intervista. Quindi lo scrivente ha recuperato tutte le dichiarazioni di Cardinale: chi vuole capire la sua visione futura e il modo in cui pensa di fare successo in Europa non può perdersi le sue parole.
I temi toccati sono tanti: Milan, Elliott, Diritti TV, differenza con la Premier, l’uscita dagli investimenti, multiproprietà, Superlega. E tanto altro. L’intervista è molto lunga ma leggendo le parole di Gerry si comprende il contributo che pensa di dare al calcio europeo. Buona lettura.
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Come fate a scegliere tra tutte le opportunità che vi presenta il mercato e su cosa vi concentrate quando state cercando un investimento in Europa?
“Per noi in Europa i nostri investimenti sono una sorta di derivazione dall’investimento nel Liverpool attraverso Fenway Sports Group. Il Tolosa era una specie di esperimento a parte, che abbiamo fatto con successo, e ora il Milan. Ma tutti portano dietro gli stessi attributi, cioè sono state acquistate relativamente bene ma soprattutto possiamo gestirle bene. E questo puoi farlo comprando quote di un team già esistente. Nel nostro caso in Fenbway abbiamo aggiunto quello che sappiamo fare per portare il club al livello successivo, mentre col Tolosa dopo un anno siamo riusciti a promuovere il Tolosa. Il Milan invece, e hanno scritto dei titoli quando l’ho detto pubblicamente, penso sia un interessante ibrido in mezzo a questi due investimenti. Lo considero un gigante addormentato al quale noi possiamo portare valore in campo e fuori dal campo. La sfida per la gente che sta da questa parte dell’Oceano, è che essere proprietari nel vecchio continente vuol dire avere una partnership tra pubblico e privato. Questo è molto diverso dall’investire in squadre negli USA. Quindi devi considerare questa componente e stiamo ancora cercando di capirlo bene, ma abbiamo sposato questo concetto con tutto il cuore e tutto ciò può essere un vantaggio in più se lo fai nel modo giusto”.
L’intervistatore a questo punto chiede di spiegare la similitudine tra gli investimenti sportivi e le aziende stile Disney, e inoltre chiede agli intervistati cosa sperano di ottenere.
“Il mio punto di vista sull’analogia con la Disney era che questi club dovrebbero aspirare ad essere quello, e riguardo quello che diceva prima Behdad, non sono ottimizzati per esserlo. Ma una delle sfide per il mondo dello sport è che chiunque, sia quelli che c’erano già che i nuovi entranti, non ha ancora compreso come monetizzare gli eventi dal vivo. Ed effettivamente è molto difficile farlo. Uno dei motivi per i quali guardi alle multiproprietà è sicuramente che ci sono dei benefici tipo le sinergie da un punto di vista dei giocatori, e inoltre, se lo fai bene e se crei la giusta infrastruttura, puoi fare pubblicità attraverso diverse e differenti proprietà intellettuali. Alla fine tutto so riduce a monetizzare una proprietà intellettuale. Per questo non divento emozionalmente coinvolto come un fan, non mi faccio coinvolgere. Guardo questi club e vedo che una cosa: questo concetto di comprare le società sulla base dei multipli dei ricavi è uno scherzo, o no? Voglio dire, è una vergogna. Perché accade questo? I club dovrebbero essere proprietà basate sui flussi di cassa. Ecco, in fin dei conti c’è un circolo virtuoso nel quale sei entrato in Europa, e questa partnership tra pubblico e privato ti richiede che tu ti impegni e lavori per il tuo partner pubblico, che sono i tifosi, ai quali l’unica cosa che importa è vincere. Questo modello senza salary cup e con le retrocessioni e il mercato dei trasferimenti ha portato ad un fenomeno in cui tutti vanno in perdita finanziando questo sistema, e quindi c’è una corsa alle armi per i giocatori. Ecco, questo modello va in direzione opposta alla generazione dei flussi di cassa. Ma penso che possiamo raggiungere entrambi gli obiettivi e penso che si possa creare una nuova forma di proprietà che monetizzi le proprietà intellettuali nella forma di una specie di Disney, in cui puoi creare a 360° un volano che monetizzi e che porti alla generazione dei flussi di cassa. Se riesci a farlo, puoi prendere questi flussi generati e rimetterli in questo circolo in maniera intelligente per creare valore sul campo di gioco”.
L’intervistatore quindi afferma che le cose cambiano quando vai in Europa, dove non ci sono contratti collettivi, c’è un numero fisso di squadre (per fortuna c’è il c.d. scarcity value), le squadre non si dividono molti ricavi di Lega e in tutto questo ci sono i fan che fanno impallidire quelli delle squadre americane. Come vi rapportate a questo sistema e come gestite questi rischi?
“Guarda, ognuno di questi mercati si trova in Europa ma possiede il proprio ecosistema. Penso che la gente come noi possa fare il proprio lavoro tenendo conto degli specifici parametri di quegli ecosistemi. Detto questo, una cosa a cui sono sempre più interessato è questa differenza crescente tra la Premier League e il resto delle Leghe europee. Sai, una volta qui negli USA tutti parlavano dei media e di come questi fossero la bacchetta magica per far aumentare le valutazioni di tutte le squadre. Ma ormai nel nostro sport americano la parte commerciale è la più avanzata del mondo. Quindi siamo andati oltre la vecchia credenza dei media come la cosa più importante per ripagarti il sovrapprezzo al quale hai comprato quella specifica squadra. Invece laggiù (Europa) sono ancora alla “fase media”, non essendo riusciti a monetizzare gli eventi Live. Un sacco di infrastrutture devono essere sviluppate. Voglio dire, tutte quelle cose che noi qui diamo per scontate, ti mostrano qual è la strada da fare per rientrare di quei costi che hai dovuto sopportare quando sei diventato proprietario. Quello che mi interessa, e parlo da uno che appena investito un sacco di soldi in Serie A, nel Milan, è quella differenza, che è assolutamente dovuta ai media. C’è un rapporto di 3:1 con la Premier e 2:1 con la Liga. Perché c’è questa differenza? Tu e io ne abbiamo parlato (si rivolge al proprietario del Chelsea). Quindi c’è una grande opportunità su quell’aspetto. A proposito, una grande opportunità è anche questo, e lo dico da persona nuova nel calcio europeo: per quanto mi sforzi non riesco a capire come tu possa avere lo sport più popolare al mondo senza avere il più grande mercato del mondo. La gente come noi può rappresentare dei grossi catalizzatori per i cambiamenti strutturali, essendo però partecipanti responsabili. Questa è la cosa davvero interessante per me. A un certo punto finisci le cose che puoi fare qui (in America). Credo che ognuno di noi possa fare il proprio lavoro su uno specifico club. E la cosa interessante è che mentre lo facciamo, possiamo esser catalizzatori positivi per quel cambiamento strutturale a un livello più alto”.
Ci si sofferma poi sul potenziale di questi investimenti in Europa.
“Si, grande potenziale ma non puoi entrare in una Lega e stare semplicemente seduto ad aspettare. La sfida è che per fare questo tipo di cose devi smuovere le acque. Ma ti ripeto, laggiù (Europa) devi essere responsabile. Non puoi andare ad armi spianate, da americani, applicando la stessa mentalità. Lì è differente. Sto guardando e cercando di capire come farlo ma non c’è nessun dubbio che quello rappresenterebbe un contributo positivo che possiamo dare a quell’ecosistema in maniera resposanbile“.
L’intervistatore dice che in realtà gli americani sono andati con le armi spianate perché sono andati ad investire soldi in UK e anche in Italia. E dice che Gerry lo ha fatto pur conoscendo questa differenza con la Premier. Afferma che ci sarà un sacco di lavoro da fare ma anche molto potenziale se lo riesci a fare bene.
“Si, ti ripeto, all’interno di ogni ecosistema (come RedBird siamo dentro la Premier, la Ligue 1, la Serie A) sono tutti uguali se visti da un macro livello, stessi ingredienti, stessi parametri, ormai sappiamo abbastanza bene come dobbiamo fare, ma poi ci sono anche delle sfumature specifiche di ogni ecosistema. Per quanto riguarda la Serie A: non l’abbiamo sottolineato ma non è stato costruito nessuno stadio in Italia dal 2011 e l’ultimo è stato uno stadio da 40mila posti a Torino. Quindi se sei Micheal Rapino (presidente di Live Nation Entertainment, ndr) e vuoi portare questi spettacolo globali in Europa, se guardi all’Italia praticamente non hai un posto dove andare. Abbiamo visto che c’è una bella partnership tra musica e sport. E questa cosa mi riporta di nuovo alla mia analogia tra tutto ciò e delle “mini-Disney”. Questi club sono aziende di spettacoli di intrattenimento dal vivo. E quindi si, noi abbiamo un impegno che è quello di fornire una proposta di valore ai tifosi che sono dei soci impliciti in questi mercati. Ciò significa che dobbiamo vincere. Una delle cose che ho imparato qui negli USA, essendo affiliato e coinvolto negli Yankees, nei Red Sox, e in altre cose, è che tutti pensano che devi vincere una World Series o un Super Bowl ogni anno. Ma io non credo sia questo il caso, io penso che questo è il bello dello sport. Questo è il motivo per cui lo sport attrae. Ad esempio i Dodgers sono stati eliminati dopo una stagione da 111 vittorie. Questo è il bello dello sport. Quello che devi fare è schierare sul campo un prodotto avvincente in maniera consistente ogni anno. In serie A, il Milan ha vinto lo scudetto lo scorso anno e le aspettative ora sono sul fatto che dobbiamo assicurarci di vincerlo di nuovo, ma poi c’è la Champions League, dopo c’è il ridurre il gap tra la Serie A e la Premier. Quindi ci sono un sacco di diversi scalini e questi arrivano ben prima di costruire nuove infrastrutture“.
Poi viene chiesto a Gerry cosa ne pensa del fatto che acquistare un grande club può avere più rischi e che molti ricchi lo fanno solo perchè quei club sono in vendita ma senza una chiara visione di ciò che fanno.
“L’approccio è sempre uguale per tutte le squadre. Se ti concentri sul migliorare la capacità di analisi dei dati, un rinnovamento dello stadio e in generale delle infrastrutture, marketing, sponsor, voglio dire, il nostro modo di fare è sempre stato quello di entrare in partnership con le squadre (anche prima che ne diventassimo proprietari) e con le leghe, per fare affari con loro. Dove loro contribuivano con i diritti della squadra nel lungo periodo, e dove noi contribuivamo mettendo capitale e capacità operative, abbiamo costruito YES Network, On Location, Legends, e cose così. Quel modello lo possiamo portare qui unito al modello delle multiproprietà e tagliare fuori tutti gli intermediari. Voglio dire, sono sempre stato dell’idea (e torno al concetto di proprietà intellettuale) che loro (i club) dovrebbero essere proprietari della monetizzazione di quella proprietà intellettuale in maniera integrata e verticale. Perché esternalizzare l’essere proprietario dei tuoi clienti? Che in questo caso corrispondono ai tifosi. Lo possiamo fare direttamente noi. Questo è quello che abbiamo fatto in passato e penso che la cosa dei multi-club è interessante perché possiamo fare tutto questo per diversi club e in più avere anche dei vantaggi strategici in termini di sviluppo dei giocatori. C’è una sinergia che puoi sfruttare per co-gestire lo sviluppo dei giocatori fuori dal campo da aggiungere a quello che già fai sul campo di gioco. E’ qualcosa di teorico ma penso ci possa essere una logica industriale in questo tipo di collaborazione nel co-gestire lo sviluppo di giocatori tra diversi management, tra diversi club di cui sei proprietario“.
A questo punto il discorso si sposta sul concetto di uscita dagli investimenti. Quindi su quando sia il momento opportuno per vendere un asset in cui si è investito.
“Guarda per esempio al Milan, Elliott ha fatto davvero un ottimo lavoro nei 4 anni in cui è stata azionista di maggioranza per portare il club a un punto in cui potessero passare a noi il testimone. Tanto che ho deciso, perché ho pensato ci fosse un vantaggio nella continuità del progetto, di tenerli coinvolti in qualche modo. C’è la possibilità di monetizzare e restare coinvolto, c’è la possibilità, se ti affidi alla mia conoscenza dei flussi di cassa, di recuperare i tuoi capitali e ottenere un ritorno senza necessariamente vendere. Oppure ci si può affidare allo squilibrio del mercato circa la domanda-offerta, a causa del concetto di scarcity value che hanno tutte queste squadre. Per questo è facilissimo venderle. Hai ovviamente una responsabilità, che era implicita nella tua domanda, se vendi il club e agisci da private equity tradizionale, hai la responsabilità che devi assicurarti di lasciare nelle mani giuste; devi tenerlo sempre in mente. Ma non mi preoccupo dell’uscita dall’investimento perché se lavoriamo bene l’uscita in qualche modo si trova. Non investo pensando “ma poi come ne esco?”. Penso che se facciamo il nostro lavoro si creeranno molte opportunità. Una cosa che stiamo vedendo e una cosa per la quale la gente come noi si sta facendo coinvolgere nel calcio europeo, è che non ci sono restrizioni sulle proprietà delle squadre. E’ molto difficile per noi fare le cose che vogliamo fare negli USA perché laggiù ci sono restrizioni di altro tipo”.
L’intervistatore quindi afferma se Gerry si riferisce alle restrizioni sul debito nelle leghe americane. Cardinale quindi prosegue:
“Si, devi avere un patrimonio di decine di miliardi di dollari per comprare una squadra di NFL. La cosa interessante riguardo il mercato delle M&A negli sport americani è che nessuna delle aste che abbiamo vinto per comprare quei club è stata molto grande. E c’è un motivo: esistono regole sulle proprietà. Per me è ok, è un mercato molto sofisticato e queste restrizioni ci possono stare. Una delle cose che sarà decisiva in questa crescita lineare di valore delle franchigie americane è che credo che la maggior parte delle persone della Silicon Valley non ha un grosso desiderio di diventare proprietari di squadre sportive americane. Al massimo hanno quote, piccoli pacchetti azionari. In Europa è molto diverso, c’è un mercato più libero però nel pacchetto hai pure retrocessioni e mercato dei trasferimenti. Per questo non mi stupisco del tipo di proprietà che stiamo vedendo, con sovrani di stati e con individui immensamente ricchi. Ora la domanda è: può gente come noi giocare un ruolo in quel sistema? E portare la nostra esperienza e un livello di professionalizzazione che migliori tutto l’ecosistema? Questo è il macro obiettivo finale“.
A questo punto il pubblico fa una domanda sulla Super Lega. Gerry risponde con una battuta:
“In pratica tu vuoi proprio assicurarti che io non possa più tornare in Italia. Guarda, c’è un motivo per cui è nata la SL ed è la differenza strutturale di cui ti parlavo prima tra inghilterra e resto del continente. E’ un problema reale sul quale ci si deve interrogare. Se quello è il modo giusto di risolverlo non lo so. Io vedo che accade qualcosa d’interessante a livello collettivo ma questo è un argomento molto caldo e controverso. Non fingo di avere nessuna visione al riguardo. Il mio compito però è di tenere la testa bassa e non essere coinvolto in quel livello di politica. Ma è istruttivo prendere atto delle ragioni per le quali è successo per capire ciò che dobbiamo fare. Possiamo approcciarlo da diversi punti, non necessariamente fare quello che si era pensato di fare in quel progetto“.
A questo punto l’altra persona intervistata, ossia Behdad Eghbali (di Clearlake Capital Group, nuova proprietà del Chelsea) afferma che
“il calcio avrebbe bisogno di più partite di alto livello ma queste non devono essere per forza confezionate all’interno di una Superlega. Ad esempio negli USA c’è l’All Star Game, i draft, tutto ciò genera 2-300 milioni di dollari di ricavi in due giorni tra lunedì e martedì. Qui non esiste nulla di tutto ciò. Tu non riesci a immaginare un All Star Game della Premier contro la Serie A? Riesci a immaginare delle partite pre-stagionali che portano più contenuti premium sul campo? Io penso si possa fare, considerando il pasticcio che è stato quel tentativo di creare qualcos’altro, pensi ci sia qualcuno che abbia appetito per qualcosa del genere, ossia la Superlega? Penso ce l’abbiano solo un paio di squadre in Spagna che non perdono occasione di farlo sapere. Penso che chiunque altro non voglia qualcosa del genere”.
Torna a parlare Gerry:
“Guarda, credo che le leghe non siano immuni all’evoluzione sulla quale gente come noi è concentrata, per le proprie squadre. Per questo ritengo ci sia una grande opportunità proprio con le leghe per farle evolvere insieme ai club. Parcheggiare i capitali nelle leghe, non lo so… questo non sarà un incentivo per farle evolvere. Ma la sfida per le leghe è proprio che le squadre sono diventate talmente grandi che sembra siano uscite dalle leghe. Penso quindi si debba fare un passo indietro, andare a livello delle leghe. Se si pensa alle squadre come mini-Disney, guardiamo alle leghe e pensiamo qual è la relazione tra le squadre e le leghe? Se penso agli USA chi gestisce le leghe è riuscito a fare un buon lavoro, ma aldilà degli USA, altrove credo che ormai le squadre siano più grandi delle leghe. In ogni caso, tornando alla domanda sulla Superlega, credo che ci sono delle cose, al macro livello, sulle quali persone come noi dovrebbero concentrarsi e sulle quali potremmo essere d’aiuto se potessimo impegnarci con le leghe e a guardare a queste come aziende. Questo di solito non succede peché quando arrivi al livello delle leghe è tutta politica, e credo quindi che siano delle opportunità sprecate”.
Conclusioni
Gerry Cardinale non è venuto a speculare: vuole creare valore nel Milan trasformandolo in una mini-Disney (intrattenimento a 360°) ed è consapevole che per farlo deve creare valore anche nel campionato italiano. Bisognerà trovare il chiavistello giusto per dialogare con la lega. Quindi superare lo scoglio politico da lui stesso ammesso. La prima cosa che sembra voler fare è colmare il gap dei diritti tv, inoltre è interessato ad un taglio completo degli intermediari, e per farlo punterà molto sulle multi-proprietà.
Alcuni concetti sembrano essere simili a quelli espressi da De Laurentiis, che guida il fronte delle medio-piccole: ossia trasformare la Lega in una media-company (il presidente del Napoli vorrebbe addirittura farla uscire dalla FIGC). Insomma esistono dei punti di contatto che possono essere sviluppati per cambiare qualcosa nel calcio italiano. L’idea di un All Star Game a livello locale e anche europeo può essere un’alternativa alla Superlega, che a Gerry non scalda ma che vuole sviluppare in modo diverso perché bisogna trovare un modo per colmare il gap tra la Premier e gli altri campionati.
Quel che è certo è che Cardinale non resterà fermo a guardare: come ha detto bisogna smuovere le acque, perché è l’unico modo per cambiare qualcosa.
Avv. Felice Raimondo.