Il Fair Play Finanziario si prepara ad un radicale cambiamento. Ad annunciarlo è Andrea Traverso, direttore della ricerca e stabilità finanziaria. Ecco le sue parole: “Il Covid-19 ha generato una crisi dei ricavi e ha avuto un grande impatto sulla liquidità dei club. Questa è una crisi molto diversa da qualsiasi cosa abbiamo dovuto affrontare prima. In una situazione del genere ovviamente i club stanno lottando; hanno difficoltà a rispettare i loro obblighi. Penso che in generale le regole debbano sempre evolversi. Devono adattarsi al contesto in cui operano i club. La regola del pareggio di bilancio (break-even), il modo in cui funziona ora guarda indietro: esegue una valutazione di una situazione nel passato. La pandemia rappresenta un cambiamento così brusco che guardare al passato sta diventando inutile. Quindi forse le regole dovrebbero concentrarsi maggiormente sul presente e sul futuro e dovrebbero sicuramente concentrarsi maggiormente sulle sfide degli stipendi elevati e del mercato dei trasferimenti. La soluzione a questo problema non è facile. Quelli che dicono che le regole saranno abbandonate o allentate stanno solo speculando. Le regole possono essere diverse sicuramente, ma questo non significa necessariamente che le regole saranno meno rigorose. Al contrario, quando si verificano situazioni gravi, spesso si richiedono misure più forti”.
L’annuncio è dirompente perché il Covid-19, a parere dello scrivente, non ha fatto nient’altro che accelerare un processo che in realtà doveva avvenire già da molto tempo ma che, invece, è rimasto incompiuto. E basta leggere le parole di Oliver Kahn, dirigente del Bayer Monaco, per capirne il motivo: “Il FFP deve essere mantenuto e, anzi, va applicato in modo ancora più rigoroso e severo”. Chiaramente il buon Oliver guarda all’orticello di casa sua, così come gli altri top club. Tutto può essere riassunto in due parole: status quo.
Nel corso degli anni, infatti, il FFP avrà pure ridotto i debiti delle società ma senz’altro non ha favorito una diversificazione nel palmares dei vincitori perché chi voleva investire per tornare al top veniva bloccato dall’infausta regola del Break Even Point, ossia il pareggio di bilancio. Quindi i ricchi premi UEFA ed i trofei sono stati appannaggio dei soliti clubs, che sono diventati sempre più ricchi a discapito di tutti gli altri.
Una distorsione evidente fin dagli albori del FFP, ma che – forse consapevolmente – è stata ignorata da chi lo ha ideato.
Il gattopardo: tutto deve cambiare affinché nulla cambi.
Il titolo è provocatorio perché l’auspicio è che non accada tutto ciò. Tuttavia una vera riforma del FFP dovrebbe essere ben lontana dagli attuali centri di potere. Quindi le squadre che negli ultimi anni si sono ingozzate di premi UEFA dovrebbero essere le ultime a trarre beneficio da un rinnovamento delle regole finanziarie calcistiche. In caso contrario, appunto, ci troveremmo di fronte ad un rinnovamento gattopardesco.
Ma in che modo può cambiare il FFP? Beh, il Dott. Traverso è stato molto chiaro sul punto: il BEP verrà abolito. Ed è anche logico visto che in periodo di pandemia nessuno può rispettare la regola del pareggio di bilancio. La necessità più impellente, a mio modo di vedere, è consentire a chi ne ha la possibilità di immettere denaro fresco nel sistema. Ed impedire a chi fa parte del sistema di far uscire quel denaro (procuratori).
Ciò detto, dato che la crisi sanitaria ha ucciso i bilanci dei club, continuare a infilare il coltello nella piaga del Conto Economico sarebbe quanto mai inopportuno. Infatti nel corso di una crisi senza precedenti non puoi fare le pulci alla gestione economica di società che si trovano in grave difficoltà. Con quale faccia puoi avanzare pretese circa limiti di spesa se le imprese calcistiche non riescono a generare ricavi sufficienti a coprire i costi pre-covid?
Il problema è sistemico/traversale e riguarda la difficoltà di generare entrate, dunque prima di limitare le spese bisogna dare la possibilità di aumentare i ricavi. Ma in che modo se gli stadi sono chiusi e gli sponsor pagano di meno? Semplice: bisogna consentire all’azionista di riferimento (proprietario) di garantire di tasca propria gli investimenti necessari al rilancio dell’azienda.
Il calcio odierno ha bisogno di una scarica di adrenalina che deve inevitabilmente provenire dall’esterno di questo mondo. Ancora meglio: pensate ad una trasfusione di sangue. La UEFA deve consentire che gli azionisti aiutino i malati in difficoltà. Logicamente, però, così come nessuno può donare sangue infetto, allo stesso modo i proprietari devono garantire in modo certo di poter far fronte ai propri impegni finanziari. Dunque chi vuole iniettare 300 milioni sotto forma di aumenti di capitale nel giro dei successivi tre anni, deve poter dimostrare di esserne in grado. Come dite? Voluntary Agreement? Si, qualcosa di molto simile.
Quindi nessun tetto alle spese, come “salary cup” o “ammortamenti cup” (per i cartellini). Semmai il contrario: consentire di espandere i propri investimenti aumentando anche il proprio debito che deve essere mantenuto sotto controllo. Un “debito sano”, solvibile e che è necessario per fare in modo che nel sistema torni a circolare denaro.
Siccome però anche nella crisi c’è chi sta peggio e chi sta meglio, è opportuno che la UEFA adatti la portata di questi accordi espansivi (Voluntary Agreement) in base al ranking UEFA. Dunque, in modo altrettanto semplice, consentire a chi si trova al 53° posto del ranking (AC Milan) di poter stendere un piano di rilancio pari a 300M. Mentre limitare questo piano di rilancio a soli 100M (esempio) per chi si trova nei primi 10 posti del ranking UEFA. Questo con la solita scusa: se vuoi partecipare alle mie competizioni devi fare così. In questo modo la ricchezza oligarchicamente appropriata dai club che conosciamo tutti, verrebbe ridistribuita in modo molto più equo. Infatti se quei top club volessero impostare un piano di rilancio maggiore del limite concesso dalla UEFA, avrebbero due possibilità: vendere qualcuno dei loro giocatori ai club in fondo alla classifica del ranking, oppure pagare una costosa “luxury tax” che gli consenta di continuare a spendere oltre i limiti ed i cui proventi verrebbero distribuiti sotto forma di premi tra i club meno vincenti negli ultimi anni.
Un meccanismo non dissimile dal draft NBA, ma che si adatta ai principi economici ed alle competizioni calcistiche europee. Dunque un regolamento che ai piani alti privilegi prima di tutto la competenza, mentre ai piani bassi soprattutto gli investimenti. Questo sistema dovrebbe soppiantare stabilmente il FFP e concentrarsi, dunque, sulla solvibilità dei proprietari, tollerando quel “debito buono” che viene generato per consentire a chi si trova in fondo di competere con chi si trova davanti. Il grimaldello è già presente nel regolamento FFP, ma è stato deliberatamente ignorato fin dalla sua nascita e si chiama Voluntary Agreement: la UEFA gli cambi pure nome, ma si decida finalmente ad utilizzarlo.
Ed i procuratori? Beh, anche questo problema è risolvibile. Basta farsi girare il cervello e, soprattutto, avere una reale volontà di fermare questa emorragia di denaro che esce dal sistema calcio. Le commissioni, infatti, rappresentano una legittima pretesa per un’attività lavorativa ma, se le cifre aumentano a dismisura, allora bisogna porre un freno. E dato che la commissione, come ogni altra attività, esiste perché qualcuno la chiede e qualcun altro la paga, bisogna interrompere questo meccanismo in entrambi i versi.
Se tuttavia la competenza a limitare le commissioni spetta alla FIFA, la UEFA può certamente scoraggiarne il pagamento in questo modo: tutti quei club che pagano più di tot commissioni agli agenti, riceveranno meno premi dalla UEFA. Quindi vuoi dare 20M a quel famoso procuratore affinché convinca il suo assistito a giocare per te? No problem: riceverai 20M in meno dalla UEFA sotto forma di premi. Attenzione: stessa cosa dicasi per i premi alla firma pagati direttamente ai giocatori. Infatti gli agenti potrebbero far pagare le loro commissioni direttamente ai giocatori e aggirare l’ostacolo. Ma se la UEFA impostasse questa sanzione sia nel caso di commissioni che di premi alla firma, il problema sarebbe in gran parte risolto perché non esisterebbero altri modi “trasparenti” per pagare una commissione. A quel punto la FIFA dovrebbe soltanto formalizzare il tetto e la pratica sarebbe chiusa.
Ebbene, se tutto ciò lo ha pensato chi ha scritto questo articolo… è mai possibile che nessuno della UEFA o della FIFA ci possa arrivare? C’è dunque una reale volontà di fermare questa folle rincorsa alle pretese di agenti che indirizzano surrettiziamente il mercato dei trasferimenti? C’è davvero voglia di salvare il sistema calcio? Ai posteri l’ardua sentenza.
Avv. Felice Raimondo.