Come riporta l’edizione odierna del Corriere della Sera, il Ministero dei Beni Culturali starebbe pensando di porre un vincolo storico-culturale sul vecchio stadio di San Siro. Ma quali sono le norme che impedirebbero, di fatto, la costruzione del nuovo impianto?
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La normativa di riferimento è il D.Lgs. 42/2004 che disciplina anche i beni culturali “per riferimento” o “testimonianza identitaria”.
Ai sensi dell’art. 10, comma 3, lettera D, della predetta normativa, sono beni culturali “per riferimento” o “testimonianza identitaria” « le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte, della scienza, della tecnica, dell’industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose».
In altri termini si tratta di beni che non possiedono una importanza artistica intrinseca ma, grazie al collegamento con il contesto in cui sono vissuti, possiedono una importanza storica essendo, altresì, testimoni di particolari eventi che hanno lasciato una impronta indelebile nella memoria delle persone. Chiaramente San Siro rientrerebbe in questa definizione. Infatti il vecchio impianto è stato teatro di incontri sportivi di portata storica e, dunque, anche se artisticamente o monumentalmente (come già detto dalla Soprintendenza) non possiede particolari connotati, dal punto di vista storico e culturale, invece, tali qualità sono incontestabili.
Il problema è che, nel momento in cui il Ministero dovesse dichiarare tale vincolo per “per riferimento” o “testimonianza identitaria”, ai sensi dell’art. 54, comma I, lett. d-bis) della medesima normativa, il vecchio impianto diventerebbe vendibile solamente al venire meno dell’interesse culturale.
Ciò vorrebbe dire che San Siro soggiacerebbe al vincolo della inalienabilità assoluta ed il Comune non potrebbe disfarsene o demolirlo. Ovviamente una interpretazione restrittiva di tale normativa impedirebbe anche una demolizione parziale, così come vorrebbero i due club. In tal caso, l’unica possibilità sarebbe quella di costruire uno stadio accanto al vecchio, che però dovrebbe restare completamente in piedi. L’alternativa sarebbe quella di ristrutturare San Siro oppure costruire il nuovo impianto in una zona completamente nuova e più decentrata.
L’impressione è che, purtroppo, la strada verso il nuovo impianto potrebbe risultare più complicata di quanto si immaginava. Con conseguenze abbastanza evidenti sulle tempistiche e, lato Milan, sulla eventuale cessione societaria.
UPDATE DEL 12 SETTEMBRE 2020
La nuova normativa – che casca a fagiolo – svuota di potere le Soprintendenze, roccaforti che troppo spesso mettevano i bastoni tra le ruote. Adesso ad esprimersi sull’eventuale vincolo storico sarà esclusivamente il Ministero dei Beni Culturali e dovrà farlo entro 90 giorni.
La novità sta nel fatto che il MIBACT dovrà stabilire quali sono gli elementi strutturali, architettonici o visuali di cui sia strettamente necessaria a fini testimoniali la conservazione. Quest’ultima, però, potrà avvenire anche in forma diversa o distaccata da quella originaria. Inoltre l’esigenza di preservare il valore testimoniale dell’impianto è diventata assolutamente recessiva rispetto all’esigenza di garantire la funzionalità dell’impianto medesimo. In altri termini l’importante è che lo stadio sia funzionale. Se per farlo bisogna abbattere, amen.
Ergo l’attuale progetto potrebbe essere già conforme alla normativa perché, se il MIBACT chiederà di mantenere alcune parti iconiche del vecchio stadio e/o riprodurne alcune altrove (travi rosse), tutto ciò sarà stato già fatto. Quindi anche questo problema, salvo nuove sorprese, dovrebbe essere superato.
Avv. Felice Raimondo
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