Accanto al più diffuso danno da “mobbing”, la giurisprudenza ha introdotto un’altra tipologia di danno, meglio conosciuto come “straining” che si differenzia dal primo perché sostanzialmente è molto più semplice da provare giacché ricondotto ad una quantità di condotte illecite anche sporadiche.
Il mobbing, infatti, si riferisce a tutte quelle condotte di tipo vessatorio che siano reiterate e durature nel tempo (individuali o collettive) indirizzate nei confronti del lavoratore da parte di un suo superiore gerarchico (mobbing verticale), di un suo collega (mobbing orizzontale), oppure di un lavoratore nei confronti del suo superiore (mobbing ascendente). Lo scopo del mobbing è quello di emarginare il lavoratore attraverso l’umiliazione o condotte che comunque ne determinino l’isolamento, al fine quindi svilirne competenze e professionalità che spesso costringono il lavoratore a rassegnare le dimissioni (obiettivo principale, ma non unico, del mobbing).
La difficoltà risiede nel quadro probatorio che il lavoratore deve ricostruire per ricevere pienamente giustizia. Infatti è necessario provare che le plurime condotte reiterate nel tempo fanno parte di un disegno unitario di tipo persecutorio volto a vessare e mortificare il lavoratore. Quest’ultimo, inoltre, deve dimostrare che il mobbing ha cagionato un danno alla sua integrità psico-fisica.
Lo straining,
invece, può essere considerato come una sorta di mobbing attenuato che
ha l’indubbio vantaggio di avere un carico probatorio più sopportabile
per il lavoratore. La complessità del mobbing, infatti, sta proprio nel
ricostruire l’unitarietà nel tempo del disegno persecutorio, cosa che
invece è assente nello straining. Quest’ultimo può perpetrarsi
anche in assenza di plurime condotte vessatorie legate dal vincolo del
disegno persecutorio. Lo scopo ovviamente è lo stesso, ossia determinare
l’emarginazione, l’umiliazione o la mortificazione del dipendente.
Tuttavia a differenza del mobbing queste condotte sono isolate nel tempo.
In conseguenza di ciò il dipendente è avvantaggiato nell’onere
probatorio, giacché deve limitarsi a dimostrare che le (frammentarie)
condotte vessatorie, dirette ad emarginarlo e/o umiliarlo, hanno
cagionato un danno permanente alla sua integrità psico-fisica.
Da ultimo la Cassazione Civile con sentenza n. 7844/2018 ha confermato questa tipologia di danno affermando che “appare perfettamente in linea con la giurisprudenza di legittimità in tema di “straining”, atteso che i giudici di merito hanno adeguatamente motivato sulla situazione lavorativa conflittuale di stress forzato – accresciuto dall’allontanamento del **** dalla direzione generale, nonché dall’invio di lettere di scherno diffuse in banca – in cui il lavoratore avrebbe subito azioni ostili anche se limitate nel numero e in parte distanziate nel tempo (quindi non rientranti, tout court, nei parametri del mobbing) ma tali da provocare in lui una modificazione in negativo, costante e permanente, della situazione lavorativa, atta ad incidere sul diritto alla salute, costituzionalmente tutelato, essendo il datore di lavoro tenuto ad evitare situazioni “stressogene” che diano origine ad una condizione che, per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto possa presuntivamente ricondurre a questa forma di danno anche in caso di mancata prova di un preciso intento persecutorio (sul punto, Cass. n. 3291 del 2016); che questo stress forzato, secondo la giurisprudenza di legittimità, (cfr.Cass. n. 3291 del 2016 cit.) può anche derivare, tout court, dalla costrizione della vittima a lavorare in un ambiente di lavoro ostile, per incuria e disinteresse nei confronti del suo benessere lavorativo con conseguente violazione da parte datoriale del disposto di cui all’art. 2087 cod. civ.”
Art. 2087 c.c.: L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro [Cost. 37, 41]
Sul punto un’altra recente Cassazione Civile (n. 3977/2018) ha confermato che : “lo straining altro non è se non ” una forma attenuata di mobbing nella quale non si riscontra il carattere della continuità delle azioni vessatorie..” azioni che, peraltro, ove si rivelino produttive di danno all’integrità psico-fisica del lavoratore, giustificano la pretesa risarcitoria fondata sull’art. 2087 cod. civ.;
5.3. al principio di diritto enunciato il Collegio intende dare
continuità perché dell’art. 2087 cod. civ. questa Corte ha da tempo
fornito un’interpretazione estensiva, costituzionalmente orientata al rispetto
di beni essenziali e primari quali sono il diritto alla salute, la
dignità umana e i diritti inviolabili della persona, tutelati dagli
artt. 32, 41 e 2 Cost.;
5.4. l’ambito di applicazione della norma è stato, quindi, ritenuto non
circoscritto al solo campo della prevenzione antinfortunistica in senso
stretto, perché si è evidenziato che l’obbligo posto a carico
del datore di lavoro di tutelare l’integrità psicofisica e la
personalità morale del prestatore gli impone non solo di astenersi da ogni condotta che sia finalizzata a ledere detti beni, ma anche di
impedire che nell’ambiente di lavoro si possano verificare situazioni
idonee a mettere in pericolo la salute e la dignità della persona;
5.5. la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 cod.
civ. sorge, pertanto, ogniqualvolta l’evento dannoso sia eziologicamente
riconducibile ad un comportamento colposo, ossia o all’inadempimento di
specifici obblighi legali o contrattuali imposti o al mancato
rispetto dei principi generali di correttezza e buona fede, che devono
costantemente essere osservati anche nell’esercizio dei diritti”