Lo studio legale Raimondo veniva contattato da un cliente che avrebbe dovuto firmare un contratto di distribuzione con una società. Nello specifico, si trattava di una opera prima prodotta in forma indipendente e la problematica riguardava lo sfruttamento economico della pellicola.
La legge sul diritto d’autore è stata creata in Italia nel 1941, addirittura 7 anni prima della Costituzione. Nel corso degli anni ha subito diverse modifiche, ma la parte che riguarda lo sfruttamento economico del diritto d’autore, ossia gli articoli che vanno dal 12 al 19 della Legge n. 633 del 1941, ha subito soltanto tre interventi legislativi. Quindi dal 1941 ad oggi è rimasta pressappoco la stessa.
Questi articoli rappresentano la fonte del guadagno di chi ha inventato l’opera e sono indipendenti tra loro. Nel caso del cinema, per le grandi produzioni l’autore del film solitamente coincide con il regista o sceneggiatore che, per rendere “viva” la sua idea, deve prendere accordi con il produttore (trasforma l’idea in realtà) e distributore (veicola il prodotto finito e lo pubblicizza).
La nostra legge prevede che i diritti di sfruttamento economico, ossia gli articoli 12-19 della Legge sul diritto d’autore, spettano all’autore dell’opera ma che qualora quest’ultimo debba servirsi forzosamente di un produttore, a quest’ultimo spetterà in cambio ex lege (rectius=automaticamente) anche l’esercizio dei diritti di utilizzazione economica dell’opera (art. 45).
In buona sostanza l’autore ne rimane il proprietario ma deve concedere “qualcosa” al produttore, e in questo senso regista e produttore stipulano spesso accordi nei quali il regista cede in licenza (quindi senza privarsi della titolarità) lo sfruttamento dei diritti della sua opera in cambio di un compenso, ossia le c.d. royalties. Parallelamente, poi, si stipulano accordi anche per la distribuzione.
Nel caso in esame il film risultava prodotto dal cliente, quindi quest’ultimo racchiudeva sia la figura di autore che quella di produttore. E’ il tipico esempio delle produzioni indipendenti dove i registi scommettono ed investono su loro stessi. In tal caso, il regista mantiene sia la titolarità che l’esercizio dei diritti di sfruttamento economico dell’opera che ha inventato.
L’unica privazione tra questi diritti è quella relativa alla distribuzione (art. 17) in favore della società che intende veicolare la pellicola. Tuttavia, dopo un’attenta analisi della documentazione, lo studio legale Raimondo notava che nell’accordo di distribuzione era presente anche una esplicita richiesta di cessione dei diritti di sfruttamento economico perché, a detta della società, questa richiesta era stata fatta a loro volta dalle televisioni.
Premesso ciò, il cliente veniva informato dallo studio Raimondo che cedendo TUTTI i diritti di sfruttamento economico (gli artt. 12-19 prima citati) praticamente si sarebbe privato della possibilità di guadagnare col film al di fuori del contratto che avrebbe stipulato con la società di distribuzione. Ma la cosa più sconcertante è che nel contratto allegato alla proposta contrattuale, la società avrebbe ceduto in licenza i diritti dell’opera del cliente ad un primario player nazionale.
Quindi la società di distribuzione avrebbe voluto acquistare i diritti economici dell’opera prima del cliente a costo zero e poi rivenderli in licenza al primario player nazionale, guadagnando le royalties che invece sarebbero spettate al produttore indipendente! In altre parole, in cambio della distribuzione e, quindi, della visibilità offerta dalla società, il cliente avrebbe dovuto rinunciare ai diritti economici della sua opera.
Un accordo capestro che, purtroppo, spesso i giovani produttori indipendenti si vedono ricevere all’inizio delle proprie carriere. Tuttavia, il cliente dello studio, dopo aver valutato pro e contro, decideva di non firmare il contratto e di distribuire il film con un’altra società che, invece, successivamente proponeva condizioni contrattuali soddisfacenti e non lesive dei diritti di sfruttamento economico.
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