Lo studio legale Raimondo, da sempre impegnato nel rispetto dei precetti deontologici forensi, ha affrontato il caso riguardante un avvocato molisano accusato da un COA abruzzese di essersi procacciato illegittimamente della clientela a mezzo di un articolo online inviato a una testata giornalistica locale, unitamente ad altre contestazioni quali la mancata comunicazione dello studio secondario (fuori circondario) e la presunta gratuità dell’attività legale svolta.
Nel corso del procedimento disciplinare, il Consiglio Distrettuale riteneva di non procedere circa le contestazioni riguardanti la mancata comunicazione dello studio secondario e la presunta gratuità dell’attività legale svolta, provvedendo a formalizzare soltanto il capo d’accusa relativo all’art. 37, commi 1, 4 e 5 del Codice Deontologico Forense: “per aver posto in essere idonee attività finalizzate all’accaparramento di clientela in modo non conforme a correttezza e decoro, offrendo prestazioni professionali attraverso un giornale on line, ad una categoria di persone potenzialmente interessate ad intraprendere azioni giudiziarie riguardanti una specifica tipologia di controversie; fatto di particolare gravità per le modalità attuate, idonee a raggiungere un consistente numero di potenziali utenti”.
Lo studio legale Raimondo illustrava chiaramente le motivazioni poste alla base dell’articolo e questa tesi veniva accolta dalla Sezione Giudicante del Consiglio Distrettuale di Disciplina.
Quest’ultima affermava che dagli atti del procedimento, e segnatamente dagli scritti difensivi, risultava con appagante certezza la non responsabilità dell’incolpato.
Sottolinea il CDD come “una testata giornalistica non può di certo essere equiparata ad un’agenzia o ad un procacciatore, e aver informato un giornale on-line di un “case-study” dalla rilevanza pubblica non può essere considerata un’attività con cui procacciarsi clientela con modi non conformi al nostro codice deontologico.
Orbene, l’articolo in questione rappresentava una semplice informazione che riguardava un caso affrontato dallo studio legale, non era un’offerta commerciale di prestazioni professionali ad un indeterminato pubblico, ad un’attenta lettura dello stesso non esistono parole o frasi che possano lasciare ipotizzare una specifica volontà di accaparrarsi la clientela in modo suggestivo. E’ stato spiegato che l’analisi gratuita del titolo cartaceo non si riferiva ad una consulenza globale e organica, ma indicava la volontà di esaminare la presenza della doppia stampigliatura così come emerso nella parte centrale dell’articolo, tale operazione richiede pochi secondi motivo per cui non si è tenuti a richiedere un compenso per un’operazione materiale che non produce nessuna convenienza economica.
Ritiene il Collegio che le motivazioni addotte dall’incolpato possono ritenersi giustificative di un comportamento che certamente non denota alcun illecito disciplinare”.
A seguito dell’evoluzione normativa, ricorda il CDD, ormai l’avvocato può fornire informazioni sulla propria attività professionale in quanto ciò è permesso con qualunque mezzo come specificato dall’art. 17 del CDF, purché ciò sia fatto nel rispetto dei limiti della trasparenza, verità, correttezza e purché l’informazione stessa non sia comparativa, ingannevole, denigratoria o suggestiva, di conseguenza, non può più considerarsi contrario al decoro ed alla correttezza un’informazione che contenga gli elementi anzidetti (CNF, sent. 28.12.2017, n. 243).
Il Consiglio Nazionale Forense con proprio parere del 2011 ha chiarito come internet possa essere considerato uno strumento senz’altro idoneo all’effettuazione di comunicazioni al pubblico e financo alla trasmissione di consulenze o pareri.
L’avvocato ha, dunque, libertà di espressione e comunicazione con i limiti della correttezza della stessa informazione e il rispetto di criteri di trasparenza e veridicità, cosa già in precedenza puntualizzata dal CNF, nel 2002, può infatti essere divulgato un articolo di stampa del sito internet di uno studio legale in cui vengono illustrate le modalità di utilizzo del collegamento e si faccia comunque riferimento ad un eventuale incarico fiduciario che potrà essere affidato al professionista titolare.
Pertanto, conclude il CDD, nessuna sanzione può essere inflitta all’incolpato, con deliberazione di non esservi luogo a provvedimento disciplinare. Formula, questa, che nel processo penale viene utilizzata dal giudice dell’udienza preliminare quando il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso.
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