Prendo in prestito questo titolo dal mio amico Pietro Balzano Prota, per censurare quanto sta accadendo nel massimo campionato calcistico italiano.
Riavvolgiamo i nastri: dopo l’arrivo in Italia del COVID-19, il paese resta paralizzato. Il calcio, che rappresenta una delle principali industrie/business del vecchio stivale, cerca di andare avanti posticipando la conclusione del campionato 2019/2020. Scelta inevitabile, adottata anche da altre nazioni. Il carrozzone però non può fermarsi ulteriormente, a meno di non rischiare un default collettivo, ed allora FIGC e Governo stabiliscono delle regole per consentire il regolare svolgimento del campionato.
Il Ministero della Salute dirama una “circolare” e il Governo firma un protocollo con la FIGC, che tutte le squadre affiliate sono obbligate a rispettare… o meglio sarebbero obbligate.
Perché il condizionale? Il motivo è molto semplice: a norma dell’art. 32 Cost., la salute è un diritto tutelato dalla Repubblica, ossia dallo Stato che tuttavia nel successivo art. 117 Cost. inserisce la tutela della salute tra le materie a legislazione concorrente. Cosa vuol dire? Ce lo dice la stessa Costituzione: “Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”.
Senza addentrarci in ostici tecnicismi, è possibile affermare che lo Stato deve creare la cornice, mentre le Regioni devono pensare ai contenuti del dipinto/salute. Una competenza quindi che, di base, non è indifferente e che – dato che si riverbera anche sulla fiscalità e sulle spese da reinvestire sul territorio – spiega anche il motivo per cui in Molise ci si cura in un modo ed in Lombardia in un altro modo.
Ciò posto, viviamo da mesi in uno stato di assoluta emergenza sanitaria. Quindi una realtà completamente nuova. Sul punto la Corte Costituzionale ha affermato che “deve riservarsi allo Stato «il compito di qualificare come obbligatorio un determinato trattamento sanitario, sulla base dei dati e delle conoscenze medico-scientifiche disponibili» (sentenza n. 5 del 2018; analogamente sentenza n. 169 del 2017), sia perché attinente alla riserva di legge statale in materia di trattamenti sanitari di cui all’art. 32 Cost., riserva che, a sua volta, è connessa al principio di eguaglianza previsto dall’art. 3 Cost.” (sent. n. 137/2019).
Dunque, com’è logico che sia, malgrado il succitato federalismo, in periodo di pandemia lo Stato può e deve dettare le regole del gioco. Le Regioni, così come i Dipartimenti Sanitari competenti per territorio, a tutti gli effetti ramificazioni dello Stato, devono adeguarsi.
Su questi presupposti, come detto in apertura, è stato stipulato un protocollo tra FIGC e Governo, a cui in teoria le ASL avrebbero dovuto conformarsi. Già, in teoria. Ecco infatti quanto sosteneva la Lega Calcio in riferimento al caso Juve-Napoli:
“In relazione alla comunicazione formale ricevuta dalla SS Napoli Calcio la Lega Serie A chiarisce che il sistema di regole in vigore deve garantire massima tutela della salute per le persone coinvolte, parità di trattamento tra i vari club, nonché rispetto dei principi di lealtà sportiva. Nel merito è opportuno ricordare che la nota della ASL campana si è limitata a notificare il provvedimento ordinario di isolamento fiduciario nei confronti dei contatti stretti del giocatore Zielinski. Nel caso di specie, invece, si applica il Protocollo Figc concordato con il CTS e integrato dalla Circolare del Ministero della Salute lo scorso 18 giugno, che recepisce il parere del CTS n. 1220 del 12 giugno 2020, che non è stato tenuto in considerazione neanche nella mail del vice capogabinetto del Presidente della Regione Campania. Tale norma di ordinamento statale a carattere speciale, applicabile alla situazione del Napoli che presenta due calciatori positivi al covid-19, è la stessa utilizzata più volte nel corso della stagione per permettere, a puro titolo di esempio, al Torino di affrontare l’Atalanta, al Milan di recarsi a Crotone o al Genoa di andare a giocare al San Paolo, e oggi all’Atalanta di scendere in campo contro il Cagliari. Il protocollo prevede regole certe e non derogabili, che consentono la disputa delle partite di campionato pur in caso di positività, schierando i calciatori risultati negativi agli esami effettuati e refertati nei tempi previsti dalle autorità sanitarie. Il Consiglio di Lega ha inoltre approvato un preciso regolamento da adottarsi in caso di positività plurime che possono portare al rinvio gare solo al verificarsi di determinate condizioni che, al momento, non si applicano al caso del Napoli, e non sussistono provvedimenti di Autorità Statali o locali che impediscano il regolare svolgimento della partita. La “ratio” del protocollo resta, quindi, quella di consentire la disputa di tutte le partite e conseguentemente la conclusione regolare della Serie A TIM”.
La Lega Calcio chiarisce che il Protocollo FIGC-Governo rappresenta una norma statale a carattere speciale. In altri termini lex specialis derogat generali e quindi il Protocollo si trova in una posizione “più forte” rispetto alle prescrizioni dell’ASL. Ergo per la Lega Calcio l’autorità sanitaria non può impedire ad una intera squadra di partecipare ad una gara perché il Governo e la FIGC hanno pattuito regole speciali proprio per sopperire all’emergenza epidemiologica e consentire il regolare svolgimento del campionato. Ovvero ai calciatori si applicano regole diverse rispetto ai normali cittadini. In caso contrario il campionato non potrebbe svolgersi regolarmente.
A supporto di quanto detto fino ad ora, peraltro, vi è la circolare del Ministero della Salute n. 0021463 del 18/06/2020, che disciplina le modalità attuative della quarantena per i contatti stretti dei casi COVID-19, in particolari contesti di riferimento, quali l’attività agonistica di squadra professionista. Per quanto riguarda l’attività sportiva, il protocollo da seguire è chiaro.
La circolare del 2020 (link) afferma che l’operatore di sanità pubblica del Dipartimento di Prevenzione territorialmente competente (ASL), in presenza di un caso positivo, può adottare due tipologie di comportamenti. Il primo di questi, com’è possibile leggere, si applica nei confronti dei “contatti stretti” e prevede la quarantena di 14 giorni, nonché la comunicazione al Medico di Medicina Generale o al Pediatra. Dunque è palese che si rivolga ai contatti stretti che non siano individuabili tra i calciatori (es. parenti, figli, amici) a meno che non si ritenga che un giocatore adulto professionista venga ancora seguito dal Pediatra.
Il secondo comportamento da adottare, invece, riguarda esplicitamente l’attività agonistica di squadra professionista.
Insomma il comportamento da seguire appare chiaro: in caso di positività di un giocatore va creata la bolla, il giorno della partita va effettuato un altro giro di tamponi in prossimità della gara, quindi i giocatori negativi possono scendere in campo. Infine, al termine della gara, si prosegue la quarantena nella bolla. Tutte le squadre, infatti, consapevoli di ciò, hanno adottato questo comportamento e nessuna ha chiesto lumi all’ASL.
Qualcuno, tuttavia, puntava l’indice sul comunicato n. 51/2020 della Lega che citava una frase sibillina: “…fatti salvi eventuali provvedimenti delle Autorità statali o locali…”
Sebbene quella frase possa creare qualche interpretazione ambigua, appare logico che, alla luce del protocollo – che come detto supera le regole per i normali cittadini – l’espressione “…fatti salvi eventuali provvedimenti delle Autorità statali o locali…” non può che riferirsi agli ordini dell’autorità che si conformino ad un eventuale protocollo revisionato, o verosimilmente a situazioni del tutto imprevedibili e non conoscibili a priori. Ma è naturale che, invece, normali casi di positività vadano trattati nel rispetto di quanto sancito dal Ministero della Salute.
Successivamente il Protocollo è stato revisionato in conformità a quello UEFA, ma il concetto di fondo è rimasto lo stesso: di base si deve giocare in presenza di tot giocatori disponibili (13) e si può chiedere il rinvio della gara soltanto una volta (con 10 positivi) in tutta la stagione.
Tuttavia le ASL hanno fatto saltare il banco. Ed ecco che il campionato italiano di serie A si è trasformato nel campionato italiano di serie ASL.
Si, perché negli ultimi mesi è capitato che le ASL competenti per territorio bloccassero in quarantena alcune squadre, impedendo di fatto il regolare svolgimento del campionato. Questo comportamento, peraltro, è stato avallato dal Collegio di Garanzia del Coni (Link) ossia la Cassazione del mondo del calcio che, nel caso di Juve-Napoli, ha definitivamente demolito il protocollo. Una eventualità che – in base a quanto detto in questo articolo – non sarebbe mai dovuta accadere. Se infatti:
a) è stato creato un protocollo (lex specialis derogat lex generali);
b) è stata emanata una circolare Ministeriale che distingue in modo netto i casi generali da quelli adottati per gli atleti professionisti;
c) la Corte Costituzionale in maniera limpida assegna allo Stato il comando legislativo nei casi di emergenza epidemiologica;
Con queste premesse com’è possibile che le ASL blocchino il regolare svolgimento della Serie A, impedendo la disputa di alcune gare con pochi positivi (es. Juve Napoli, Inter Sassuolo) mentre in altre gare (Udinese Parma) o nei bassifondi (Casertana Viterbese, Palermo Catania) è stato consentito lo svolgimento delle gare malgrado i tantissimi positivi?
Esistono per caso focolai di serie A e focolai di serie D? Esiste per caso una tutela della salute più incisiva in alcuni campionati rispetto ad altri? O forse esiste una tutela della salute più incisiva nei confronti di alcune squadre rispetto ad altre? Venendo al sodo: alla luce di queste inspiegabili differenze applicative, chi ha seguito il protocollo è stato un fesso?
Domande più che legittime, perché il carrozzone doveva andare avanti per ovvi motivi. Ma non doveva andare avanti a tutti i costi e soprattutto in spregio di norme chiare e protocolli firmati. Certo, l’azione di Governo poteva e doveva essere più incisiva perché chi da anni è abituato a gestire il proprio orticello in tempo di pace, difficilmente accetta di mettersi da parte in tempo di guerra. Se infatti vi fosse stata realmente la volontà di far disputare il campionato con regole uguali per tutti, il federalismo sanitario avrebbe dovuto cedere il passo con regole molto più chiare ed imperative che avrebbero impedito all’ASL di turno di comportarsi esattamente come prima della pandemia. Evidentemente il protocollo e la circolare ministeriale non sono stati sufficienti a dissuadere le ASL dal comportarsi come han sempre fatto. Lo Stato, quindi, avrebbe dovuto disegnare una cornice molto più netta perché, purtroppo, a posteriori appare evidente che le regole scritte all’inizio del campionato (da FIGC e Governo) sono state considerate dalle ASL come carta straccia. Per questo motivo le norme sanitarie (oltretutto modificate in corsa) non sono state applicate a tutti allo stesso modo.
In tali condizioni qualunque risultato verrà raggiunto al termine di questa stagione, dal 1° al 20° posto, benché avallato dalla Giustizia sportiva, sarà inevitabilmente falsato perché nella competizione si è introdotto un virus che nessuno – forse consapevolmente – è stato in grado di gestire o arginare: le ASL.