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Buoni fruttiferi postali e legittimo affidamento: chiesto l’intervento delle Sezioni Unite.

1 Settembre 2018 In Diritto bancario, News
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Con l’ordinanza n. 21543/2018, la Suprema Corte di Cassazione ha deciso di rinviare alle Sezioni Unite una questione attinente una problematica che potrebbe generare ricorsi “seriali” e che dunque è da considerare come questione di massima di particolare importanza ai sensi dell’art. 374, comma 1, cod. proc. civ.

Il caso di specie riguarda l’emissione di un buono fruttifero postale del 1983, serie O, per il quale Poste Italiane liquidava un importo molto più basso di quello previsto dalle tabelle poste a tergo. Il ricorrente, quindi, attraverso l’emissione di un decreto ingiuntivo intimava a Poste Italiane la restituzione del maltolto. La resistente si opponeva al decreto ingiuntivo, ma soccombeva nel giudizio di merito, pertanto appellava la sentenza del Tribunale che, tuttavia, veniva confermata anche dinanzi alla Corte d’Appello. 

Richiamandosi in via peculiare alla autorità della pronuncia resa da questa Corte a Sezioni Unite, 8 maggio 2007 n. 13979, la Corte territoriale ha rilevato che «è ormai definitivamente chiarito che le condizioni sottoscritte dai risparmiatori non possono essere unilateralmente modificate dalle Poste e che per i B.P.F. valgono gli interessi indicati dalle Poste ai risparmiatori nel momento in cui vengono sottoscritti e non quelli previsti per legge, sicché le condizioni riportate sui titolo e prospettate al cliente prevalgono sulle disposizioni ministeriali»

Avverso tale pronuncia Poste Italiane ricorreva in Cassazione. La Suprema Corte, in particolare, sottolineava l’importanza del quarto motivo con cui il ricorrente si doleva della sentenza impugnata:  «violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto contenute nell’art. 173 TU approvato con il d.P.R. 156/1973 siccome modificato dal d.l. 460/1974 convertito dalla
legge n. 588/1974 e nel d.m. 13 giugno 1986, pubblicato sulla G.U. del 28 giugno 1986, n. 148 (artt. 6 e 4 – tabelle dei saggi di interesse ivi previste), nell’art. 7 comma 3 d.lgs. 30 luglio 1999 n. 284, nell’art. 9 commi 1 e 2 d.m. 19 dicembre 2000 e nell’art. 5 Corte di Cassazione – copia non ufficiale – comma 12 d.I.30 settembre 2003 n. 269 convertito in legge con modificazioni dall’art. 1 legge 24 novembre 2003, n. 326, nonché nell’art. 2002 cod. civ. ».

La Suprema Corte, in particolare, specifica che attualmente vi sono due distinti orientamenti e che pertanto, vista l’importanza della questione che coinvolge milioni di risparmiatori, è necessario che le Sezioni Unite dirimano il contrasto giurisprudenziale.

Così impostato, il motivo introduce il tema dell’individuazione delle  condizioni necessarie per l’applicazione ai buoni postali già emessi (quali quelli appartenenti alla serie O) della riduzione in corso di rapporto del tasso di interessi compensativo operata, sulla base della norma dell’art. 173 cod. postale, da un apposito intervento ministeriale. )

Che è tema- va subito messo in evidenza -molto vissuto, e non meno dibattuto, nell’esperienza della giurisprudenza di merito di questi ultimi anni (con riferimento non esclusivo ai buoni postali appartenenti alla serie O, per la verità, bensì esteso pure alle serie immediatamente precedenti), sul quale si registrano soluzioni contrapposte. Secondo quanto le parti del presente giudizio non hanno mancato, del resto, di rimarcare nel limite del rispettivo interesse, segnalando anche le (contrastanti) decisioni dell’Arbitrato bancario finanziario loro favorevoli.
Non risultano, invece, precedenti propriamente in termini nella
giurisprudenza di questa Corte.
La pronuncia delle Sezioni Unite n. 13979/2007, a cui si richiama la sentenza impugnata, in realtà riguarda specificamente – siano o meno adattabili alla fattispecie in esame i principi in essa enunciati – il caso di buoni postali emessi con l’apposizione a tergo del documento di tassi più favorevoli all’investitore di quelli all’epoca vigenti. Anche la recente pronuncia di Cass., 28 febbraio 2018 n. 4761 -essa pure ispirata ai medesimi principi enunciati dalle Sezioni Unite («secondo l’insegnamento di questa Corte il vincolo contrattuale tra emittente e sottoscrittore dei titoli è destinato a formarsi essenzialmente sulla base dei dati risultanti dai buoni volta a volta sottoscritti») – riguarda un caso in cui le indicazioni riportate sul testo del buono erano difformi da quelle previste dal decreto istitutivo della relativa serie.
L’orientamento fatto proprio dalla ricorrente Poste Italiane, sostiene che «i buoni postali fruttiferi sono regolati unicamente dalle disposizioni di legge che li riguardano, che sono pubblicate su Gazzetta Ufficiale, e sono soggetti all’applicabilità di nuove e diverse condizioni (anch’esse pubblicate su Gazzetta Ufficiale) in quanto esse sono previste dalla normativa speciale (di cui ai decreti ministeriali)».
A base di questo convincimento vengono posti, prima di ogni altra cosa, due assunti di ordine generale.
Il primo è che «i buoni postali fruttiferi costituiscono uno strumento per la raccolta del risparmio per pubblico interesse, il cui  concreto esercizio, attesante la natura pubblicistica, nonché l’originaria natura pubblicistica di Poste, viene regolato direttamente dal legislatore mediante norme imperative».

In sostanza – si afferma – i buoni postali sono destinatari di una normativa a sé stante e distinta, separata da quella del sistema generale.
L’altro rilievo discende dalla considerazione, di per se stessa oggi comunemente condivisa, che i buoni postali non sono dei titoli di credito, bensì dei semplici documenti di legittimazione di cui all’art. 2002 cod. civ. Da tale qualificazione il detto orientamento fa derivare che per i buoni postali «non rilevano le indicazioni riportate sul retro degli stessi», posto pure – si aggiunge – che essi «devono essere prodotti e quietanziati ai fini del rimborso che ne determina la relativa estinzione per capitale e interessi (art. 208 d.p.r. 256/1989)».
Dall’insieme di questi rilievi, l’orientamento in esame ricava che «la disciplina dei buoni per cui è causa non è contenuta in un contratto tra Poste e il titolare del buono, ma nelle norme di cui al d.P.R. n. 156/1973 e al d.P.R. n. 256/1989».
Sulla scorta di questa impostazione generale, si ritiene, più in particolare, che il testo dell’art. 173 comma 1 cod. postale vigente all’epoca («le variazioni del saggio di interesse dei buoni postali fruttiferi sono disposte con decreto ministeriale (omissis) da pubblicarsi sulla Gazzetta Ufficiale; esse hanno effetto per i buoni di nuova serie, emessi dalla data di entrata in vigore del decreto stesso, e possono essere estese ad una o più delle precedenti serie») rientri, senza bisogno di mediazione alcuna, nel regolamento
dell’emissione dei buoni. Sì che tale norma risulta incidere in modo
diretto sul contenuto disciplinare del contratto stipulato tra l’emittente e l’investitore, venendo a costituirne parte integrante.

A latere dello svolgimento argomentativo appena riportato,l’orientamento che stima la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale condizione sufficiente per l’applicazione della riduzione del tasso stabilita dal decreto ministeriale, ritiene di potere trovare conforto ulteriore nell’ambito della normativa che, verso la fine degli anni novanta, ha abrogato (tra le altre) la disposizione di cui all’art. 173 cod. postale.
A tale proposito assumerebbe particolare rilievo la norma dell’art. 7
d.P.R. n. 284/1999, che – nello stabilire l’abrogazione (anche) dell’art. 173 – ha prescritto che «i rapporti già in essere alla data di entrata in vigore dei decreti continuano a essere regolati dalle norme anteriori». Tale disposizione – come ha cura di sottolineare la ricorrente- è stata ribadita dall’art. 9, comma 2, d.m. 19 dicembre 2000 e, successivamente, anche dall’art. 5, comma 12, d.l. 269/2003, convertito con legge n. 326/2003.

L’orientamento che si contrappone a quello appena illustrato, e nel cui ambito si inscrive la sentenza impugnata, muove invece dalla considerazione di due diversi momenti del rapporto di investimento:quello della sottoscrizione del buono e quello inerente al tempo in cui sopravviene, nel corso del rapporto, il decreto ministeriale di riduzione dei tassi.
Ne emergono due profili distinti (che come tali vanno considerati), ma che, tuttavia, non si pongono come tra loro necessariamente alternativi.

Per il primo profilo, relativo alla costituzione del rapporto, si nota in particolare come il tenore del comma 1 dell’art. 173 cod. postale sia chiaro nell’escludere ogni eventualità di allineamento automatico dei tassi delle diverse serie e, in positivo, nell’attribuire al ministro competente un vero e proprio potere discrezionale di modifica unilaterale delle condizioni economiche dell’investimento di cui al buono; e come pure sia chiaro nel precisare i modi di esercizio di tale potere (in una con il comma 3 della disposizione; v. nel paragrafo successivo). Ciò premesso, si nota altresì che il testo letterale della norma lascia scoperto il punto della definizione dei
modi e dei termini in cui questo potere di modifica unilaterale entra a
far parte del contenuto contrattuale dell’investimento medesimo.
Più ragioni militano – secondo quest’indirizzo – nel senso di ritenere necessaria una specifica previsione di tale potere nel contesto del contratto che, nel concreto, fonda l’investimento:sì che il risparmiatore ne sia effettivamente avvertito al momento di sottoscrivere il buono e possa valutare appieno le opportunità e i rischi che lo stesso comporta.
In questa direzione si porrebbe, prima di tutto, il sistema specifico dei buoni postali, nel quale l’informazione resa al risparmiatore al momento della sottoscrizione e riportata sul retro del buono assume valore determinante, secondo quanto già affermato da questa Corte.

Nella medesima direzione sta, altresì, il sistema generale dei contratti, nel cui alveo – si sottolinea – anche l’investimento in buoni postali viene in definitiva a collocarsi. In questo sistema – si avverte l’eventualità che un contraente possa modificare unilateralmente patti e obblighi convenzionalmente assunti ha natura eccezionale (cfr. la norma dell’art. 1372, comma 1, cod. civ.): la legge che ne contempli l’astratta ammissibilità, per solito ne subordina la praticabilità in concreto alla previsione di tutele ad hoc per l’altro contraente, a cominciare da una specifica informativa in sede di formazione del rapporto (cfr. la norma dell’art. 118, comma 1, TUB).
E sempre in detta direzione si ritiene stia, soprattutto, la normativa costituzionale di tutela del risparmio, di cui all’art. 47 comma 1: una disposizione di legge che, nel consentire all’emittente di ridurre in corso di rapporto la remunerazione dell’investimento, non si curi nel contempo di far sì che l’investitore sia opportunamente avvertito di tale eventualità e dei rischi conseguenti, non tutela il risparmiatore, ponendolo anzi in posizione deteriore.
Ne segue allora – si aggiunge – che la norma dell’art. 173 cod. postale deve comunque essere interpretata e ricostruita in modo tale da risultare coerente, e non già contrastante, con l’indicato precetto costituzionale.

Tanto più che quella dell’informazione mirata sul contratto risulta essere l’unica via di tutela del risparmiatore, il sistema non prendendo in
considerazione l’eventualità di un recesso del medesimo, con liquidazione anticipata dell’investimento (con riferimento al momento dell’effettivo esercizio del potere di riduzione dei tassi).

L’altro profilo tenuto in conto dall’orientamento in parola fa riferimento alle modalità di effettivo esercizio del potere unilaterale dell’emittente.
A questo proposito, si è osservato in particolare che la norma del comma 3 dell’art. 173 cod. postale prescrive, nell’occasione del decreto di modifica peggiorativa del tasso, il compimento di una specifica attività da parte dell’emittente, come intesa a rendere disponibili al pubblico degli investitori le tabelle riportanti i nuovi tassi
(«gli interessi vengono corrisposti sulla base della tabella riportata a tergo dei buoni; tale tabella, per i titoli i cui tassi siano stati modificati dopo la loro emissione, è integrata con quella che è a disposizione dei titolari dei buoni stessi presso gli uffici postali»).
Constatata la peculiare utilità che una simile informazione possiede per la successiva gestione dell’investimento (dalla ricerca di una sua liquidazione a mezzo mercato alla previsione dei potenziali utilizzi della remunerazione in essere), si è rilevato che la norma del comma 3 appare condizionare l’applicazione del nuovo tasso alla messa a disposizione delle relative tabelle. Con la conseguenza – si è precisato – che l’emittente ha l’onere di provare di avere tempestivamente provveduto, negli uffici postali aperti al pubblico, all’effettiva messa a disposizione delle nuove tabelle.


Sulla base delle problematiche testé evidenziate, milioni di sottoscrittori di BFP sono in attesa di conoscere i principi di diritto delle Sezioni Unite che dovrebbero definitivamente risolvere l’annosa questione relativa ai BFP di metà anni ’80.


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