Con una recente decisione, la n. 6142 del 3 aprile 2020, l’Arbitrato Bancario e Finanziario ha fissato dei paletti nell’estenuante diatriba tra i risparmiatori e Poste Italiane per l’ottenimento dei maggiori interessi sui vecchi buoni fruttiferi trentennali.
Tutto prende spunto da un ricorso avviato per l’ottenimento dei maggiori interessi su due BFP: uno serie P aggiornato col timbro Q/P ed un altro serie Q senza nessun timbro. Per entrambi la richiesta è identica: l’ottenimento dei maggiori interessi in virtù della dicitura in Lire per l’ultima decade che, in basso allo sviluppo, indica “Più Lire Tot. per ogni successivo bimestre maturato fino al 31 dicembre del 30° anno solare di emissione”.
L’arbitrato bancario e finanziario, riunitosi nella sua massima espressione attraverso il Collegio di Coordinamento (che decide su questioni particolarmente controverse), da un lato ha ribadito vecchi principi, mentre dall’altro ne ha introdotti di nuovi.
I principi riguardanti i BFP serie P, aggiornati col timbro Q/P.
Per questa tipologia di BFP, il Collegio di Coordinamento ha deciso di confermare l’indirizzo precedente laddove afferma che:
La necessità di un pronuncia del Collegio di Coordinamento pare essere giustificata più che dall’esigenza di superare la “conflittualità” delle posizioni divergenti assunte dai Collegi territoriali, da quella, complementare, di verificare se la prefata pronuncia delle Sezioni Unite (Cass. Civ., Sez. Un., 11 febbraio 2019, n. 3963), puntualmente richiamata dal Collegio remittente, unitamente ad altri pronunciamenti adesivi della giurisprudenza di merito, possa essere effettivamente intesa quale elemento sintomatico tale da indurre una revisione del consolidato orientamento arbitrale (conforme alla più risalente pronuncia delle Sezioni Unite, del 2007), secondo cui la scritturazione sul titolo deve prevalere quando (come nel caso in esame) questo sia stato sottoscritto in epoca posteriore all’emanazione di un provvedimento modificativo delle condizioni indicate sul retro del medesimo. In tal caso, si sarebbe ingenerato un legittimo affidamento del sottoscrittore nella volontà dell’emittente di assicurargli un tasso di rendimento maggiore di quello previsto dai provvedimenti governativi; nel caso opposto, in cui tali provvedimenti siano intervenuti dopo la sottoscrizione, devono, per converso, prevalere le determinazioni normative. Optando per la persistenza di siffatto orientamento, la domanda del ricorrente, in ordine al BFP de quo, risulterebbe meritevole di accoglimento.
Il Collegio di Coordinamento ritiene di dover confermare il descritto consolidato indirizzo arbitrale. In tal senso, in primo luogo, rileva che, come puntualmente osservato anche nell’ordinanza di rimessione, la più recente pronuncia delle Sezioni Unite, lungi dall’operare un revirement rispetto al pronunciamento più risalente, ne ha fedelmente riproposto l’impostazione. Muovendosi nel solco argomentativo della decisione del 2007, le Sezioni Unite, ribadita la qualificazione dei titoli in discorso quali documenti di legittimazione (ai sensi dell’art. 2002 c.c.), si sono limitate ad affermare, senza contraddire la precedente decisione, “la soggezione dei diritti spettanti ai sottoscrittori dei buoni postali alle variazioni derivanti dalla sopravvenienza dei decreti ministeriali volti a modificare il tasso di interessi originariamente previsto”, specificando che siffatta modificazione debba trovare “ingresso all’interno del contratto, mediante una integrazione del suo contenuto ab externo secondo la previsione dell’art. 1339 c.c.”.
Nihil sub sole novum, in altri termini, dal momento che non hanno ritenuto di aggiungere nulla in ordine al principio enucleato dalla medesima pronuncia (e che, consequenzialmente, resta impregiudicato), in relazione alla diversa fattispecie di BFP sottoscritti successivamente all’emanazione di un D.M. modificativo dei rendimenti dell’investimento, quando questi ultimi risultino difformi a quelli riportati sul titolo.”
A tal riguardo, si evidenzia come non si tratti di stabilire se le disposizioni ministeriali (di cui è fatta menzione nell’art. 173 del Codice Postale) “siano idonee a incidere sull’oggetto di un contratto stipulato successivamente alla loro emanazione”, bensì, per converso, di accertare la misura dei rendimenti da applicare ad un BFP della serie “Q/P”, che, in virtù dell’inosservanza da parte dell’Intermediario di quanto previsto dall’art. 5 del D.M. 13 giugno 1986, continui a riportare sul retro, per il periodo dal 21° al 30° anno, i rendimenti previsti per la precedente serie “P” (giacché la tabella di rimborso riportante i tassi applicati alla serie “Q”, di cui al timbro che compare sul retro, si arresta al 20° anno).
Il condivisibile inquadramento dei BFP nell’ambito della categoria dei documenti di legittimazione se, da un lato, esclude che agli stessi possano attagliarsi i principi di incorporazione e di letteralità (completa) propri dei titoli di credito astratti (rendendo così il diritto alla prestazione ivi documentato suscettibile di essere successivamente eterointegrato, in coerenza con lo specifico regime contrattualmente convenuto dalle parti, al momento dell’emissione), dall’altro, impedisce di considerare per sua natura non vincolante quanto riportato sulla lettera dei buoni, in ordine alla determinazione della prestazione dovuta dall’Intermediario (affidandola alla disciplina legale del rapporto su cui si fonda l’emissione del buono, alla stregua di un titolo di credito causale, ex art. 1996 c.c.). Quest’ultimo risultato diviene inevitabile, nel caso in cui si scelga di condividere il più recente orientamento della giurisprudenza di merito, che degrada la funzione del contenuto della lettera del titolo, riconoscendone valenza meramente informativa.
Una siffatta conclusione non merita di essere accolta e condivisa, segnatamente lì dove (esattamente come nella fattispecie oggetto della controversia), nel corso del rapporto non sia intervenuto alcun decreto ministeriale concernente il tasso degli interessi e nessuna modificazione si sia, quindi, prodotta rispetto alla situazione esistente al momento della sottoscrizione dei titoli.
Come opportunamente osservato dal Collegio remittente, senza soluzione di continuità rispetto a quanto statuito nella prefata pronuncia delle Sezioni Unite, del 2007, “l’emissione di un titolo le cui risultanze discordino già ab origine dal regime previsto da un provvedimento precedentemente in vigore, non possono che ingenerare l’affidamento del sottoscrittore su quanto riportato sul titolo; anzi – ben oltre un mero affidamento soggettivo, e sul terreno dell’effettivo regolamento contrattuale – occorre ritenere che l’accordo negoziale, in cui pur sempre l’operazione di sottoscrizione si sostanzia, abbia avuto ad oggetto un contenuto divergente da quello enunciato dai medesimi buoni”.
Adottando quest’angolo prospettivo, assume un indubbio significato la circostanza che il richiamato art. 5 del D.M. 13 giugno 1986 (con il quale era stata disposta l’ultima modifica dei tassi di interesse precedente all’emissione qui in rilievo, secondo quanto previsto dall’art. 173 del D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156), che prevede e regola le variazioni dei tassi, si sia fatto carico di imporre agli Uffici emittenti l’obbligo (pur quando fossero stati utilizzati moduli preesistenti) di indicare sul documento il differente regime cui essi erano soggetti. Tale adempimento, nella vicenda in esame, non si è evidentemente verificato, con precipuo riguardo al periodo di tempo tra il 21° e il 30° anno.
La circostanza de qua concorre a dimostrare come il vincolo contrattuale tra emittente e sottoscrittore sia, in definitiva, destinato a formarsi sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni, fatta salva la possibilità di una successiva eterointegrazione, per effetto di decreti ministeriali modificativi dei tassi di rendimento, ai sensi dell’art. 173 del Codice Postale (disposizione che opera un ragionevole bilanciamento, tra la tutela del risparmio e l’esigenza di contenimento della spesa pubblica, nel pieno rispetto dei principi sanciti dagli artt. 3 e 47 Cost).
Assumendo che la determinazione dei rendimenti dei BFP sia vicenda, comunque, attratta nella sfera del rapporto negoziale intercorrente tra emittente e sottoscrittore (ambito nel quale, come poc’anzi rilevato, operano anche gli strumenti integrativi, di cui agli artt. 1339 e 1374 c.c.), diviene circostanza del tutto irrilevante quella per cui, nel corso della durata dell’investimento, vengano ad alternarsi due criteri di determinazione degli interessi tra loro eterogenei, quello in regime di interessi composti della serie “Q”, per i primi venti anni, e quello in regime di capitalizzazione semplice della serie “P” per l’ultimo decennio, dando luogo a una sorta di titolo “ibrido”. Questa alternanza, fondata sulla regolazione negoziale riferibile al rapporto, non risulta impedita da norme di legge e, tantomeno, appare stravagante o “aberrante” alla luce delle innumerevoli tecniche impiegate al riguardo nella prassi, con riguardo a strumenti che documentano contratti con funzione di investimento.
In conclusione, in virtù di quanto diffusamente rassegnato e argomentato, il Collegio dichiara meritevole di accoglimento la domanda di parte ricorrente, finalizzata a ottenere, con riguardo al BFP della serie “Q/P” il rendimento previsto dalla tabella posta sul retro del buono, limitatamente al periodo dal 21°al 30° anno.
I principi riguardanti i BFP serie Q, non aggiornati da nessun timbro.
Per questa particolare tipologia di BFP, invece, va fatta una doverosa premessa. I moduli serie Q solitamente non presentano nessun timbro che aggiorna i tassi in quanto la stampigliatura sul retro che sviluppa i primi venti anni presenta già i saggi aggiornati (8%,9%,10,5%,12%), mentre quei pochi stampigliati hanno un timbro che non cambia la serie e replica gli stessi saggi già impressi nella tabella originale. Idem per le diciture in Lire in basso che per l’ultima decade prevedono importi dimezzati rispetto ai precedenti BFP serie P (poi divenuti Q/P).
La differenza si può riscontrare in questa tabella:

Ed è proprio sulla base di questa differente stampigliatura che il Collegio di Coordinamento, nella succitata decisione n. 6142 del 3 aprile 2020, ha deciso di rigettare il ricorso del risparmiatore, accogliendo le doglianze dell’ente Postale affermando che la leggera discrepanza tra quanto reclamato dal cliente e quanto pagato da Poste (circa 700€) era dovuta ad una errata applicazione della normativa fiscale: infatti il ricorrente non aveva applicato la ritenuta fiscale per l’ultima decade, capitalizzando le somme al lordo e non al netto della ritenuta.
Premesso ciò, ecco cosa sostiene il Collegio di Coordinamento:
A una diversa valutazione perviene il Collegio in relazione alla domanda concernente il BFP, del valore di Lire 1.000.000, appartenente alla serie “Q”, e che, sì come prospettata nell’ordinanza di rimessione, richiede la risoluzione della questione, anch’essa invero oggetto di valutazioni oscillanti da parte dei Collegi territoriali, circa l’(eventuale) interferenza del regime fiscale, ai fini della determinazione del valore di quanto dovuto al sottoscrittore del BFP in sede di liquidazione dell’investimento. Più in particolare, si tratta di stabilire se possa essere o meno accolta l’eccezione dell’Intermediario che abbia offerto (o abbia liquidato) un importo diverso da quello risultante dai rendimenti indicati in termini assoluti sul retro del titolo, sulla base del ritenuto regime fiscale, ovvero se il ricorrente abbia comunque diritto a tali rendimenti, su cui si sarebbe formato l’accordo fra le parti (tenendo in considerazione che il testo del D.M. n. 145/1997 nulla prevede per le annualità successive alla ventesima) e se, ritenuta applicabile la ritenuta fiscale, la capitalizzazione degli interessi dal 21° anno in poi debba avvenire al netto o al lordo della stessa. Questione da attenzionare anche in relazione alla consolidata affermazione di incompetenza ratione materiae, in ordine alla materia tributaria, dei Collegi arbitrali.
A giudizio del Collegio, si può scientemente addivenire alla risoluzione della questione de qua senza inficiare il principio per cui l’ABF, in quanto organo di risoluzione “alternativa” delle controversie tra clienti e intermediari, non possieda, di regola, le necessarie competenze per esprimere un giudizio sulla corretta applicazione di un prelievo fiscale e, tantomeno, sui criteri di calcolo in proposito applicati: potrebbero, a tal riguardo, essere, perlomeno astrattamente, necessari contributi tecnici di consulenti specializzati, dei quali non può normativamente avvalersi. Pur tuttavia, non può non annoverarsi un indirizzo alquanto diffuso nei Collegi territoriali, che soltanto in rare occasioni risultano dichiararsi del tutto incompetenti ratione matariae, astenendosi, di conseguenza, dal pronunciarsi sul merito. Più di frequente, infatti, si preferisce optare per il rigetto dei ricorsi, affermando l’applicabilità del regime fiscale invocato dall’Intermediario resistente, sulla base del criterio della ragione più liquida.
A tal riguardo, è d’uopo osservare che, di fronte all’eccezione dell’Intermediario che faccia riferimento al regime fiscale per giustificare la corresponsione all’investitore di un importo inferiore a quello risultante dai rendimenti indicati in termini assoluti sul retro del titolo, la valutazione che l’organismo arbitrale è chiamato a effettuare rientra nella propria sfera di competenza ratione materiae, in quanto la richiamata disciplina fiscale rileva esclusivamente quale parametro ai fini della quantificazione dell’importo dovuto al sottoscrittore, in virtù del contratto in essere tra le parti. Non si tratta di accertare l’assoggettamento dei BFP a una determinata ritenuta erariale (come, ad esempio, quella di cui all’art. 1 D.L. 19 settembre 1986 convertito con L. 17 novembre 1986, n. 759), operazione che, effettivamente, sarebbe rationae materiae preclusa all’ABF, ma, più correttamente, di accertare il quantum della prestazione dovuta dal debitore in base alle condizioni contrattuali concordate tra le parti. Condizioni che, in virtù di quanto precedentemente argomentato, sono suscettibili di essere integrate, ai sensi degli artt. 1339 e 1374 c.c., “da un atto di imperio riconducibile alla natura pubblica dell’emittente”, tra cui possono ben annoverarsi le disposizioni relative profili fiscali (essendo, di fatto, irrilevante se le stesse abbiano determinato una variazione dei tassi in senso tecnico, conformemente a quanto indicato nell’art. 173 del Codice Postale).
Che il regime fiscale, precedente o successivo all’emissione dei BFP, possa assumere rilievo anche all’interno della sfera strettamente negoziale, alla stregua di un elemento che concorre a individuare il quantum della prestazione, emerge con chiarezza dalla presenza, sul buono della serie “Q”, della dicitura per cui “L’ammontare degli interessi è soggetto alle trattenute fiscali previste dalla legge”, (formulazione, peraltro, presente, anche in versioni similari, su buoni appartenenti anche ad altre serie).
In quest’ottica, appare senz’altro coerente con l’assetto negoziale adottato dalle parti il richiamo non tanto del D.M. Tesoro 23 giugno 1997 (per cui gli interessi maturati annualmente sui BFP emessi a partire dal 21 settembre 1986 al 31 dicembre 1996, ovvero appartenenti alle serie “Q”, “R” e “S”, per i primi venti anni di vita del titolo vengano capitalizzati annualmente al netto della ritenuta fiscale o della Risoluzione del Ministero delle Finanze n. 58/2000, che ha confermato per i buoni emessi fino al 30 giugno 1997 la capitalizzazione annuale degli interessi, al netto della ritenuta erariale), quanto del D.L. 19 settembre 1986, n. 556 (convertito nella legge 17 novembre 1986, n. 759), che ha assoggettato a ritenuta fiscale del 12,50% tutti gli interessi maturati sui buoni emessi dal 1° settembre 1987 al 23 giugno 1997.
La conclusione appare univoca: può senz’altro essere accolta l’eccezione dell’Intermediario, che abbia offerto (o abbia liquidato) un importo diverso da quello risultante dai rendimenti indicati in termini assoluti sul retro del titolo della serie “Q”, sulla base del regime fiscale che prevede l’applicazione di una ritenuta pari al 12,5% e ciò anche in relazione al periodo dal 21° al 30° anno, in quanto, dal complesso delle disposizioni di legge e regolamentari non emerge la necessità di un trattamento diverso in relazione a quest’ultimo lasso temporale, con l’ulteriore conseguenza che la capitalizzazione degli interessi dal 21° anno in poi deve avvenire al netto della ritenuta fiscale. Venendo la ritenuta fiscale a incidere sulla determinazione negoziale del valore del rendimento da corrispondere al sottoscrittore, il relativo onere non risulta contrattualmente posto a carico dell’emittente.
In conclusione, alla luce del contenuto delle domande e delle eccezioni formulate dalle parti, la domanda del ricorrente, finalizzata a ottenere, con riguardo al BFP della serie “Q”, il rendimento previsto dalla tabella posta sul retro del buono, non è meritevole di accoglimento.
I principi di diritto fissati dal Collegio di Coordinamento.
In definitiva, il Collegio di Coordinamento statuisce i seguenti principi di diritto:
A) Nella disciplina dei buoni postali fruttiferi dettata dal testo unico approvato con il D.P.R. 29 marzo 1973 n. 156, il vincolo contrattuale tra emittente e investitore si articola sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta sottoscritti. Resta ferma la possibilità che i buoni vengano integrati e/o modificati ai sensi dell’art. 1339 c.c., sotto il profilo della determinazione dei rendimenti, da provvedimenti della Pubblica Autorità, purché successivi alla sottoscrizione dei titoli.
B) L’incompetenza dell’ABF a occuparsi della materia tributaria, non implica che sia precluso allo stesso organismo di accertare l’ammontare dei rendimenti dovuti al sottoscrittore di buoni fruttiferi postali là dove questi risultino contrattualmente collegati a parametri fiscali. In tal caso il regime fiscale, precedente o successivo all’emissione dei BFP, assume rilievo negoziale, valutabile al fine della determinazione del quantum della prestazione dedotta in contratto.
Con riferimento alla controversia oggetto del ricorso, l’applicazione dei principi de quibus determina:
– in applicazione del principio sub A), l’accoglimento della domanda del ricorrente, relativamente al BFP (del valore di Lire 500.000) della serie “Q/P”, diretta a ottenere una somma di denaro pari alla differenza tra l’importo offertogli dall’Intermediario e il valore del rendimento previsto dalla tabella posta sul retro del buono, limitatamente al periodo dal 21° al 30° anno.
– in applicazione dei principi sub A) e B), il rigetto della domanda del ricorrente volta a ottenere, con riguardo al BFP della serie “Q” (del valore di Lire 1000000), la differenza tra l’importo offertogli dall’Intermediario e il rendimento previsto dalla tabella posta sul retro del buono.
Conclusioni e destino dei BFP serie Q.
Nel caso di specie, vista l’esigua differenza tra quanto reclamato dal ricorrente e quanto pagato dall’intermediario, probabilmente le doglianze dell’ente postale erano fondate, ma questo principio non può essere applicato in assoluto per tutti i tagli di BFP serie Q e ciò è dimostrabile matematicamente grazie ad una perizia contabile.
Lo studio legale Raimondo, infatti, in ossequio ai principi recentemente dettati dall’ABF e nel pieno rispetto della normativa fiscale, è riuscito matematicamente a far emergere una differenza anche per alcune tipologie di BFP serie Q che, dunque, al pari dei BFP serie Q/P vanno comunque liquidati per un importo maggiore rispetto a quanto calcola Poste Italiane.
I rendimenti dimezzati per l’ultima decade e l’assenza del secondo timbro (o la presenza di un timbro ininfluente che non aggiorna nulla), infatti, non sono elementi sufficienti a far valere le contestazioni di Poste Italiane che poggiano unicamente sul diverso trattamento fiscale. Se quindi a parità di trattamento fiscale continuano ad emergere differenze nei rendimenti, è palese che il problema siano gli interessi nell’ultima decade che, malgrado il dimezzamento, in alcuni casi garantiscono comunque importi maggiori di quanto sostiene Poste Italiane. Ergo, anche per i BFP serie Q va tutelato il legittimo affidamento formatosi sulla cartolarità del titolo.
Tuttavia queste argomentazioni vanno dimostrate con una perizia e di ciò ne deve essere persuaso anche il collegio ABF adìto. In caso contrario, per il risparmiatore si aprirebbero forzatamente le porte della tutela giudiziaria con un’azione legale in Tribunale che ovviamente ha tempi molto più lunghi.
Allo stato attuale, quindi, le prospettive dei ricorsi ABF continuano ad essere rosee per quanto riguarda i BFP serie P aggiornati col timbro Q/P, mentre sembrano complicarsi per i BFP serie Q. Se infatti, come altamente probabile, i collegi territoriali dovessero uniformarsi alla recente decisione del Collegio di Coordinamento, ciascun risparmiatore dovrà valutare la convenienza economica o meno di una causa legale.
Con una distinzione: coloro i quali decidessero di affidarsi allo studio legale Raimondo, fin dal ricorso ABF avrebbero una perizia giurimetrica completa che riuscirebbe a dimostrare matematicamente le loro ragioni. Ciò vuol dire aumentare le chances di vittoria già davanti ai collegi ABF e, successivamente, adìre la magistratura con gli strumenti necessari per ottenere giustizia.
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