Con la decisione n. 30087/2024, pubblicata il 21 novembre 2024, si è conclusa la vicenda giudiziaria tra Zvone Boban e il suo ex club. La sentenza appare interessante perché conferma diversi principi in materia di diritto di critica.
Cos’era accaduto tra primo e secondo grado.
Zvonimir Boban ha citato in giudizio la società A.C. Milan Spa davanti al Tribunale del Lavoro di Milano, chiedendo il risarcimento dei danni derivanti dalla cessazione del contratto di collaborazione stipulato tra le parti in data 1 luglio 2019 e rescisso a seguito di dichiarazioni rilasciate ad un quotidiano sportivo durante un’intervista pubblicata il 29 febbraio 2020.
Il Tribunale, valutando l’assenza di giusta causa per il recesso, ha parzialmente accolto il ricorso e condannato il Milan a risarcire il danno patrimoniale per un importo di Euro 4.125.000,00 e il danno non patrimoniale per un importo di Euro 1.250.000,00, “oltre interessi e rivalutazione monetaria sulla somma sopra indicata dalla data della pronuncia fino al saldo effettivo” e alle spese legali.
Entrambe le parti hanno presentato appello. La Corte di Appello di Milano, con sentenza pubblicata il 14 dicembre 2022, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha confermato l’insussistenza di una giusta causa per il recesso; ha rideterminato il risarcimento del danno patrimoniale in Euro 4.825.000,00 (considerando anche alcuni benefits e il compenso variabile contrattualmente riconosciuti al collaboratore), da cui “detrarre quanto percepito fino ad oggi e sino al 30 novembre 2022 da Boban in ragione di altre attività lavorative”; ha respinto la richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale; ha confermato per il resto la sentenza impugnata, rideterminando le spese legali poste a carico della società, compensandole per la metà.
La Corte d’Appello, in sintesi, ha concordato con il primo giudice sul fatto che “le dichiarazioni rilasciate da Boban nell’intervista del 29 febbraio 2020, in risposta a quelle di Gazidis (CEO della società) di pochi giorni prima, costituiscono legittimo esercizio del diritto di critica del collaboratore e non possono rappresentare giusta causa di interruzione del rapporto”, rispettando i limiti della continenza formale, dell’interesse pubblico alla conoscenza della notizia e della verità oggettiva.
Secondo la Corte, non era utile alla società invocare l’oggetto dell’incarico affidato a Boban, poiché ciò “non aveva certo abdicato alla facoltà di fare legittimo esercizio di un proprio diritto costituzionalmente garantito, qual è quello di critica”, né il collaboratore aveva violato gli impegni assunti all’articolo 27 del contratto, “posto che il contenuto dell’intervista non divulga in alcun modo informazioni qualificabili come riservate alla luce delle riportate previsioni contrattuali”.
Quanto alla liquidazione del danno patrimoniale, confermata l’esclusione della clausola di cui all’articolo 22 del contratto siglato tra le parti, già ritenuta dal primo giudice, la Corte ha riconosciuto che a Boban spettasse una somma pari ai compensi che avrebbe percepito nel periodo tra il recesso anticipato e la data del 30 novembre 2022, prevista come naturale scadenza del contratto di collaborazione. Tuttavia, ha corretto la quantificazione del primo grado “nella parte in cui, applicando il menzionato parametro, (…) ha preso in considerazione solo la componente monetaria e fissa della retribuzione, e non anche i benefici riconosciuti al collaboratore per l’espletamento dell’incarico, ovvero la disponibilità di un alloggio a Milano (…) e la disponibilità di una vettura aziendale (…), per un valore – la cui esattezza non è stata contestata dalla società – di ulteriori 450.000 euro netti”.
La Corte ha anche tenuto conto “della previsione di cui alla clausola 18, punto ii, dell’accordo, che contempla un compenso variabile di 250.000,00 euro netti in caso di qualificazione della squadra in Champions League (condizione verificatasi, sia pure dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado)”.
Dall’ammontare del danno rideterminato, quindi, in complessivi 4.825.000,00 euro, la Corte ha dichiarato di dover dedurre l’aliunde perceptum, avendo Boban trovato una nuova occupazione presso la UEFA, ma non anche l’aliunde percipiendum, in mancanza di specifiche allegazioni della società. Sugli importi dovuti, la Corte territoriale non ha ritenuto “applicabile al caso di specie né l’articolo 2 della legge 22 maggio 2017, n. 81, destinata ad operare solo per le – qui non configurabili – transazioni commerciali dei lavoratori autonomi, né l’articolo 1284 del codice civile, dettato in materia di obbligazioni pecuniarie (e non di obbligazioni di valore, quali sono quelle risarcitorie)”.
Infine, accogliendo il ricorso della società sul punto, ha respinto la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale, argomentando sulla mancanza di “elementi per ritenere imputabili alla società i pregiudizi non patrimoniali sofferti da Boban“, anche per “mancanza di prova di un effettivo e apprezzabile pregiudizio all’immagine professionale del collaboratore, ricollocatosi in breve tempo in una posizione lavorativa prestigiosa e coerente con il suo bagaglio professionale”.
La decisione della Suprema Corte di Cassazione.
La Cassazione, nell’esaminare sia il ricorso principale di Boban che il ricorso incidentale del club, ha confermato integralmente la decisione della Corte d’Appello sulla base dei seguenti motivi.
Secondo gli Ermellini, l’apprezzamento in ordine al superamento dei limiti di continenza e pertinenza stabiliti per un esercizio lecito della critica rivolta dal lavoratore nei confronti del datore costituisce valutazione rimessa al giudice di merito. (cfr. Cass. n. 1379 del 2019, cui si rinvia, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., per ogni ulteriore aspetto). I giudici di entrambi i gradi hanno confermato che l’intervista di Boban era un legittimo esercizio di un diritto e non hanno riscontrato vizi di legittimità nella decisione impugnata.
La Cassazione ha inoltre rigettato la tesi della “contraddittorietà manifesta e insanabile della motivazione” e ha riconosciuto l’interesse pubblico nella divulgazione delle notizie riguardanti le strategie di una squadra di calcio, in quanto “riguardante il pensiero in merito alle scelte strategiche e di mercato relative alla gestione di una notissima squadra di calcio di una delle figure ‘dirigenziali’ più note della omonima società appellante”. Insomma, per i giudici è stato semplicemente esternato un legittimo pensiero, così come garantisce la costituzione, senza alcuna rivelazione di informazioni riservate.
Inoltre, le interpretazioni alternative delle clausole contrattuali proposte dal club sono state ritenute non sufficienti per un riesame in Cassazione.
In merito al risarcimento del danno d’immagine di Boban, la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso poiché non presentava argomentazioni specifiche e chiare. La questione delle conseguenze dannose non patrimoniali derivanti dall’inadempimento contrattuale è competenza del giudice di merito e, anche in tal caso, non sono stati riscontrati vizi di legittimità. Infine, la Cassazione non ha riconosciuto neanche i c.d. “super interessi” (art. 1284, comma 4, c.c.), dato che quest’ultimi si sarebbero dovuti chiedere con domanda autonoma e distinta nel corso del primo grado mentre il giocatore ha sollevato il tema soltanto in appello, quando ormai era troppo tardi.
In sintesi, la Cassazione ha confermato le decisioni precedenti, ritenendo che non vi fossero sufficienti elementi per un riesame del caso. Ergo, Boban può trattenere la somma ricevuta in relazione al danno contrattuale (assenza della giusta causa) ma deve restituire la somma ricevuta in relazione al danno non patrimoniale (danno d’immagine), perché non ritenuto sussistente.